“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 03 April 2022 00:00

Fazzoletti

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Litigavano da due ore, in automobile, sotto la pioggia battente, respirando polvere d’interni. Litigavano in maniera accesa e nel mentre lei chiedeva fazzoletti. Dove sono i miei fazzoletti, urlava, nel tentativo di spostare l’argomento della conversazione sul bisogno di asciugarsi, lacrime, sudore, muco. Non ne poteva più.

Era maggio e fino a poche ore prima girava il polline nell’aria, volteggiando come una giostra, sopra pensieri di svago e di rassegnazione. Pioveva in modo battente, scatenando chicchi di grandine che davano la palese sensazione di voler spaccare i vetri. Batteva forte. Lui urlava, lei faceva altrettanto, dimenandosi dal suo posto e slacciandosi una cintura che le stava segando le spalle per quanto era stretta. Insomma, lui urlava, lei pure. Lei sbraitava, lui cominciava  a perdere la voce. Il motivo della loro discussione sembrava essere rivolto all’atteggiamento che si adottava nei riguardi dell’altro quando si metteva ai fornelli. Lo facevano a turno. Quando toccava a lei, lui non faceva che criticarla, a cominciare dal livello di cottura del cibo, per poi passare alla quantità di sale. Quando toccava a lui, lei criticava aspramente la sua calma. Non avevano tanto tempo per mangiare, dovevano correre subito a lavoro. Utilizzavano salviette di carta monouso per pulirsi e dal modo in cui lo facevano, tradivano disprezzo nei riguardi dell’altro. E in quel preciso momento, chiusi nella macchina che aveva cominciato ad allagarsi, era esplosa una bomba di quelle a orologeria, difficile da disinnescare. L’acqua riempiva gli spazi. La grandine, penetrando nel motore, lo fece spegnere. L’umidità saliva fin dentro nelle ossa, attecchendovi la presa. E lei continuava a chiedere se poter avere un fazzoletto. Dove sono finiti. Dove sono finitiiiiiii. Gridava come un’ossessa. Cominciò a starnutire. Lo stesso fece lui. Cominciarono a starnutirsi in faccia, a ritmo sincopato. Fino a che la pioggia e la grandine e l’allagamento non cessarono, prendendo in considerazione la pietà, sentimento umano. L’acqua cominciò a defluire al di fuori dell’abitacolo, semi-parcheggiato all’angolo di una stradina a ridosso di una strada sterrata. Non erano molto distanti dal centro abitato ma la macchina non si metteva in moto. Aprendo gli sportelli, l’acqua fuoriuscì fiottando via ogni residuo di sporco. E i fazzoletti. Inzuppati e disgregati dal moto dell’acqua, si dileguarono via alla vista di lei. Lui si mise le mani nei capelli, zuppo. Lei si mise le mani davanti agli occhi, zuppa. Il sole fece capolino da dietro un ammasso di nuvole viola. Tornarono in pochi secondi a respirare di luce. L’umidità, capace di corrodere le ossa, impose loro una riflessione sulla violenza psicologica. Il fazzoletto era un pretesto. Lei immaginò lui con un fazzoletto sul naso e sulla bocca. Lui immaginò lei con un fazzoletto sulla bocca. Era come indossare una mascherina. Si poteva sentire il suono della voce e comprendere parole, discorsi, invettive, cattiverie. Starnutirono ancora. Più forte di prima. Sembrava essere una liberazione, una rivelazione. Il sole tornò a nascondersi però e una pattuglia della polizia sfrecciò sull’arteria principale, alzando una folata di vento. Un grande fazzoletto si posò sul vetro, incastrandosi nel tergicristallo del lunotto posteriore che per reazione avversa, cominciò a muoversi forsennatamente in su e in giù. Non appena notarono il fazzoletto si lanciarono a vicenda nel tentativo di catturarlo, finendo per scontrarsi. Caduti a terra, umidi e lerci, i coniugi considerarono l’idea di separarsi per un po’ di tempo. Quel fazzoletto si sporcò, lacerandosi. E starnutirono di nuovo. La volante della polizia tornava indietro e rallentò per chiedere se fosse tutto a posto. Sì, per qualcuno doveva essere a posto. Per loro no. Si ostinavano, agli occhi degli altri, a voler credere nel bene, quando tutto era andato a finire male. E senza fazzoletti. Un gabbiano si posò sul parabrezza anteriore. Cagò e volò via. Tutta colpa di quei fazzoletti, quei dannati fazzoletti. Ce ne voleva uno per pulire, visto che non ne potevano più dell’acqua piovana. Serviva ancora un fazzoletto, per pulire. Serviva un fazzoletto per pulirsi il naso dalle scorie di scarico di quelle stesse automobili. Serviva un fazzoletto per starnutire una volta per tutte sullo stesso. Serviva un fazzoletto per espellere il muco residuo. Serviva un fazzoletto per coprire la cacca dell’uccello. Improvvisamente lui si toccò, a protezione dello stesso. Improvvisamente lei si portò una mano sulla fronte, dicendo: “Ho dimenticato il gas acceso”. Lui si fiondò su di lei, avvinghiandosi al collo, con mani ferme e lesive. Lei, cercando di liberarsi della sua morsa, lo colpì dritto nelle palle, riuscendo a fargli allentare la presa. Lei si alzò gridandogli contro improperi, perse l’equilibrio, cadendo con il culo per terra. Svolazzando, come se niente fosse, giunse un fazzoletto per lei e un fazzoletto per lui. Entrambi i fazzoletti arrivarono per ricoprire le loro bocche. Si zittirono ma nonostante tutto continuarono a mugugnare dietro la carta, producendo sottili fori di passaggio dell’aria, delle voci, dei singulti, dei recalcitranti ululii di esseri non umani. Bla, bla bla bla bla blaaaa bla bla bla bla blaaaaa blaaaa blablablablablablablabla, poi buh! Facevano paura a loro stessi. Serviva un fazzoletto per stringer loro i polsi e legarli alle loro manie. Uno spicchio di sole, nel frattempo, cominciò a generare seccume sulla cacca del gabbiano. Lui si toccò il sesso, lei pure. Amore, da quanto non facciamo l’amore? Si sentì dire. Amore, da quanto non facciamo l’amore? Si sentì ripetere. Serviva un fazzoletto per pulirsi, prima o poi. Serviva un fazzoletto. Serviva. Il gabbiano tornò e cagò sul lunotto posteriore di struscio. Serviva un fazzoletto per tappare i buchi indisposti. Amore? Non era amore. E non facevano nemmeno più il sesso. Dello sfogo avrebbe giovato loro. Ebbero l’impressione che il gabbiano se la stesse ridendo. Tuoni, fulmini e saette tornarono d’improvviso a squarciare il cielo. Il sole non era riuscito a seccare la cacca. Nuova pioggia si appressava all’orizzonte. I coniugi, sfiniti, avevano perso la voce e pure le forze. Tentarono di rimettersi in piedi e barcollando si poggiarono alla vecchia automobile. Le ruote si sgonfiarono, bucate, tutte e quattro. Non ce n’era nemmeno una di scorta. Riuscirono a pensare ancora ai fazzoletti, soltanto a quelli. Si dimenticarono rapidamente persino del sesso, figuriamoci dell’amore. Era troppo tempo, troppo tempo che non lo facevano. E urgevano fazzoletti. Fazzoletti per sputare via ogni veleno. Fazzoletti per tapparsi bocca, naso, occhi. Fazzoletti per proteggersi dal mondo esterno. Fazzoletti per ricoprire gli escrementi. Fazzoletti per pulire. Fazzoletti per proteggersi il capo, chino, a terra. Fazzoletti su fazzoletti per sparire e non vedersi, non trovarsi più. Fazzoletti dopo fazzoletti dopo fazzoletti ancora. E acqua, pioggia, grandine, un maremoto. Due coniugi, un gabbiano volato via. Niente più escrementi, solo acqua, tanta acqua.

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