“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 14 February 2020 00:00

Dialogando con Marta Cuscunà

Written by 

Al Teatro Biagi D’Antona di Castel Maggiore è andato in scena lo spettacolo scritto, diretto, recitato e prodotto dalla talentuosa Marta Cuscunà È bello vivere liberi!: un racconto splendido, che narra la vita di una giovanissima staffetta partigiana, Ondina Peteani, che con l’entusiasmo dei suoi diciassette anni, si unì alle lotte per la Liberazione dalla dittatura fascista.

Nella Venezia Giulia la lotta antifascista iniziò prima che nel resto d’Italia, già nel 1941, data la presenza, poco lontano, dei resistenti sloveni che coinvolsero i giuliani. Lo spettacolo, scritto nel 2009, continua a essere portato in giro con coscienza politica e spirito di umanità e il teatro di Castel Maggiore lo ha inserito all’interno di un percorso più ampio, con cui s’affronta il tema della Memoria e il ricordo della Shoah: un ciclo di approfondimenti dovuto alla sensibilità della sindaca, Belinda Gottardi, e di Elena Di Gioia e di tutta l’Associazione Agorà, che da diversi anni lavorano sul territorio per diffondere cultura e conoscenza.
Ciò che più mi colpisce di quest’opera è la resa della voglia di combattere, il desiderio di costruire e d’esserci che apparteneva a Ondina; mi colpisce la consapevolezza di quanto fosse importante la partecipazione: netta, decisa e irrefrenabile anche quando si è così giovani. L’idealità tutta intera, ecco, e l’abnegazione e la voglia di vivere e il brivido del rischio e dell’esporsi e le emozioni forti e intere e  finanche l’allegria − sì, l’allegria − che in certi momenti permea un momento (personale prima che storico, collettivo e politico) che è drammatico. Questo entusiasmo puro, fresco e adolescenziale, consente a Ondina di sopravvivere: seppur mutilata, nel corpo e nell’anima, al campo di sterminio di Auschwitz-Birkeanu.
Marta Cuscunà, con la poliedricità e la sensibilità che sono note e attraverso un talento che è indiscusso e cristallino, riesce a riportare − con la recitazione, con l’utilizzo dei suoi amati e meravigliosi pupazzi, mossi con leggiadria commovente, e con i gesti e gli sguardi e le parole − l’incanto e al contempo la tragicità di quel tempo fino a descriverne un’inscalfibile magia: la magia della voglia di libertà.
Ho dialogato dunque con Marta Cuscunà ed è stata per me unoccasione intensa, “magica” appunto.


Da cosa hai tratto stimolo, ispirazione per lo spettacolo È bello vivere liberi!?
L’elemento basilare per la spinta a scrivere è stato apprendere che una ragazza così giovane abbia compreso che il suo contributo fosse fondamentale per cambiare le sorti di un intero Paese. La differenza fondamentale che vedevo tra il racconto di Ondina e la mia generazione si traduceva nella sensazione di essere noi totalmente incapaci di incidere sulla realtà in cui viviamo. E quindi l’esperienza di Ondina, il suo “rimboccarsi le maniche” per costruire l’Italia in cui voleva vivere, in quello che è stato il suo periodo più felice: nonostante tutte le atrocità che ha dovuto affrontare. Questo mi ha fatto pensare che da un lato la mia generazione si è risparmiata la fatica dell’impegno civile ma, forse, si è persa anche l’entusiasmo di cui ci parla Ondina.


Sembra anche emergere, oggi, una generale indifferenza che può diventare egoismo e mancata partecipazione
La mia sensazione è che siano riusciti a convincerci che sono tutti uguali, che tanto non cambia niente, e che la politica è diventata una professione mentre per quella generazione lì la politica era il compito di ogni cittadino.


Sì, la politica era una passione e anche un dovere personale e civile…
Esatto. E in qualche modo c’era la consapevolezza che nessuno avrebbe costruito il Paese dei loro desideri al posto loro. Quindi Ondina, e i suoi compagni e le sue compagne, si sono chiesti se quello era il luogo in cui volevano vivere il loro futuro, si sono risposti di no e hanno iniziato ad agire per cambiarlo davvero. Certo, nei dieci anni di È bello vivere liberi!  devo dire che sono mutate le cose e, ad esempio, il movimento Fridays for Future mi fa pensare che non è più la mia generazione: adesso ce n’è un’altra che ricomincia a credere che il proprio contributo sia di nuovo fondamentale.


Partendo da tematiche come l’ecologia e la giustizia climatica.
Sì: Ondina e i suoi compagni parlavano di giustizia sociale; oggi, attraverso il discorso e l’impegno sulla questione ambientale, si sta ritornando a parlare, e occuparsi, di uguaglianza.


Quello climatico potrebbe essere un mezzo che serve per ridestare anche delle idealità egualitariste, sempre meno popolari e spesso osteggiate e finanche derise? Te lo chiedo alla luce del fatto che la sindaca di Castelmaggiore, nel parlarci del Giorno della Memoria e nell'introdurre il tuo spettacolo, ha parlato di esperimenti nelle scuole e della tua matinée per gli studenti. Ecco, ti chiedo se hai notato delle differenze nella percezione e nelle sensazioni tra adulti e bambini, e se hai portato questo spettacolo nelle scuole o se pensi di farlo in futuro
Solitamente proponiamo lo spettacolo per gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori. A volte capita anche che le famiglie portino i loro figli più piccoli, quindi abbiamo avuto in platea pure bambini di cinque anni. È chiaro che ogni fascia d’età reagisce in modo diverso. I ragazzi di medie e superiori si vedono rispecchiati: Ondina è una figura simile a loro ma che vive esperienze radicalmente diverse dalle loro. Per questo spesso hanno domande, esprimono curiosità e perciò la parte interessante, direi quasi irrinunciabile, è il momento finale in cui apro il confronto. Alcuni, soprattutto i ragazzi più piccoli, che non sono abituati a venire a teatro, hanno invece bisogno di essere rassicurati sull’interpretazione dei simboli.
A mio avviso ogni spettatore ha diritto di dare la propria interpretazione. È suo compito precipuo leggere i segni che ha davanti. Di solito quando i ragazzi mi chiedono, ad esempio, il senso del fiore rosso nel vagone, o che cosa significhi la mano rossa, tento sempre di fare emergere da loro cosa abbia significato quell’oggetto o quel momento per loro. Dai bambini e dai ragazzi provengono delle suggestioni interessanti, perché non avendo essi sovente le nozioni storiche o storiografiche, riescono a interpretare quel che hanno veduto attraverso l’emozione.


E i simboli che vengono fuori dall’emozione sono sempre di accoglienza e comprensione, oppure ti è successo che qualcuno abbia reagito in una maniera avversativa?
Sono rarissime le volte in cui avviene un confronto aspro. L’unica circostanza di questo tipo si è verificata in una scuola a Cervignano, in Friuli: un ragazzo grande, di quinta superiore, ha contestato il fatto che l’alternativa comunista nello spettacolo venisse rappresentata come la soluzione di tutti i mali e come un sogno.



Una soluzione idilliaca?
Esattamente. Il ragazzo sosteneva che non si dice il vero rispetto a quel che è avvenuto in Russia o in Cina... Ho cercato di spiegargli che in effetti per Ondina e i suoi compagni quello comunista era veramente l’Ideale e che il punto focale da sottolineare fosse che ogni ideale può essere diverso per ciascuna persona che lo mette in pratica. Prendendo come esempio il cattolicesimo, l’istituzione della Chiesa non sempre ha rispecchiato e rispecchia i propri valori, e questo è avvenuto anche per il comunismo in diversi Paesi. Sempre per rimanere sull'esempio di Ondina Peteani, dopo la guerra lei stessa ha avuto difficoltà nel PCI, perché conviveva con un uomo pur non essendo sposata. Ciò veniva considerato un atteggiamento immorale che avrebbe potuto mettere in cattiva luce il partito. Si può dire pertanto che da un lato ci sono la realtà e come l’ideale viene messo in pratica, mentre dall’altro c'è “l’idea dell’ideale”, per la quale quei ragazzi e quelle ragazze a suo tempo si sono dati completamente.


Parlando ora dei tuoi strumenti di scena, i pupazzi, sono rimasta colpita dalla tua maestria, dalla loro bellezza e complessità, dalla delicatezza che hai nell’usarli. Sembrano delle estensioni del tuo corpo, e anche dell’anima. Com’è nata questa tua fascinazione per i burattini?
Ho avuto la fortuna di partecipare a un workshop condotto da Joan Baixas, un regista catalano che lavora principalmente con i linguaggi del teatro visuale: è stato anche direttore del Dipartimento di teatro visuale dell’Accademia d’arte drammatica di Barcellona. Dopo un workshop a San Miniato, in provincia di Pisa, nella Scuola europea per l’arte dell’attore, Baixas mi consigliò fortemente di utilizzare questo tipo di linguaggio, che vedeva consono a me, e mi chiamò a lavorare a Barcellona, per cui sono stata presa a bottega da lui. Ho partecipato a due produzioni con la sua regia, in una delle quali erano presenti dei pupazzi che Joan Baixas aveva costruito insieme a Joan Mirò alla fine degli anni Settanta. Quello spettacolo era ispirato all’Ubu Re di Jarry in cui chiaramente Mirò e Baixas facevano una critica al regime di Franco che all’epoca era ancora nel pieno della sua dittatura. Era uno spettacolo di pupazzi, di critica a un regime che veniva fatta in modo clandestino, con il passaparola tra gli spettatori, i quali talora erano costretti a disperdersi per l'arrivo delle truppe franchiste. Quindi l’impatto con il teatro di figura è stato per me sempre politico. Ho studiato con un regista che mi ha mostrato come con questi linguaggi si possono trattare tematiche importanti e si può incidere sulla realtà politica.


Infatti il tuo teatro mi sembra molto politico, molto legato ai temi civili più rilevanti. Allora, ti chiedo, partendo dallo spettacolo di questa sera: come vedi il ruolo delle donne, l’importanza delle politiche di genere, dell’uguaglianza formale e sostanziale tra uomo e donna?
Credo che questo periodo storico abbia le radici in due rivoluzioni che sono destinate e restare nella storia: la rivoluzione ecologista e la rivoluzione femminista e trans-femminista. Ciò che si è creato soprattutto dal 2017 in avanti, con i Movimenti “Me too”, “Quella volta che”, ha scatenato un cambiamento da cui non si torna indietro. Nel 2009 ho scritto questo spettacolo anche perché mi ero stupita di come nella lotta di Liberazione ci fossero i semi di un movimento che invece, per come mi era stato raccontato, era iniziato appena negli anni Settanta. Mi ha colpito la consapevolezza delle donne, negli anni Quaranta, di essere necessarie per la democrazia, perché la loro situazione rispetto agli uomini è stata radicalmente diversa: gli uomini venivano chiamati alla leva (e talvolta disertavano), mentre alle donne nessuno chiedeva di impegnarsi, di partecipare; loro avrebbero potuto restarsene inerti, ad aspettare. Scoprire invece che il contributo femminile alla Resistenza possiede un significato a sé stante, diverso da quello maschile, mi ha spinto a cercare se ci fossero dei prodromi ancora precedenti e da lì ho scoperto la storia de La semplicità ingannata, che risale al 1500. Proseguendo a ritroso mi sono imbattuta ne Il canto della caduta che è qualcosa di addirittura ancestrale. Trovo rilevante sottolineare che i discorsi su una società egualitaria, sul ruolo femminile nella società, hanno radici antichissime e l’auspicio è che l’approfondimento di tali ragionamenti e la loro trasposizione in messaggio artistico − come appunto ne Il Canto della caduta − possa portare a un modello sociale completamente diverso. E visto che oggi le pensatrici femministe sono molto spesso eco-femministe, l’obiettivo politico potrebbe divenire quello di realizzare una società che sappia essere rispettosa nei confronti delle donne ma anche delle minoranze, dell’ambiente, delle risorse naturali.


… Che poi è il pensiero dell’intersezionalità, di cui da alcuni anni si parla anche in Italia: è come se si unisse una lotta al patriarcato dominante e anche a questo capitalismo selvaggio, neanche più economico, quasi solo finanziario, oramai. Quindi il tuo studio e il tuo percorso della Storia a ritroso sono ancora più interessanti.
Ti faccio un’ultima domanda: com’è il mondo di Marta Cuscunà?

Il mio mondo è quello del teatro, dell’arte, quindi è un mondo di persone già sensibili a certe tematiche. È un mondo aperto, ma mi sembra vi manchino alcune persone con cui è difficile entrare in contatto. È un mondo in cui è bello stare, è arricchente, accogliente e stimolante, e mi piacerebbe si allargasse a un altro mondo che sembra essere prevalente, invece ostile, razzista.


Io penso che è importante anche se raggiungi una sola persona o due, che sono esterne ed estranee al “tuo mondo” che non è velato, ma in qualche modo è dorato. Così si può costruire un altro territorio magari diverso, ma comunque bello e importante, di condivisione dei valori.
Concordo. I bambini e i ragazzi sono il ponte attraverso cui far sì che avvengano scambi e incontri che siano in grado di dare nuove visioni. È importante che i ragazzi arrivino a teatro prima di decidere che il teatro non fa per loro, perché a volte vige il pregiudizio che il teatro sia una dimensione colta, impegnata, distante dalla realtà. Quindi sì, il collegamento tra sensibilità e vissuti differenti sono i giovani. L’auspicio è di allargarlo, questo mondo, perché certi messaggi di bellezza e democrazia possano diffondersi maggiormente.


Già, speriamo di allargarlo, questo mondo. Grazie mille, Marta, per questa conversazione.
Grazie a te.

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook