“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Roberta Andolfo

Il fragore del silenzio (Seconda parte)

Mi avvicinai alla parete di loculi sospesa nella nebbia, al di sopra di quelle fosse che si datavano a non più di un secolo prima, ma avevano l’aria di appartenere a tutt’altra epoca. Il muro bianco dava le spalle alle strutture in vista del cimitero, che affacciavano sulla parte interna, verso il viale di cipressi. Il posto non godeva dello stesso livello di manutenzione della zona più nuova, si vedevano alcune crepe sparse qui e lì lungo gli spazi fra le lastre di marmo e talvolta anche sulla superficie delle stesse. C’era qualche pianta rampicante. Pensai che quell’angolo per così dire “ameno” fosse degno argomento del più evocativo dei racconti d’ispirazione romantica, e decadente.

Il fragore del silenzio (Prima parte)

Mi trovavo nel piccolo e solitario paese, nel suo più puro ricordo d’inverno. Ero arrivata già da due giorni e mi ero sistemata per bene nella casa anticipatamente fredda di neve, di quella che non era ancora caduta e che il meteo preannunciava per la settimana seguente. “Qual buon vento?” l’interrogativo più comune, tra gli sparuti abitanti rifugiati nelle proprie case, era questo. Ognuno trovava il suo personale modo per domandarmi la ragione di quel soggiorno. Qualcuno mi chiedeva della famiglia, voleva sapere quanto mi sarei trattenuta in quel nostro tranquillo villaggio. “E viene anche tuo marito?” mi chiedevano, affrettandosi poi a sapere “come stanno i ragazzi?”.

“The Generi” e Maccio Capatonda

Questi nostri ultimi anni sono stati caratterizzati da diverse situazioni cinematografiche, dal riaffiorare di una sperimentazione e di una volontà di approfondimento di tematiche di cui si è poco usufruito, di specifiche istanze che complicano e condividono in modo puntuale una molteplicità di prospettive afferenti a quei gruppi ed a quegli individui che hanno ancora poca voce pur essendo parte strettamente integrante dell’identità sociale. Un lavoro più ricercato, nel cinema d’autore come in quello indipendente o nelle produzioni web e televisive, sta interessando già da un po’ anche la nostra Italia. L’offerta torna finalmente ad essere diversificata e, passando in rassegna le varie proposte, non può non balzare agli occhi un fenomeno del genere comico abbastanza nuovo ma già fortemente radicato nella nostra cultura mediatica, curioso fattore di disarmante umorismo: Maccio Capatonda.

L’ottava meraviglia del mondo in mostra a Napoli

Nel cuore dell’antichissima città, all’interno della Basilica dello Spirito Santo, si trovano ora riuniti centinaia di simulacri di persone un tempo viventi, guerrieri cinesi facenti parte dell’esercito del III secolo avanti Cristo, la grande armata del Primo Imperatore Qin Shi Huangdi, “ottava meraviglia del mondo” racchiusa tutta nella riproduzione di figure umane, cavalli, armi, oggetti e carri da utilizzare sul campo di battaglia.

Numero civico (quinta parte)

Alla fine dovetti cedere alle circostanze, quando le iridi sbarrate, grigie ed immobili fecero luce sulla tragedia che si era appena compiuta nello studio situato al civico duecentonovantanove. Stavolta non si trattava di una situazione in cui ci si poteva ritrovare per puro caso, assistendo all’altrui delitto per mano di una fredda, irruenta, spietata essenza maligna fattasi persona. Stavolta io ero al centro. IO ERO quella malignità personificata, non più la creatura che ora si era dissolta per restituire la vera forma a quel corpo umano giacente sul pavimento.

L'onda amara

Il sole mi inonda, ma per puro caso, perché non può evitarlo. La mano di mia moglie penzola nell’incoscienza del riposo, ed io contemplo da sveglio, perché questo caldo non mi fa dormire. Nella storia passata la vita è un attimo; ricordo quando studiai la guerra dei trent’anni. Ci sono stati conflitti che hanno rubato decenni alle persone, tutta una vita, se ci rifletti. Battiato cantava “se penso a come ho speso male il mio tempo, che non tonerà, non ritornerà, mai...” e qui invece la musica impazza come se tutte le persone, non solo gli anziani, fossero sordi. Nulla è suggerito, basilare è diventato altro nelle canzoni: sbatterti tutto in faccia, dirti le cose nel modo più semplice tanto da farlo capire anche ad un cane e nel frattempo vedersi bene dal darti un’emozione, una qualsiasi emozione.

“Tonya”, alle radici di un dramma feroce

La vicenda di Tonya Harding è di per sé storia aggressiva, senza sconti, aspra ma genuina, spiattellata ed “eviscerata” senza remore e senza diritto di replica, pur continuando a rimanere un enigma, perché al di là di ogni dichiarazione rilasciata da ciascun personaggio di questo impasto relazionale e professionale, e del giudizio della legge, molte delle oggettive responsabilità resteranno sempre sfuggenti. Ma ciò non costituisce l’unico fondamento della trama esistenziale della ragazza nata a Portland, campionessa in uno sport feroce, il quale in modo più esplicito di altri si compone di danza e di creatività, dentro le acrobazie e le figure impeccabili che una dura ed ininterrotta esercitazione porta a compimento, alla ricerca dell’istante perfetto. Un campo nel quale, come avviene in tante altre discipline, più sofferto e sacrificato è il lavoro alla base dell’attività, più leggiadra e spettacolare appare l’esibizione.

Al PAN un Dalí evanescente

Il Dalí di questa mostra è il Dalí multisfaccettato che lo stesso proprietario di questo nome (e marchio) ha sempre propinato al pubblico, sfuggendo con intelligenza, perseveranza e lungimiranza ad una precisa catalogazione del proprio operato e ad un’univoca etichetta per la propria personalità.

Numero civico (quarta parte)

Quando la segretaria si era finalmente affacciata in sala d’aspetto, accanto a lei, dal corridoio, erano sbucati fuori un uomo ed una donna vestiti di scuro, entrambi sulla quarantina, mi era parso che mi avessero guardato un po’ di sottecchi, non con un’aria cattiva, ma come colti da un’irresistibile curiosità, come per spiare chi fossi. Avevano già le loro giacche indosso e si dileguarono in pochi secondi, sgusciando via dalla porta con molta fretta ed in perfetto silenzio, quasi scomparendo magicamente in un soffio di vento. Gli altri pazienti non si curarono minimamente di loro e viceversa. Trovai anche quest’altro episodio piuttosto strano, pure questa volta senza sapere precisamente il perché.

“Esilio”, il limpido lirismo della deriva

Quando si riflette sulle problematiche legate al lavoro, o meglio, alla perdita dell’occupazione che fino a quel momento ha dato sostentamento ad un essere umano, assorbendo così tanto della sua energia e dei suoi scopi da fare in modo che questo essere si immedesimasse in quel determinato ruolo a tal punto da collimare con esso, si arriva a considerare, inesorabilmente, quanto tale esperienza possa incidere nella propria vita, e quanto profondo sia il segno che essa possa tracciare dentro uno spirito. Potrebbe sembrare un pensiero ormai sviscerato e banalizzato, un argomento sin troppo discusso e perciò ridotto ad un preimpostato schema, all’interno del quale si sa da subito che la vittima di quella ingiustizia è, e si sentirà d’un tratto, svilita, fiaccata, perduta. Già. Ma in quale maniera, esattamente, ella si smarrisce? Qual è l’aspetto del percorso disorientante fatto di oscuri meandri? Esilio si popone di far visualizzare attraverso la fantasia e la bizzarria cha affondano nella realtà quotidiana lo spettro dell’angoscia e del distacco dal sé, da ciò che prima si era stati.

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il Pickwick

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