“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandro Toppi

Storia e scena nella stanza (teatrale) di Punta Corsara

La Storia
“Nel dopoguerra gli interventi culturali, così come quelli strutturali, rispondono a una sola parola d'ordine: ricostruire. Nella città martoriata sopravvissuta al secondo conflitto mondiale si assiste, fino almeno alla metà degli anni Sessanta, a un periodo di profonde trasformazioni, che avvengono in una realtà politica contraddittoria e instabile. Questa stessa realtà permette di ricostruire fisicamente Napoli attraverso una cementificazione selvaggia e incontrollata, il cui risultato è oggi sotto gli occhi di tutti e di cui, nel tempo, si sono subite le drammatiche conseguenze. Negli anni Cinquanta e Sessanta l'edilizia, in forma speculativa, diventa infatti l'unico settore dell'economia locale in evidente crescita. Si instaura così un clima di autorizzata illegalità che mette solide radici nella coscienza collettiva e raggiunge il suo apice sotto il governo del sindaco Achille Lauro, quando il potere politico inizia ad essere normalmente sinonimo di interesse privato”.

Il dramma di Tito

A detta di critici e studiosi Tito Andronico è un'opera talmente brutta che si fa fatica a considerarla di Shakespeare; di più: per tre secoli e mezzo ha fatto parte delle “attribuzioni dubbie” nonostante Francis Meres (uno che il poeta di Stratford lo conobbe di persona) assicura che si tratti di una drammaturgia shakespeariana già nel 1598; nonostante l'abbia registrata nel suo libro mastro Philip Henslowe, anche se col titolo sbagliato di Tito & Andronico; nonostante i riferimenti alla “cerbiatta da portare via sotto il naso del guardiacaccia” siano uno spunto autobiografico (si riferiscono allo Shakespeare che qualcuno afferma sia stato cacciatore di frodo) e nonostante nell'atto terzo, scena seconda, il padre (Tito) dica alla figlia (Lavinia) ciò che Lear dirà a Cordelia nell'atto quinto, scena terza, del Re Lear: andiamo nella tua stanza, lì leggeremo e ci racconteremo “storie accadute nei tempi antichi”.

Grazia Deledda, tra pagina e scena

Il libro, la vocazione 
Il principio di Quasi Grazia non appartiene all'assito, non coincide con l'incontro tra la regista e gli attori, non ha la forma incerta e nascosta delle prove: ha invece sostanza evidente, è un oggetto concreto che resta e, dunque, funge da elemento a priori dello spettacolo e da testimonianza a posteriori del suo processo produttivo.

Shakespeare, Romeo, Giulietta e Biancofango

Mi sorprende, studiando dopo averne visto la messinscena di Biancofango, scoprire che Romeo e Giulietta è una delle opere di Shakespeare sulle quali la critica libresca si è soffermata meno.

Sull'Otello del Nest

L'energia e la giovinezza
L'impatto con l'Otello della compagnia Nest è come uno sguardo di sfida al mio sguardo, come una spinta ricevuta in pieno petto: “sveglia” sembra volermi dire quest'Otello “e stai attento poiché vedrai qualcosa di necessario, che ti riguarda”: l'impressione, insomma, è che stia per assistere a uno spettacolo che ha energia, intraprendenza e carattere.

La poesia, indistruttibile memoria della vita

Dove c'è esperienza nel senso proprio del
termine, determinati contenuti del passato
individuale entrano in congiunzione, nella
memoria, con quelli del passato collettivo.
(Walter Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire)


La poesia è quel suono che produce conoscenza.
(Michele Sovente)

 
Conto cantanne schiante
Chiagne scuntanno cunte
Sconto cuntanno chiante
Schianto cantanno… punto.
(Mimmo Borrelli; 'A Sciaveca)

 

Da tre anni in Campania c'è un festival che non conosce la messa in pratica degli agganci amico-politici, che non ha Fondazioni dagli organici ingiustificabili, dalle esigenze pantagrueliche e dai bilanci chiaroscurali, che non chiede favori agli assessori di turno; un festival che ha un direttore artistico che non è stato nominato dagli esponenti dei partiti al governo; che non si nutre di finanziamenti estemporanei, da consumare e rendicontare entro il mese di dicembre e finalizzati solo alla pratica dell'evento-per-consenso; che non mira alla produzione di titoli destinati allo scambio, attitudine tacita ma assai frequente (nei grandi come in alcuni piccoli spazi) durante la consueta stagione teatrale.

I Ritornanti di Moscato

Ritornanti ha un prologo che si svolge nella metropolitana “artistica” di Napoli: adesso moderno nel quale la pluralità di passeggeri ricorda l'allora antico dei munacielli; reale che piano piano evoca, convoca e consente l'irreale e, con esso, il narrativo e il fantasioso; dissolvenza verbale che avviene in progressione e che permette l'apparenza della storia. L'epilogo invece – di nuovo in metropolitana –  è affidato a una vecchia signora: una Anna Maria Ortese di ritorno, che commenta suggellando il racconto che nel frattempo abbiamo letto citando un brano di Corpo celeste: “Avevo dimenticato...”, dice la Ortese. Nel mezzo il Ritornanti vero e proprio ossia la vicenda di Nannina e di Totore, e del loro figlio Tubbettiello, mandati da una Sanzara a salita Concordia 37 per l'occupazione di una casa destinata però subito a crollare: non prima, tuttavia, che gli spiriti che abitano l'appartamento abbiano ricompensato l'onestà della famiglia – e la sua naturalezza pura e primigenia – con la salvezza della vita, la ricchezza delle tasche, un futuro rinnovato.

Teatro e consenso in Campania

Un uomo è seduto in un carrello per la spesa, vestito in total white, con colletto alla coreana. Accovacciato all'interno – dunque egli stesso oggetto già selezionato e incarrellato da qualcun altro (l'amministrazione cittadina) – si fa spingere da una quindicina tra ragazze e ragazzi che gli fanno da coro e da serventi. È in questo modo che traversa il reparto di un supermercato (un non-luogo, per usare la definizione di Marc Augè) che probabilmente fa parte di un centro commerciale (altro non-luogo): sulla sinistra s'intravedono gli scaffali dedicati all'alimentazione bio (la naturalezza presunta mutata in offerta industrializzata) mentre a destra si distendono i banconi che contengono i surgelati: cibo la cui freschezza è stata sospesa perché riviva alla bisogna.

Lontano da voi. "Fedra", una tragedia politica

Premessa
Possiamo intendere Fedra come un patimento che appartiene all'anima e al cuore: una donna – ripetutamente tradita e abbandonata dal marito, tanto da considerarsene “vedova” – s'innamora del figliastro, lotta col desiderio (“Non voglio ciò che voglio”) ma ne esce sconfitta, dunque confessa questo sentimento e, non corrisposta, si vendica accusando di violenza carnale l'uomo che le ha detto “no”: ne viene la morte del giovane e quella della donna, incapace di sopportare la fine dell'amato.

Frammenti di vita, da Hopper al teatro

Quando facciamo riferimento a Hopper andiamo subito all'insieme di dipinti con cui – per dirla con una frase di Goodrich, frase che Hopper detestò – egli ci mostra “il volto fisico dell'America” e dunque gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta delle grandi città, dei villaggi di provincia, delle vaste distese rurali, degli scorci urbani e degli appartamenti arredati con gusto minimalista, squadrato e moderno.

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il Pickwick

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