“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 26 March 2013 01:00

Il Risorgimento letto attraverso il patriottismo dei Poerio

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Il testo di Anna Poerio Riverso, Carlo Poerio. Una vita per l’Unità d’Italia, offre una lettura del Risorgimento italiano inquadrabile, dal punto di vista storiografico, in quel filone di ricerca che nella metà degli anni Settanta è stato denominato “microstoria”. Tale termine acquista rilevanza grazie alle opere di G. Duby e di Le Roy Ladurie, nelle quali, attraverso una ricostruzione meticolosa di eventi minori, venivano riportati alla luce frammenti del passato preziosi per la ricostruzione dei grandi quadri generali.

Anna Poerio, seguendo tale impostazione, sembra rifiutare una concezione della storia come ermeneutica ed esercizio retorico e, attraverso una thick description, ricostruisce i fatti oggetto del suo studio servendosi di una mole importante di fonti edite e inedite e di un consistente apparato bibliografico. La ricostruzione/narrazione degli avvenimenti storici è, però, essenzialmente legata al criterio della spiegazione dei fattori che li determinarono e a quello della loro valutazione. La difficoltà consiste proprio nel mantenere il giusto equilibrio fra ricostruzione fattualistica e interpretazione. Difficoltà che, nonostante qualche indugio annalistico di troppo, la studiosa riesce a superare, giungendo tramite minuziose ricerche in seno alla famiglia Poerio, a offrire una caratterizzazione dei patrioti napoletani come esponenti di una borghesia rivoluzionaria diffidente delle plebi non meno che della nobiltà.
È doveroso, quindi, offrire una sintesi di tale ricostruzione per provare a legarne gli esiti interpretativi con quelli già impostisi nel corso degli anni. I Poerio giocarono, insieme ad altri patrioti di estrazione sociale nobile o appartenenti alle migliori famiglie borghesi del Mezzogiorno, un ruolo centrale nella Repubblica Napoletana del 1799. Individuarono infatti le problematiche di fondo del Regno delle Due Sicilie: l’avversione verso ogni forma di rinnovamento da parte dei Borbone, l’arretratezza delle campagne, il divario fra i giacobini e il popolo, la funzione antirivoluzionaria del clero, rappresentato dal Cardinale Ruffo, che guidò le bande sanfediste, e influenzati dai princìpi della Rivoluzione francese passarono rapidamente da un atteggiamento riformista a uno rivoluzionario, acuendo il contrasto con il potere monarchico.
Dal 23 dicembre 1798 al 23 gennaio 1799 poi, si innescarono delle dinamiche che portarono alla fuga del re e alla creazione di un governo cittadino, che sulla scorta dei privilegi a suo tempo concessi da Federico II, rivendicava il ruolo di legittimo rappresentante del regno. In tale momento cruciale Carlo Poerio svolse un’azione diplomatica importante riuscendo a farsi nominare dai francesi e nello specifico dal generale Championnet “Aiutante di Campo”, al fine di impadronirsi, con l’aiuto di altri patrioti, tra cui molti esuli ritornati in patria, di Castel Sant’Elmo. I nostalgici del regime borbonico accusarono, però, di giacobinismo i nobili, provocando la reazione dei lazzari, che, temendo l’occupazione dello straniero, misero in atto violenze e saccheggi. Tutti i vincoli sociali si ruppero e iniziò a serpeggiare fra il popolo una forte ostilità contro i francesi e i patrioti che ne appoggiavano le mire. L’occupazione della città non fu dunque semplice a causa della resistenza dei lealisti, ma al termine di giorni di guerriglia, il governo provvisorio si insediò e portò avanti subito un’azione legislativa tramite cui vennero aboliti titoli nobiliari, nonché le insegne borboniche dai palazzi e dalle chiese. Furono fondati anche parecchi giornali, tra cui il Monitore Napoletano diretto da Eleonora Pimentel Fonseca.
Tuttavia la Repubblica dovette affrontare gravosi problemi di carattere economico (erario inesistente, debito con la Francia), risolti con una pesante pressione fiscale che creò molto malcontento fra il popolo. I patrioti infatti, ed è questa la tesi che l’autrice fa propria, inesperti di pratiche di governo, guardavano  al  modello economico e sociale della Francia, piuttosto che impegnarsi in un’azione politica che tenesse conto delle esigenze popolari, anche perché nulla o quasi si fece per abolire legalmente la feudalità e tutti i privilegi che vi erano connessi.
I patrioti, ”grandi idelisti e cattivi politici” non riuscirono a raccogliere le adesioni popolari; di conseguenza, come ben afferma il Croce, all’iniziale frattura tra corona e intellettuali si aggiunse quella fra intellettuali e popolo. Tutto ciò determinò un forte risentimento popolare di cui si fece portavoce il cardinale Ruffo e che portò al logoramento della "Repubblica dei Filosofi”.
Sanfedisti e lazzari iniziarono una vera e propria caccia alle streghe nei confronti dei cosiddetti giacobini e ciò diede inizio a una battaglia che si concentrò sul Ponte della Maddalena e vide, fra gli altri, combattere in prima linea Giuseppe Poerio, che trucidò, come riportano il Cuoco e il Croce, numerosi sanfedisti.
Nonostante gli sforzi di quanti avversavano i Borbone, Napoli e la sua Repubblica caddero sotto il controllo dei nemici. La capitolazione firmata il 23 giugno 1799  prevedeva l’amnistia per i patrioti, ma tale provvedimento fu disatteso dal sovrano, che tornato in patria li condannò tramite processi sommari e, come risulta dalle fonti reperite dall’archivio storico del Banco di Napoli, li spogliò con contabilità certosina dei loro beni.
Furono condannati, scrive Cuoco, “l’ingenuità, l’astrattezza, l’idealismo di chi aveva sperato che le parole libertà e uguaglianza potessero, da sole, far sollevare un popolo ignorante e superstizioso, logorato dai problemi della sopravvivenza quotidiana”, ovvero, fuor di metafora, furono detenuti Giuseppe Poerio, Domenico Cirillo, Domenico Cimarosa, che aveva musicato l’inno patriottico della Repubblica Napoletana, Giovanni Paisiello, Annibale Giordano e lo stesso Vincenzo Cuoco. Nonostante la vittoria dei lazzari e dei sanfedisti, i nobili ideali che animarono i patrioti non vennero distrutti e si perpetuarono nelle correnti democratiche che sorressero il Risorgimento e che videro tra i più animati protagonisti i figli e i nipoti di Giuseppe Poerio.
Dopo la battaglia di Marengo ed il trattato di Firenze, nel 1801 il sovrano Ferdinando IV di Borbone concesse l’indulto ai prigionieri politici, per cui Giuseppe Poerio fu rimesso in libertà. Giunta la grazia, Il Poerio maturò una visione nuova della realtà politica e si convinse che “la causa della democrazia si difende meglio con il ragionamento, l’esempio, il sacrificio, che non con la bruta violenza, che le istituzioni possono anche progressivamente essere trasformate e rimodernate, senza il bisogno di sradicarle di colpo. Il rivoluzionario si trasforma in moderato”.
Proprio nel decennio francese, nel periodo di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, Giuseppe Poerio assunse numerosi incarichi istituzionali, ma la Restaurazione borbonica pose fine alla sua carriera costringendolo all’esilio a Firenze. Ricevuta la grazia, i Poerio tornarono a Napoli, il re intanto aveva concesso la Costituzione e Giuseppe Poerio fu eletto deputato parlamentare al primo Parlamento costituzionale di Napoli.
Il liberalismo del neoeletto svelò però ben presto la sua debolezza dovuta alla sopravvalutazione del popolo napoletano e alla cieca fiducia nei Borbone. Sarà allora il giovane Carlo Poerio che, “lealmente e altamente liberale”, esperto in legge e per questo invitato dal sovrano a formare un nuovo ministero, porterà avanti l’obiettivo del padre di trasformare la monarchia borbonica in una monarchia costituzionale. Ma un congiura di palazzo provvide ben presto a dipingerlo come un settario e un rivoluzionario e per questo fu più volte imprigionato. In realtà, Carlo Poerio era un antimazziniano e un antirepubblicano e in quanto tale non credeva nelle rivoluzioni, perché la libertà era  a suo avviso “un effetto della maturità dei tempi e dei progressi della civiltà“.
L’autrice ci offre un resoconto dettagliato della figura di Carlo Poerio, che è poi anche un resoconto sui patrioti napoletani, invitandoci a riflettere sul fatto che la soluzione liberale era al tempo l’unica possibile e che il mancato legame dei moderati e dei democratici con i ceti popolari va imputato alle “condizioni storiche di fondo in cui era destinato a svolgersi il Risorgimento”, anche perché una rivoluzione agraria e giacobina avrebbe creato uno schieramento anti-italiano da parte di tutte le potenze europee.
Anna Poerio Riverso quindi, a partire dallo studio di singoli casi, perviene a quella revisione critica dell’interpretazione gramsciana del Risorgimento promossa già da R. Romeo nel 1970 nel suo Risorgimento e capitalismo, che se da un lato sembra caratterizzarsi per un certo fatalismo storico, dall’altro ci offre un'ulteriore lettura, oltre a quella indicata dal Cuoco, del mancato coinvolgimento della masse popolari al processo di unificazione italiana. Un mancato coinvolgimento che invece, secondo la prospettiva delineata nel testo Il Risorgimento di Antonio Gramsci, ha determinato “un arresto nello sviluppo storico nazionale”, ponendo le premesse delle difficoltà dell’Italia contemporanea.


 

 

Anna Poerio Riverso
Carlo Poerio. Una vita per l’Unità d’Italia
Gruppo Albatros Il filo, Roma, 2012
pp. 343

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