“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Antonio Cataldo

Sì, cambiare

Torna in Irpinia il festival internazionale del cinema Laceno d’Oro, giunto alla sua trentanovesima edizione. Quest’anno il premio principale, intitolato al giornalista e critico avellinese Camillo Marino – fondatore del festival – è stato assegnato al regista cinese Jia Zhang-Ke (di cui si sono visti quattro suoi lavori, tra cui l’ultimo A touch of sin), mentre il premio Giacomo d’Onofrio (collaboratore di Camillo Marino e insieme a lui condirettore della rivista Cinemasud) al giovane autore emergente è andato a Fabio Mollo per Il sud è niente.

Servi nella gleba

Due figure cominciano a muoversi sul palco, mentre alle spalle su un telone bianco si proiettano immagini di un campo innevato: còmpa Prisco e còmpa Mostino, come animali svegliatisi dal letargo, si ridestano dopo un sonno di chissà quanti anni.
Sono due contadini, due bifolchi, a giudicare dai poveri stracci indossati e dai ceffi che ne segnano l’aspetto (caricaturale sì, ma non lontano dagli irregolari visi dei poveri). Il loro è un linguaggio che comprende dialetti irpini di varia provenienza, con espressioni ormai desuete che nei paesi non si usano più (o le usano solo i vecchi), a fianco di epiteti tipicamente locali (“stordo”, “pepe” – davvero ignorati nelle altre province campane).

Quando passa la Banda

Secondo anno per la rassegna estiva avellinese La Bella Estate (dal 4 luglio al 24 agosto), come l’anno scorso punto di convergenza di varie espressioni culturali comprendenti musica, teatro, cinema, letteratura, laboratori per bambini. E  sempre con lo spirito di raccogliere contributi da parte delle molte realtà cittadine impegnate a vivacizzare la lunga estate di chi resta in città, con eventi e proposte interessanti. Cambio di location per il 2014: non più l’ex Carcere Borbonico, ma i locali e il terrazzo della parte superiore del Teatro Carlo Gesualdo (che ha concesso gli spazi).

La danza degli Insubri

Sundance, ossia danza del sole, uno dei rituali religiosi più impressionanti praticati da alcune culture di nativi del Nordamerica (come i Lakota), che prevede la pratica dell’autotrafittura fino alla lacerazione della carne. La simbologia evidente è il ricongiungimento dell’uomo alla dimensione spirituale rappresentata dall’albero attorno a cui si danza, e a cui si è legati da corde di cuoio che ad un’estremità sono provviste di rametti che trafiggono i pettorali dei danzatori. Dolore e annullamento di sé per ristabilire un equilibrio che preluda ad una rinascita.

Take a Chance

Si è conclusa la rassegna 'Una certa idea di teatro' tenutasi al Godot Art Bistrot dallo scorso febbraio, nel corso della quale si sono alteranti spettacoli di giovani autori, lontani dalle quelle convenzioni legate alla telegenìa degli interpreti che nulla hanno da spartire con la pratica di ricerca drammaturgica. L’onore di porre il sigillo a questa serie di appuntamenti – piccoli per allestimento ma grandi per riuscita (e passione) – è toccato a Chance, scritto e interpretato dai curatori stessi della rassegna, Gaetano Battista e Clif Imperato. Trattasi di una prima assoluta che ha visto la collaborazione dei due autori-interpreti, unici titolari del cartellone.

Medea & Medea

L’attrice entra indossando una maschera fatta di conchiglie e reggendo un candelabro. Sul palco vi sono candele, sassolini, specchi, conchiglie. Dagli altoparlanti esce il rumore del mare. Si toglie la maschera e si presenta: “Io sono Medea…”. Si toglie i monili e lo scialle. Rimane in sottoveste bianca, poi si lava le mani. E introduce la sua storia, confessando un senso di colpa per aver abbandonato la madre Idia nella lontana Colchide. D’un tratto una voce maschile ripete “traditrice”, mentre si diffonde una musica antica. E la narrazione si scioglie articolandosi in una dimensione emotiva che alterna la malinconia per l’illusione d’amore all’angoscia per le violenze subite, o di cui si è stato testimone. Che intervalla la sofferta rassegnazione della rievocazione alla lucidità del giudizio sulle dinamiche di potere degli uomini e degli dei. Alla fiera rivendicazione di una identità e volontà precise che non sono frutti della passione o del fato.

Federico secondo Ettore

“Io, nei miei occhi, passeggio sui rami. / I rami passeggiano sul fiume. / Vengono le mie cose essenziali. / Sono ritornelli di ritornelli. / Fra i giunchi e la sera bassa, / che strano chiamarsi Federico!”. Prima delle Canzoni per concludere, In altro modo è declamata nei suoi ultimi sei versi all’inizio dell’ultimo film di Ettore Scola, presentato fuori concorso alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia nel 2013: Che stano chiamarsi Federico – Scola racconta Fellini. Versi che ben introducono il sincero ed accorato ricordo dedicato al maestro del cinema italiano nel ventennale della sua scomparsa (31 ottobre 1993). Al di là dell’omonimia, la visionarietà e lo spirito libero e giocoso del poeta andaluso rivivono nello stupore immaginifico del grande riminese, nel suo sguardo appassionato e anarchico, fanciullesco e meravigliato. Uno sguardo carico di stupore e semplicità, indagatore e creativo.

Fratelli in Italia

“La legge 91 del 1992 indica il principio dello ius sanguinis come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, mentre l'acquisto automatico della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori. […].  La 'naturalizzazione' […] comporta non una concessione automatica del nuovo status ma una valutazione discrezionale da parte degli organi e degli uffici statali competenti”.

Cinema pop-up

Ultimo appuntamento con Visioni – Rassegna del Cinema d’Autore al Cinema Partenio di Avellino. Gradita conferma quella di Wes Anderson, già presente nella scorsa edizione con Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore, autore di Grand Budapest Hotel, presentato al Festival di Berlino 2014 e ivi premiato con l’Orso d’argento per il Gran premio della giuria.

Cieli neri sul Messico

Ancora un film che ritrae un percorso di migrazione a Visioni – Rassegna del Cinema d’Autore al Cinema Partenio di Avellino. Dopo le montagne del Trentino ritratte da Andrea Segre ne La prima neve questa volta sono i paesaggi del Messico in tutta la sua interezza ad essere al centro del cammino della speranza de La gabbia dorata. Per la precisione la storia comincia dal Guatemala, nella baraccopoli di una grande città, da dove tre adolescenti, Juan, Samuel e Sara (che si taglia i capelli e si fascia il seno per sembrare un ragazzo) partono per cercare fortuna negli Stati Uniti, come migliaia di altri disperati alla ricerca di un futuro diverso e migliore. Il film è il racconto di questo percorso geografico e umano, costruito sulle tante storie che il regista spagnolo Diego Quemada-Diez ha raccolto nei sopralluoghi fatti tra veri migranti lungo le rotte consuete degli spostamenti.

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il Pickwick

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