“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Antonio Russo De Vivo

Il calcio secondo Rasmus Elm

Per favore non dite niente è un romanzo sul calcio, sulla vita e sulla morte.
Marco è stato un calciatore di quelli che fanno bene ciò che devono fare, non un campione, non uno dei grandi, ma affidabile; diventato un allenatore importante, cultore del bel gioco, dinanzi alla grande occasione deve passare la mano. Una scelta di vita: la moglie, Carla, è malata di cancro, e Marco le vuole stare vicino. Sembra la storia di Cesare Prandelli, e in effetti l’ex c.t. della nazionale è fonte di ispirazione, ma non si tratta di fedele biografia, né di biografia romanzata, e ciò va sottolineato a causa delle speciose polemiche che sono seguite alla pubblicazione.

“Principessa” di Calligarich ovvero della seduzione

“Conta soltanto ed esclusivamente lo stile”.
Lo dice Gianfranco Calligarich, al Flep! (Festival delle Letterature Popolari) 2013 (https://www.youtube.com/watch?v=njM6a97_XwI), parlando di Chandler, Sergio Leone e Fellini.
Per lui innanzitutto la parola, la voce che racconta.
“No Cristo voltati e guarda giù. Nessuna responsabilità per come sarebbero andate le cose in quelle tre settimane di nebbia milanese. Solo delle circostanze. Prima regola adeguarsi alle circostanze. Sempre. Per cui inutile andare per il sottile quando le circostanze ti mettono alle corde. Far di necessità virtù. E cercare di uscirne. Qualsiasi il prezzo. Niente altro. E quanto a quelle in questione e da qualunque parte la si guardi, la faccenda, corde, nebbia, un malloppo e il vecchio Comandante Segreto, le circostanze. Con relativo adeguamento. A far di necessità virtù. E fine del discorso”.

Di terra ferro e cemento

Non ci vuole troppo coraggio quando hai dieci anni e una famiglia di ceto medio senza troppe pretese, e Mino questo non lo sa. Lui vive il suo microcosmo come fosse un universo in continua espansione, vede oltre l’interno di limiti circoscritti solo perché non conosce limiti; anche lui non ha troppe pretese.
Però a fargli compagnia c’è Giambo che vuole fare sempre la cosa storta.

“CosmoZ” ovvero dei mostri del Novecento

C’è quel momento in cui la favola inizia, “c’era una volta”, e tutti lo viviamo con trepidazione perché cosa possa esserci stato, quella volta, non lo sappiamo, la fantasia del narratore è uguale a infinito, e una tale illimitatezza non può che generare un misto tra attesa e timore.

Lo stopper che si commuove

Sono uno stopper e tra i più bravi della serie B. Anzi il più bravo. Per chi non lo sapesse, lo stopper è quel difensore che sta incollato all’attaccante avversario, che non lo fa respirare, che lo tocca di continuo, gli “morde le caviglie”, come si dice, che non se lo perde nemmeno negli spogliatoi. Io, in tutto questo, sono il migliore del mio campionato, e da tempo aspetto di giocare in serie A.
Ormai di anni ne ho trentaquattro, l’età giusta per smettere, l’età media in cui i calciatori “appendono le scarpette al chiodo”, come si dice.
Voi vi chiederete perché non smetto. E io vi rispondo che voglio la serie A, voglio togliermi lo sfizio, voglio marcare Maradona, Van Basten, Klinsmann, Roberto Baggio e tutti i migliori al mondo insomma, perché il Calcio, quello vero, si gioca in Italia, e io voglio dimostrare che me lo merito. Prima o poi ci arrivo in serie A. Voi vi chiederete come mai, se da anni sono il migliore, nessuna squadra della massima serie mi abbia comprato. E io vi dico che un motivo forse c’è, perché altrimenti proprio non me lo spiego.
Il motivo non c’entra col calcio giocato. C’entra con i sentimenti.

Festival delle Idee Politiche

Il 31 ottobre 1972, su Il Gazzettino, Goffredo Parise spiegava la genesi del Sillabario n. 1 (Einaudi, 1972), il primo dei due volumi di racconti dei Sillabari (l’altro sarebbe stato pubblicato dieci anni dopo): “Il libro nasce così: negli anni tra il ’68 e il ’70, in piena contestazione ideologica, in tempi così politicizzati, udivo una gran quantità di parole che si definiscono comunemente difficili. Difficili anche a pronunciare. Per esempio: Rivoluzionarizzare. Ecco, non esprime nulla. Sentivo una grande necessità di parole semplici. Un giorno, nella piazza sotto casa, su una panchina, vedo un bambino con un sillabario. Sbircio e leggo: l’erba è verde. Mi parve una frase molto bella e poetica nella sua semplicità ma anche nella sua logica. C’era la vita in quell’erba è verde, l’essenzialità della vita e anche della poesia. Pensai a Tolstoj che aveva scritto un libro di lettura non soltanto per bambini e poiché vedevo intorno a me molti adulti ridotti a bambini, pensai che essi avevano scordato che l’erba è verde, che i sentimenti dell’uomo sono eterni e che le ideologie passano. Gli uomini d’oggi secondo me hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie. Ecco la ragione intima del sillabario”.

The Zen Circus live: Viva

Oggi è venerdì 18 aprile fa freddo e sono tutti incappottati e un po’ rigidi alla Casetta della Musica prima di iniziare con gli Zen Circus. La Casetta della Musica è un luogo un po’ così: un tendone buio, disadorno, non particolarmente capiente ma nemmeno il contrario, funzionale. Appena entri il palco te lo ritrovi sulla sinistra e il bar in fondo a destra. Gli Zen Circus invece sono un’esplosione di energia, humour, colore, che quando li vedi ti spieghi subito del perché ti piace tanto la musica, e la risposta è che dalla musica cerchi energia ed empatia. Io li ho già visti pochi anni fa nella sala piccola del Duel:Beat, in un concerto di quelli che ti ricordi in cui proponevano il loro primo album tutto in italiano (i precedenti sono cantati in gran parte in inglese) dal titolo eloquente: Andate tutti affanculo (Unhip/La tempesta, 2009). Oggi li rivedo e l’impressione è sempre uguale: sono proprio bravi gli Zen Circus.

Brunori Sas live al Duel:Beat: il bacio invocato

Quando varco la soglia dell’amplia sala 3 del Duel:Beat certo non m’aspetto quanto vedo. Il locale è pieno, ma proprio pieno, e io resto con lo sconforto di dover rimanere dietro, nei pressi del bar, a vedere Brunori Sas e cioè Dario Brunori e la sua band piccoli piccoli come quando si va allo stadio San Paolo e dalle curve i giocatori si vedono piccoli piccoli come quando una volta si giocava a Sensible Soccer all’Amiga, ma questa è una cosa che possono capire solo quelli che erano ragazzi negli anni Novanta, Brunori incluso e quelli che sono stati al San Paolo e quelli che ieri sono stati dietro.

La barba di Tomás Milián

Quando a inizio anni Zero toccò anche a me ascoltare The Director’s Cut (Ipecat, 2001) dei Fantômas io in parte già sapevo a cosa andavo incontro perché a fine anni Novanta mi era già toccato ascoltare Amenaza al Mundo/Fantômas (Ipecac, 1998). La prima volta coi Fantômas fu un misto di sgomento e fastidio, etichettai l’album – nell’intimità, sia chiaro, che in giro si parlava di capolavoro –come “inascoltabile” e passai oltre; la musica indie, ai tempi, ci concedeva svariati momenti siffatti, di subitaneo stupore, e c’era tanto e tanto che starci dietro imponeva di essere ingiustamente selettivi.

Benvenuti nell’era Post-Human

Nel 2009 viene pubblicato in Francia Temps des crises di Michel Serres. Contestualizzato nel pieno della crisi finanziaria che ha devastato l’Occidente e che ancora oggi fa sentire i suoi effetti, il saggio del filosofo francese parte dalla tragica constatazione di una condizione della Terra (e dell’Uomo) critica, giunta ormai a un punto di non ritorno. Urge creare nuove strategie di sviluppo e soprattutto di sopravvivenza:
“La nostra cultura senza mondo, a un tratto, ritrova il mondo […]. La nostra voce copriva il mondo. Il mondo fa sentire la sua. Apriamo le orecchie.
Fusione dei ghiacci, esondazioni, uragani, pandemie infettive, la Biogea si mette a gridare. Ecco, infatti, che questo mondo globale, benché stabile sotto i suoi piedi, cade all’improvviso sulla testa di donne e uomini che se lo aspettavano così poco da domandarsi come accogliere, nella loro società senza mondo, scienze che, voltesi verso le cose del mondo, hanno appena fatto la somma, misurato le forze sovrane e udito la voce strana di questa totalità. Panico, il Grande Pan sta tornando!”
(Tempo di crisi, Bollati Boringhieri, 2010, pp. 54-5).

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il Pickwick

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