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Monday, 09 November 2020 00:00

Tra vita e poesia: intervista ad Achille Pignatelli

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Achille Pignatelli, giovane autore napoletano, ha pubblicato per Homo Scrivens la raccolta I ritorni. Orientarsi tra il suono della spazio e la forma del tempo. Recentemente è stato tra gli ideatori del flashmob “Io sono un poeta”, che ha avuto luogo a Napoli lo scorso 30 ottobre.



La tua raccolta si apre con alcune riflessioni sul tempo lineare e quello circolare, in cui ogni cosa è destinata a tornare: per te quanto conta il concetto di tempo, comunque venga inteso,
nella poesia?
Aristotele diceva che il tempo è il nome che diamo al cambiamento, quindi possiamo pensarlo come l’unità di misura delle cose e delle relazioni, poiché è nel ricordo che risiede quel complesso e tumultuoso mondo interiore, fatto di legami e riflessioni, di momenti di gioia e malinconia, che ci permette di stare al mondo. La poesia è, da un lato, uno spazio di relazione tra l’io e l’altro, e dall’altro uno strumento di analisi e critica della circostanza, e per sua natura disobbedisce ai limiti della mortalità, alle leggi dello spazio e del tempo, quindi credo sia uno spazio di connessione fondante e straordinario.


Hai uno stile limpido che però non scade nella semplificazione, ti piace giocare con la metrica (c’è anche una sezione dedicata agli haiku): in tal senso quanto credi sia importante il riferimento ai classici? E quanto, invece, l’emancipazione da questi?
Bella domanda! Credo che per fare un passo in avanti, in qualsiasi settore, devi avere ben presente le tue radici. Oltretutto, ho la sensazione che ogni movimento letterario che ha arricchito la storia della letteratura sia sempre partito dallo studio dei classici, è un po’ un modo per ritrovare sé stessi. Ma questo è solo un punto di partenza; la ricerca poetica è un percorso che non si arresta mai, mira alla creazione di un'identità che è prima di tutto personale e poi linguistica.


Curi una rivista, Mosse di Seppia: ce ne parleresti?
La rivista letteraria Mosse di Seppia è una rivista indipendente e cartacea nata nel 2014, fondata da Lisa Davide, che è tuttora la nostra direttrice, io ne sono il direttore artistico e caporedattore della sezione di poesia. Mosse di Seppia nasce come spazio d’espressione di un gruppo di autori, scoraggiati dall’editoria a pagamento e dalla seriosità di certi ambienti letterari; già dal nome, si percepisce il gioco, la freschezza che deve avere la poesia, il non prendersi troppo sul serio quando si fa e di parla di letteratura. Ed è confortante vedere che la maggioranza dei nostri lettori è composta da giovani, come la redazione è composta per lo più da under 30, vuol dire che ci stiamo muovendo verso la giusta direzione.


Tra  le varie manifestazioni di questo periodo c’è il flashmob “Io sono un poeta”: com’è nata l’idea? È nata dall’incontro tra Rosa Mancini, Nunzio Di Bernardo e me durante un evento organizzato nella galleria d’arte WeSpace, poco dopo si è aggiunto anche Marco Izzolino. È stato un incontro molto rapido, ci siamo trovati immediatamente d’accordo sulla necessità di prendere parola, come poeti e scrittori, su quello che sta accadendo. Per la cultura è un periodo estremamente duro. Oltre a muoverci per la realizzazione del flashmob, abbiamo creato il collettivo Sentieri Poetici, che continuerà a manifestare a sostegno della categoria degli scrittori.


In Italia il lavoro intellettuale e artistico viene svilito da anni, d’ora in poi rischia di esserlo ancora di più, eppure è qualcosa a cui si dovrebbe riconoscere dignità per lo studio che richiede. Cosa pensi di questa situazione? 
Partiamo dal fatto che il lavoro artistico, sia come artisti che come tecnici, non è mai stato considerato un “lavoro”; questa è una delle battaglie principali del collettivo NaDir, di cui faccio parte: restituire dignità ai lavoratori dell’arte. È uno stato di cose mortificante, oltre che insostenibile. Bisognerebbe trovare delle forme di tutela per ogni categoria artistica, e, nello specifico, per scrittori e poeti. C’è tanto studio alle spalle, il poeta sonda la quotidianità ed esperisce la vita, di conseguenza se quel mondo di relazioni viene meno, che sia per chiusure o mancanza di una fonte di sostentamento, l’arte diventa un sacrificio, e le voci, lentamente, si affievoliscono, per poi sparire nel caotico vuoto che ci ha travolti.

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