“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 26 April 2013 02:00

In balia delle onde

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“Suave, mari magno turbantibus aequora ventis e terra magnum alterius spectare laborem; non quia vexari quemquamst iucunda voluptas, sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest” Lucrezio, De rerum natura, II, 1-4

 

La voce calda e suadente di Enzo Salomone anima i versi del poeta della ragione, della lucida conoscenza della natura. Sotto i versi leggere note elettroniche, piccoli tocchi di piano che sanno di acqua, di onde, di luccicare del sole sulle onde, di gabbiani, di quiete, di brezza. La voce calma e dolce di Rossana Valenti segue i versi, li accompagna e li chiosa con delicato garbo, sottolineando e tacendo, suggerendo e tirando fuori dalla memoria di ciascuno ricordi, sensazioni, pensieri.

 

Il naufragio come metafora della condizione umana. Il mare è all’inizio e alla fine dell’Odissea. Naufrago per eccellenza è Odisseo (I,4 “molti dolori patì in cuore sul mare”). Nel primo naufragio perde i compagni e le navi, facendo esperienza della solitudine. Nel secondo naufragio viene sbattuto sull’isola di Ogigia, in balia di Calipso, dove vive la condizione di impotenza, l’impossibilità di decidere autonomamente della propria vita. Nell’ultimo naufragio, all’isola dei Feaci, fa esperienza della nudità, della perdita totale e poi del recupero di sé attraverso il ricordo, il racconto a ritroso delle sue peripezie.
Il mare dell’Odissea è il mare del ricordo. Ma ogni conquista ha un prezzo: dopo aver riportato Odisseo alla sua Itaca la nave dei Feaci sarà trasformata in pietra da Poseidone. Il naufragio dunque in Omero è realtà, racconto di esperienza quotidiana cristallizzata nel nitore della poesia, tuttavia è anche metafora, quando alla fine del poema Penelope viene paragonata al naufrago che ritrova infine la terra, “così bramato era lo sposo a guardarlo” (XXIII, 302), mentre Atena trattiene l’Aurora sulla linea dell’orizzonte perché quella notte duri più a lungo. La voce che anima i versi è viva e sotto la voce l’elettronica, discreta, suggerisce il vento e l’acqua, le onde e un inquieto silenzio.
E per noi moderni? Noi i naufragi li vediamo in televisione, ne abbiamo conoscenza indiretta attraverso l’illusione dell’informazione, tale da rendere quasi irreale, nella sua spettacolarizzazione, la loro fisica e umana realtà. La potenza della metafora però continua ad agire nella coscienza collettiva, cristallizzata nella forma icastica della poesia (la vita come navigazione di Bufalino, ad esempio, “La vita non sempre fa male”, nell’ora più tarda dell’ultimo naufragio può regalarti il sorriso di Nausicaa). L’uomo moderno si crogiola nella dulcedo naufragi (valga per tutti il leopardiano “e il naufragar m’è dolce in questo mare”...).
Enzo Salomone e Rossana Valenti ci prendono per mano, in un viaggio per mare da Omero a Sovente, passando per Lucrezio, Gesualdo Bufalino, Dante, Mallarmé e Semonide, Virgilio e Kavafis e ancora Walter Benjamin e Catullo, Ungaretti, Leopardi e Petronio e Giovanni Pascoli e per finire Eduardo De Filippo. Non c’è ordine cronologico, perché la magia del classico è proprio nel suo essere eterno, nella sua continua possibilità di riscrittura e rilettura e reinterpretazione. Ogni mito ha infinite varianti e ognuna è quella giusta, perché riflette un frammento della sua eterna realtà. Il classico continua a parlarci a raccontarci a incantarci e si mescola con il contemporaneo e il passato prossimo. Basta togliere la polvere del tempo, dell’abitudine, del dovere scolastico. Basta riprendere in mano quei testi e leggerli per quello che sono, suono e senso. A margine dello spettacolo (che le etichette classificherebbero come reading) Enzo Salomone ha citato una bella definizione di Paul Valéry, della poesia come “ininterrotta tensione tra senso e suono”.
Il filo conduttore è proprio nel continuo scambio, osmotico e di trasformazione, tra i testi antichi, il nitore della parola e delle immagini, e i testi moderni, accomunati dalla stessa metafora della vita come viaggio sub specie naufragi. Naufrago e l’Ulisse di Dante, che mise “ali al folle volo”. Quanta distanza rispetto all’eroe omerico: l’Odissea è il gesto del ritorno a casa, l’Ulisse di Dante è l’emblema della sete di conoscenza dell’essere umano. Omero è immenso eppure è il secondo re di Itaca quello che ha messo salde radici nel moderno sentire.
Naufrago è Enea, il pius Aeneas, che una volta spogliato della polvere lucente della retorica trionfalistica si rivela, inaspettatamente, sorprendentemente, eroe modernissimo, in balia delle onde del destino. Enea deve abbandonare la sua terra per volere del fato e deve attraversare il mare alla ricerca della nuova patria, senza sapere a cosa andrà incontro, ma sapendo che quella patria futura già appartiene ad altri. Enea il profugo. Enea l’invasore. Odisseo è il nostos, il ritorno a casa, Enea è il viaggio senza meta, il naufragio spirituale dell’uomo moderno, che perde i propri punti di riferimento, che vede cambiare le coordinate del proprio mondo, le proprie mappe concettuali e deve adattarsi, spinto dal fato o, quando non si crede più al fato, dalla necessità ineluttabile (?) del fluire inerte degli eventi.
Infine Eduardo, il pragmatismo solare napoletano, la declinazione moderna del classico: “’O mar’ fa paur’”, ma a guardarlo meglio, ad ascoltarlo, a comprendere la realtà del tutto e la finitezza umana, forse, più semplicemente “’o mare sta facenn’ ‘o mare”.

 

 

 

Il Teatro cerca Casa
Naufragi. Lucida Carmina. Initerario poetico tra viaggi e naufragi da Omero a Sovente
letture
Enzo Salomone
commenti Rossana Valenti
testi Lucrezio, De rerum natura, II, 1-16; Omero, Odissea, V, 313-352, XXIII, 231-245; Gesualdo Bufalino, Risarcimento; Dante Alighieri, Inferno, XXVI, 85-142; Simonide, Lamento di Danae; Michele Sovente, Parla Agrippina; Catullo, carme LXVIII, 1-46; Stéphane Mallarmé, Brezza marina; Konstantinos Kavafis, Itaca; Walter Benjamin, È una barca con una tal merce; Giuseppe Ungaretti, Il Tempo è muto, Allegria di naufraghi; Giacomo Leopardi, L’Infinito; Petronio, Satyricon 115; Giovanni Pascoli, Il naufrago; Eduardo De Filippo, ‘O mare.
traduzioni R. Calzecchi Onesti (Odissea, Eneide), S. Quasimodo (Simonide), M. Ramous (Catullo), L. Frezza (Mallarmé), N. Risi (Kavafis), L. Canali (Lucrezio), G. Ghiselli (Petronio)
lingua Italiano
durata: 1h
Napoli, interno privato, 22 aprile 2013
in scena il 22 aprile 2013 (data unica)

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