“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 31 December 2021 00:00

Il faro

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− Il 234?
− Già. Per fortuna è un numero facile da ricordare. 2.3.4. In progressione. E di buon auspicio. La somma fa 9: numero perfetto, secondo i Pitagorici.
− Allora, vedrai che ci porterà fortuna.

− La chiave l’hai tu?
− Eccola.
− Be’ carino, no? Molto luminoso.
− Sì, davvero. Niente male. Con questa bella vetrata...
− Le tende sono pulite.
− Le hai già annusate? Sempre la solita! Cerca di non rovinare tutto con la tua mania di sterilizzazione... Dobbiamo goderceli, questi quattro giorni. Fare pazzie!
− Non siamo mai stati capaci, noi, di fare pazzie. Di diventare diversi da quello che siamo.
− Proviamo. Io non mi sento già più un impiegato. Antibes, ci pensi? Natale sulla Costa Azzurra! Roba da nababbi. Da far morire d’invidia quei quattro poveracci dei nostri amici...
− L’importante è che ci ritroviamo, noi due. Abbiamo tanto bisogno di ossigeno.
− Ecco, brava. Il tuo vecchio buon senso femminile. Sempre coi piedini per terra. A controllare le macchie sul tappeto, se il water è pulito...
− Oh, ti prego... Non doveva essere la nostra seconda luna di miele? Vuoi che iniziamo subito a litigare?
− No, no, va bene. Siediti un po’ vicino a me. Cosa fai di là? Non ti sarai già messa a disfare le valigie?
− Se vuoi posso farlo più tardi. È che i vestiti si sciupano, così piegati.
− Vieni qui, ho detto. Senti com’è comodo questo divano. E che bella stoffa…
− Starebbe bene anche da noi, nel salotto. Ma è troppo delicato, i bambini lo concerebbero subito.
− Hai visto che abbiamo anche due terrazze?
− Non esagerare. Due balconi, vorrai dire.
− Veramente, questa qui davanti è proprio una terrazza: il tavolo, le sedie, due sdraio. Cosa vuoi di più? Vieni, affacciati!
− Che bei fiori, in dicembre!
− Non siamo mica a Milano! Qui è primavera tutto l’anno. Infatti chi può viene a svernare da queste parti. Chi può, ovviamente. Hai notato che prezzi?
− Continuamente a parlare di soldi. Guarda un po’ il panorama, invece.
− Cosa vuol dire, parlare di soldi? Non piacerebbe anche a te vivere di rendita qui, o a Nizza, a Cannes?
− A me vanno bene questi quattro giorni, così, con te... Forse per più tempo mi stuferei.
− Io no. Voglio tentare il colpo grosso al Casinò. Domani, va bene? Domani ce ne andiamo a Montecarlo.
− D’accordo. Purché ci rimanga abbastanza per il ritorno.
− Guarda la piscina, quaggiù. Capace che i tedeschi la notte di Capodanno ci si tuffano.
− Che acqua azzurra! E quella deve essere la vasca per i piccoli... Chissà i nostri come si divertirebbero!
− Siamo qui da meno di un’ora, ed è già la seconda volta che li nomini, i bambini. Hai nostalgia? O pensi che tua madre non li tratti bene?
− Dev’essere la forza dell’abitudine. È così strano non averli addosso, a toglierci il fiato, come di solito. Mi sembra quasi imbarazzante che ce ne stiamo qui, soli, neanche fossimo ancora fidanzati. Mi fa quasi paura.
− Non capisco. Mi senti estraneo, o ti senti estranea tu?
− Anche. Rifletti un attimo: davanti a noi, tra il residence e la spiaggia, vivranno cinquantamila persone...
− Sei matta? Nemmeno la metà.
− Comunque, facciamo pure ventimila persone. E nessuno ci conosce.
− E allora? Meglio, no? Possiamo fare quello che ci pare.
− Come no? Potremmo anche sparire e nessuno se ne accorgerebbe.
− Che idea!
− Forse non riesco a spiegarmi. È che tutta questa bellezza (le palme, il mare, le vele, e più in qua le ville, gli hotel...) è assolutamente indifferente a noi due, a quello che proviamo. Al punto da farmi rabbia. E quasi quasi mi sento esclusa da un panorama così superbo. E lontano.
− Sono le cinque, ormai, e cominciano ad accendersi le luci. Vedi Nizza, laggiù a sinistra, tutti quei puntini: sono case, negozi, gente. Pensa a quante storie esistono nel mondo. Come la nostra, o diverse. È che in tanti anni passati a preparare pappe, a lavare biancheria, il tuo orizzonte si è ristretto: vivi in funzione di quello che sei, o che sei stata fino a ieri. Non provi neanche un po’ di curiosità verso gli altri, nuovi posti, nuovi modi di vivere?
− Meno male che ci sei tu, almeno. Pensa se fossi su questo balcone proprio da sola...
− Io vorrei vedere tutto, essere dappertutto, entrare, uscire, girare, godermi il mondo intero. Mi fa malinconia solo l’idea del rientro a Milano.
− Cannes non si vede, da dove siamo noi?
− No. È a destra, ma noi siamo quasi in cima al promontorio, di qui non si vede proprio. Domani mattina facciamo la visita guidata in città. La parte vecchia, ho letto sulla guida che non si deve perdere.
− Comincia a fare fresco. Entriamo?
− No, dai, stiamo ancora un po’ fuori. Guarda il mare, al largo ci sono due imbarcazioni che si scambiano segnali. Laggiù c’è una rocca: forse Antibes era romana, che dici?
− Mah, tutto era romano, duemila anni fa.
− Già. E duecento anni fa Nizza era italiana. Chissà se c’è ancora la casa di Garibaldi.
− Quella luce cos’è?
− Dove?
− Un fascio di luce che oscilla, lì a destra, sul mare.
− Dev’essere il faro. Che bello, guarda! Non credevo che girasse così velocemente. Tra poco illuminerà anche il paese.
− Passerà su di noi?
− Dovrebbe.
− Vado a spegnere le luci, dentro. Così farà un effettone.
− Capirai, dura un attimo.
− Sarà come la lampada che i poliziotti spianano in faccia ai ladri, quando li catturano in flagrante.
− Quindi noi saremmo i ladri?
− O come l’occhio di Dio, quando ci illuminerà nel giorno del giudizio...
− Mi fai ricordare un’illustrazione sulla copertina della dottrina che avevo da piccolo. C’era un triangolo, e all’interno un occhio enorme, indagatore, da cui si diramavano raggi di luce gialla, potente.
− Bene, se siamo qualcosa per Dio, in questo istante, lo saremo anche per il faro, quando ci illuminerà.
− Ecco, vedi, adesso comincia a girare sulla terraferma. Il molo, la cattedrale. Si avvicina.
− Lo vedo, mi fa impressione.
− Ecco che arriva.
− È passato.
− Sì, è già oltre.
− Ma tu te ne sei accorto, quando ci ha illuminati?
− No, a dire la verità. No. Deve essere stata la frazione di un secondo.
− Io ho visto tutto nero, altro che luce. Come se ci avesse annullato.
− Sì, anch’io per un attimo non ti ho più visto, né il terrazzo, né il panorama. Forse siamo stati accecati. 
− Ho paura, rientriamo.
− Macché, non ti riconosco più. Cosa ti succede? Hai paura della luce del faro?
− Hai fatto quei discorsi, sull’occhio di Dio.
− Tu, li hai fatti. Tu hai detto che se esistiamo per Dio esistiamo anche per il faro.
− Già. Quindi se non esistiamo per il faro, vorrebbe dire che non siamo niente, neanche per Dio. Che non ci siamo.
− Stai delirando. Come facciamo a non esistere per il faro? Il faro è una luce, è qualcosa di oggettivo e di stupido, di inerte.
− Io entro.
− E io rimango fuori, almeno finché riprende a oscillare. Abbiamo avuto un’allucinazione ottica, è chiaro.
− Vieni dentro anche tu. Mi avevi promesso che avremmo fatto l’amore.
− Subito, dopo. Aspetta un attimo. Stiamo qui ancora un po’.
− Ho paura.
− Non devi: non è niente. Ti do la mano, anzi: ti tengo stretta. Rimaniamo finché non ci illumina, e teniamo gli occhi ben aperti.
− Ma se invece di illuminarci, ci annullasse? Se finisse tutto, per noi, in un attimo, proprio a Natale?
− Non dire sciocchezze...
− E se non fosse il faro, ma qualcos’altro?
− L’occhio di Dio?
− Forse. O qualcos’altro.
− Stai zitta. Guarda che riprende a oscillare.
− Nessuno sa che siamo quassù, noi. Non siamo niente per nessuno, adesso. Entriamo!
− Taci. Lo vedi? È sul molo.
− Dammi la mano.
− Tieni gli occhi aperti, si avvicina.
− Entriamo...
− Non puoi aver paura di una luce!
− Ci cancellerà.
− Stai zitta. Eccolo. Guardiamolo in faccia. 





In Fine dicembre, Le Onde, Chianciano Terme (SI), 2010, e in Inverni e primavere (e-book), 2016

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