“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 05 July 2019 00:00

PSCK19 − Intervista a Bottega degli Apocrifi

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Dal 2 al 5 luglio il Napoli Teatro Festival Italia ospita il Puglia Showcase Kids 2019 ovvero − per citarne il sottotitolo − “una vetrina di teatro e danza pugliese per i ragazzi". Tre spettacoli al giorno, tra il Teatro Nuovo e il Cortile delle Carrozze del Palazzo Reale di Napoli; eterogeneità dell'espressione artistica; un insieme di storie differenti e la possibilità, per gli spettatori campani, di conoscere parte dell'eccellenza del nuovo teatro proveniente dalla Puglia.
Il Pickwick, in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, ha deciso di anticipare e di accompagnare la presenza carnale degli attori con interviste che favoriscano la conoscenza dei teatranti che saranno di volta in volta in scena in città.



Per cominciare: raccontateci la nascita della compagnia; raccontateci la vostra storia e i vostri spettacoli e – attraverso gli spettacoli – la vostra poetica, il vostro modo di stare in scena.
Bottega degli Apocrifi nasce nel 2000 a Bologna, nelle aule del CIMES − il Centro Interdipartimentale di Musica e Spettacolo dell’Università − come collettivo di ricerca teatrale... collettiva la regia, collettiva la drammaturgia, collettivamente si sta in scena. Il graduale e naturale riconoscimento dei ruoli è stato parte integrante del nostro percorso artistico, che ha portato ad affidare la regia a Cosimo Severo, la drammaturgia a Stefania Marrone e la creazione di musiche originali − che caratterizzano tutti i nostri spettacoli − a Fabio Trimigno.
Il nostro primo lavoro è stato Come una filastrocca (2001), una favola per adulti tratta dai vangeli apocrifi. Ci interessava indagare il punto in cui sfuma il confine tra umano e sacro, ci piaceva l’idea di dare voce a questi testi “non riconosciuti”. A pensarci oggi forse diremmo che è un karma!
Nel 2004 con l’obiettivo politico di coltivare il deserto, ci siamo trasferiti da Bologna a Manfredonia, in provincia di Foggia.
Quando siamo arrivati qui  non c’era uno spazio dove immaginare di fare teatro, non c’era un pubblico teatrale − se non i diciotto abbonati ultraottantenni che seguivano la stagione dei nomi televisivi al cineteatro parrocchiale − e soprattutto non c’era nessuno che sentisse il bisogno o la mancanza di teatro.
Noi avevamo chiara una sola cosa, ed è stata la nostra salvezza: eravamo venuti qui a fare teatro e non a salvare il mondo; solo che per fare teatro − vivaddio − avevamo bisogno delle persone, avevamo bisogno di quella relazione che rende artisti e spettatori gli uni garanzia dell’essere vivi degli altri.
Consideriamo fondamentale per stabilire relazioni autentiche l’avere qualcosa da dire, qualcosa che interroghi le persone che hai di fronte, che le spinga a restare sveglie e non troppo comode sulle poltrone.
Abbiamo scavato tra le ferite di questo territorio, rintracciando quelle ancora aperte, siamo andati a cercare i conflitti drammaturgici della comunità che avevamo intorno. Sono nati così spettacoli come SottoSopra. La città salvata dalle donne e altri scherzi simili (2007) e Controra (2009).
Il primo a partire dalla vicenda del petrolchimico che ha distrutto il paesaggio, la salute e la pace di non poche famiglie; il secondo a partire dai nuovi abitanti (stranieri) di una terra senza più uomini (emigrati per lavoro). Il primo con un coro attorale di donne − casalinghe, insegnanti, avvocatesse, studentesse, imprenditrici − il secondo con un coro attorale di rifugiati politici.
Il coinvolgimento della comunità è diventata sostanza drammaturgica di molti dei nostri lavori, pensiamo per tutti allo spettacolo Lorenzo Milani (2016) che per andare in scena ha bisogno di incontrare (proprio come il prete di Barbiana) un gruppo di ragazzi della città che lo ospita; pensiamo alla nostra ultima produzione Uccelli, che ha debuttato la settimana scorsa con un coro di cento bambini e ragazzi di Manfredonia e che a settembre volerà in Spagna a creare un nuovo coro con i ragazzi di Saragozza.
Se l’incontro artistico con gli adolescenti è stato immediato al momento del nostro arrivo a Manfredonia, l’avvicinamento ai più piccoli c’è stato nel 2010. È arrivato così Nel bosco addormentato (2010), vincitore del Premio Eolo come miglior novità, e poi Sinbad (2013) e Schiaccianoci (2017), spettacoli che ci hanno permesso di incontrare bambini e famiglie − cittadini − di tutta Italia. Spettacoli caratterizzati da una regia visionaria, da drammaturgia originale (anche quando sono senza parole!) e da musiche originali che hanno piena valenza drammaturgica; spettacoli che parlano ai più piccoli di sogni e di destino, ai più grandi di coraggio e libero arbitrio, restando sempre soprattutto un magico gioco teatrale.


Il teatro pugliese, in questi anni, si è caratterizzato per una costante relazione col territorio: dalle residenze “abitate” a un’attività creativa che non si è limitata alla proposta spettacolare. Che relazione avete avuto e/o avete col contesto di appartenenza?
Quando siamo arrivati a Manfredonia non esisteva la parola laboratorio, tanto che − dopo aver preso in affitto un pianterreno − abbiamo fatto una riunione di un giorno intero per decidere se sulla locandina dovevamo scrivere CORSI di teatro, musica per la scena e drammaturgia per farci capire meglio. Degli amici ci hanno anche suggerito che sarebbe stato meglio scrivere “scrittura creativa” al posto di drammaturgia e che “corso di recitazione” avrebbe attirato di più chi voleva imparare a recitare anche nelle fiction.
Abbiamo puntato tutto sulla parola LABORATORIO. Quella è stata una delle lunghe riunioni più produttive della nostra compagnia: quella in cui abbiamo definito qual era il nostro rapporto col territorio che avevamo scelto di abitare. È stata una riunione fondativa, perché prendendo quella decisione abbiamo individuato delle linee guida che valgono ancora oggi. Non volevamo essere un corpo estraneo, bensì parte della comunità, senza che questo significasse giocare a ribasso, adeguando la propria pratica artistica alla richiesta. L’obiettivo è diventato piuttosto quello di fornire strumenti nuovi alla nostra comunità di riferimento per la decodificazione della pratica artistica. Una sorta di audience development ante litteram, quando ancora non sapevamo cosa significava, un bisogno dettato non da qualche punto in più su un bando ma un semplice istinto di sopravvivenza. Perché la cosa meravigliosa è che il teatro non è una pratica onanistica, ma un atto creativo fondato sulla relazione. Questo siamo diventati a Manfredonia, istigatori di relazioni. Abbiamo scelto di prenderci il tempo di portare alle persone che avevamo intorno la pratica del laboratorio, cioè il teatro come esercizio di libertà. Abbiamo deciso di STARE. È stato allora che questa parola per noi ha cambiato “destinazione d’uso” e da verbo che indica sedentarietà è diventata sostantivo che indica azione, “lo stare” è diventata una condicio sine qua non non solo del nostro lavoro sul territorio, ma anche della nostra ricerca artistica.
In tutto questo il caso ha fatto la sua parte: nel 2008 abbiamo partecipato al bando per la gestione del Teatro Comunale di Manfredonia; nessuno immaginava che una compagnia teatrale potesse gestire uno spazio pubblico, tenevano tutti per consorzio fatto da agenzie di servizi solide... solo che hanno sbagliato un documento di ammissibilità e abbiamo vinto noi. Questo ha permesso a quello spazio di diventare dal 2009 una delle Residenze del pionieristico progetto pugliese dei Teatri Abitati: teatri gestiti da compagnie, che ne facessero il loro luogo di produzione, ma anche un presidio culturale. Le Residenze dei Teatri Abitati hanno dato un nome (e delle risorse, particolare non irrilevante!) a quello che in Puglia noi e altre compagnie stavano già facendo per vocazione naturale: tentare di incidere con la pratica artistica sulla qualità della vita di un territorio. E hanno avuto un grande pregio: il riconoscimento del valore artistico del lavoro sui territori.
Sedici dei diciotto abbonati non hanno rinnovato l’abbonamento perché il Teatro Comunale era in periferia; due hanno accettato quando abbiamo detto che saremmo andati a prenderli e li avremmo accompagnati a casa a fine spettacolo. Oggi gli abbonati del Teatro Comunale “Lucio Dalla” sono centoventi, e la media è di duecentoventi spettatori la cui età media è di quaranta anni... ad abbassarla così tanto è un folto numero di adolescenti che ogni anno si avvicina al Teatro Diffuso − il laboratorio interscolastico gratuito che abbiamo messo su nel periodo in cui le scuole non potevano attivare PON e che poi non siamo riusciti più a chiudere!
Questo pubblico è il frutto del nostro abitare artisticamente un territorio, un risultato dettato da noi ma anche da quel territorio specifico, da quella periferia che ci ha permesso di sperimentare pratiche di attivazione di comunità che probabilmente non avrebbero avuto presa o addirittura senso in un grande centro cittadino. Essere fisicamente lontani dai salotti buoni ci ha aiutato: ci ha permesso di scommettere che ogni luogo può essere quello giusto.


Per più di un decennio la Puglia ha rappresentato – sul piano organizzativo, strutturale ed artistico – una “nuova frontiera” della teatralità italiana. Quali sono le condizioni attuali del sistema teatrale pugliese?
Tre cose ci saltano all’occhio se pensiamo al sistema teatrale pugliese.
La prima cosa è il fermento artistico costante. I teatri abitati non si sono limitati “soltanto” a un utilizzo brillante dei fondi europei, declinandoli sulla realtà e sui bisogni territoriali; hanno rivivificato la pratica artistica in quanto tale, hanno generato un nuovo pensiero e quindi una nuova azione teatrale, hanno felicemente oltrepassato un punto di non ritorno: quello della relazione diretta tra comunità e teatro, che ha fatto sì che anche nei momenti di cambio istituzionale, quando la progettazione ha avuto una battuta di arresto, molte compagnie abbiano continuato a garantire sui loro territori servizi a una comunità che orami li considerava irrinunciabili. Allo stesso modo il respiro artistico delle produzioni, ormai in crescita, ha continuato la sua strada, lo vediamo dai riconoscimenti, dai premi, dai cartelloni nazionali, dalla qualità espressa da questo Puglia Showcase e dalla lungimiranza organizzativa di un Circuito come il TPP, che non tutte le Regioni possono vantare.
La seconda cosa è la necessità di un respiro più lungo perché questo virtuosismo possa diventare prassi e smetta di essere miracolo, permettendo alla visione di partenza della Regione Puglia − che ha immaginato un complesso rinnovamento del sistema, fondato sulla produttività delle imprese artistiche e culturali − di tradursi in realtà.
Un respiro più lungo che sia ancorato a una Legge Regionale sullo spettacolo dal vivo, alla  razionalizzazione dei tempi di erogazione dei contributi pubblici, al riconoscimento del valore artistico come valore fondante per la rigenerazione dei territori e di chi li abita, diventando quindi un pensiero “ordinario” e non solo vincolato a bandi legati a fondi straordinari, che continueranno a caratterizzarli come interventi straordinari.
La terza cosa è che il sistema pugliese sembra aver perso il dono di una narrazione compatta e sembra aver rinunciato al suo ruolo di pungolo costante alla politica, di interlocutore stimolante e quindi virtuoso. Sembra lontana la lezione di milaniana memoria, cara agli Apocrifi, “sortire dai problemi insieme è politica, sortirne da soli è egoismo”. Ecco, auspichiamo un sistema pugliese che sappia farsi più politico, nel senso buono, cioè originario del temine.
Probabilmente questo inciderebbe non solo nel confronto istituzionale con la Regione, che pure trarrebbe sicuro giovamento da un rilancio continuo da parte degli operatori, ma anche col Ministero, spingendolo con maggiore efficacia a considerare la spinosa questione del riequilibrio territoriale, che vede la Puglia tra le Regioni massimamente penalizzate.


Puglia Showcase Kids
è una rassegna di teatro dedicata innanzitutto agli spettatori più giovani. Ebbene: è cambiato, negli ultimi anni, il modo in cui parlare e mettersi in relazione con bambini e adolescenti? Ed è ancora accettabile la definizione “teatro ragazzi” o è più corretto dire di teatro tout public?
Forse la cosa più corretta da dire sarebbe “teatro” e basta, o meglio ancora: “artisti e cittadini, cioè persone, che si incontrano intorno a una pratica artistica”.
Il modo del teatro di parlare a bambini e adolescenti è cambiato com’è cambiato il modo del teatro di parlare agli adulti, perché questo proviamo sempre a fare come artisti, a volte riuscendoci di più, altre di meno: proviamo a guardare oltre, a suggerire un modo possibile di stare qui, ora, guardando avanti.
In un momento in cui tanto si è parlato e si parla di formazione dello spettacolo dal vivo legata alle nuove generazioni, il principio fondante resta che bambini e adolescenti sono cittadini di domani; c’è un legame indissolubile che li lega al pubblico “adulto”: sono il loro futuro.
È retorico, sì, ma in un momento storico in cui la retorica è diventata un alibi perché nulla venga detto, forse non è balzano ribadire l’ovvio.
Viva la retorica allora, e viva il futuro, cioè viva la consapevolezza che bambini e ragazzi sono solitamente i più recettivi ai nuovi linguaggi e alle loro contaminazioni, e i meno rassegnati a credere a confini invalicabili.
Le definizioni di solito servono a chi le crea, non a chi le attraversa. Forse la domanda che dovremmo porci è a chi giova che le categorie restino separate, e perché?


A Napoli portate
Schiaccianoci Swing. Che spettacolo è? Cosa vedremo?
Schiaccianoci Swing
è “un lungo sogno dadaista” − come lo ha definito Sergio Lo Gatto sul Planetarium − nato dalla scommessa che la musica potesse farsi parola scenica raggiungendo il pubblico di ogni età e superando i confini spesso imposti ai nostri spettacoli dalla rilevanza del testo.
Musica, pochissime parole, i corpi degli attori e il racconto delle luci: sono questi gli elementi su cui abbiamo scelto di puntare.
Un gioco di libertà sorretto da una struttura drammaturgica solida affidata alla potenza espressiva di attori che hanno l’impagabile dono di essere anche musicisti, nonché autori dei brani originali e dei riarrangiamenti di Čajkovskij.
Vedremo un concerto teatrale che parte dallo Schiaccianoci del celebre compositore russo, per tuffarsi nel racconto originario di Hoffmann Schiaccianoci e il re dei topi.
Un racconto in fondo borghese, fatto di regali di Natale in un salotto buono, in un contesto familiare che chiama “malattia” la capacità di una ragazzina di andare oltre quello che vede. Ma cercando tra le altre opere di Hoffmann, in particolare ne La sabbia e L’avvelenatore, abbiamo trovato fortissimi richiami agli alchimisti capaci di animare oggetti e agl’illusionisti capaci di confondere il sogno e la realtà; e ci è sembrato allora che Schiaccianoci raccontasse, proprio come gli archetipi delle fiabe più celebri, il delicato passaggio che chiamiamo crescita.
Un mondo incantato, dove i giocattoli si animano e sono pronti a farti compagnia per il resto della vita, e una ragazzina che non riesce a svegliarsi, tanto è bello il sogno che sta facendo... fino a che non si rende conto che l’unico modo per realizzarlo, quel sogno, è proprio svegliarsi.


Da un lato Puglia Showcase Kids prevede la coabitazione tra compagnie differenti per percorso, lessico ed esperienze – così favorendo la riconoscibilità reciproca tra chi fa teatro – e, dall’altro, consente il confronto con un pubblico extra-regionale, nuovo, inedito. Quanto è importante, dunque, una vetrina del genere in termini di maturazione ulteriore e di possibilità circuitative?
Vetrine come il Puglia Showcase contribuiscono a restituire al teatro il suo significato più profondo: il senso della relazione. Come se il modo migliore di fruire di uno spettacolo dal vivo fosse di vederlo dal vivo! come se da quella visione, fatta di corpo e mente, non si potesse prescindere.
Con alcune delle compagnie pugliesi che saranno presenti a Napoli nei prossimi giorni questa relazione di prossimità artistica − fatta di traversate regionali (anche lunghe!) per la visione di uno studio o di un debutto e per un confronto spassionato − è quotidiana e dà i suoi frutti da tempo. Incentivare istituzionalmente questa pratica con altre compagnie, con altri pubblici, con altri operatori nazionali e internazionali è a nostro avviso frutto di una visione lungimirante: da un lato offre una preziosissima opportunità di contaminazione − e quindi di crescita − artistica, puntando all’ulteriore sviluppo e maturazione del teatro pugliese; dall’altro lato, favorendo i contatti diretti, aumenta le possibilità di circuitazione di processi artistici e non solo di prodotti/spettacoli.





Puglia Showcase Kids 2019 è un progetto della Regione Puglia, ideato e realizzato dal Teatro Pubblico Pugliese, finanziato nell’ambito delle FSC 2014-2020 “Interventi per la tutela e valorizzazione dei beni culturali e per la promozione del patrimonio immateriale”, Progetto Sviluppo e Internazionalizzazione della Filiera Culturale e Creativa dello Spettacolo dal Vivo – Teatro Danza.


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