“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Chiara Alborino

Rossella O’Hara o King Kong?

Un teatro che riacquista la sua funzione esorcizzante di rito per il nuovo spettacolo del regista Antonio Latella Francamente me ne infischio, una composizione di cinque movimenti della durata di un’ora circa ciascuno, che vede la compartecipazione di una scrittura a tre dei drammaturghi Linda Dalisi, Federico Bellini e lo stesso Antonio Latella, una triplice visione quindi, una pretesa, forse un rischio di fare venire a galla tutti gli stereotipi possibili ed immaginabili appartenenti alla cultura americana che tanto ha influenzato la nostra storia fornendo miti, personaggi e leggende all’immaginario collettivo.

Pezziduomo o uomini a pezzi?

 

Arrivo in teatro sotto la pioggia, nell’attesa per le vie adiacenti si sente una musica neomelodica ad alto volume, c’è ancora un’atmosfera natalizia per le strade di Napoli alcuni negozi hanno le luci accese, penso che qui il tempo sembra non passare mai.
Entriamo, siamo in pochi, in scena un tavolo, un proiettore che dall’alto illumina ad occhio di bue una sedia che preannuncia la presenza di un attore, un uomo o forse solo un pezzo di sé. Entra l’attore Giovanni Battaglia, con fare disinvolto, alla maniera dei menestrelli shakespeariani ad esprimere la sua desolazione per l’assenza di pubblico, adducendo a sé stesso la causa di tale mancanza ed elogiando i pochi presenti come spettatori speciali, meritevoli di ricevere la sua presenza.

il Pickwick

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