“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 01 March 2019 00:00

“La favorita”: eros, thanatos e potere delle donne

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Nota introduttiva: riprendo l’articolo dopo la premiazione degli Academy Awards dello scorso 25 Febbraio. Olivia Colman ha vinto l’Oscar come migliore attrice protagonista. Avrebbero meritato a mio avviso anche le due attrici non protagoniste, oltre alla categoria “miglior film” e “migliore sceneggiatura” (questo lo asserisco con fermezza, avendo vinto questi ultimi due premi Green Book, film ben recitato ma soprattutto ben confezionato, politically correct, che tocca i sentimenti con leggerezza e sentiment(alism)o, che è una buona commedia, ma niente di più). Hollywood, oramai spesso, si sa, premia ciò che colpisce di primo acchito, ciò che è ben fatto, ciò che esalta in maniera positiva i “buoni sentimenti”, o che si presenta come riscatto personale o sociale.

La favorita è un film pop e amabile, una commedia che sfiora il capolavoro. Questo è stato, a mio avviso, l’ultimo film di Yorgos Lanthimos, che era stato candidato a ben dieci Premi Oscar – come Roma di Alfonso Cuáron: miglior film, migliore regia, migliore attrice protagonista (Olivia Colman la quale ha già vinto la Coppa Volpi in questa categoria al Festival del Cinema di Venezia), migliori attrici non protagoniste (Emma Stone e Rachel Weisz), migliore sceneggiatura originale (Deborah Davis e Tony McNamara), miglior montaggio, migliore scenografia, migliore fotografia, migliori costumi.
C’è tutto, in queste nomination, tutte in qualche modo meritate. Tutto ciò che serve a un film d’epoca, in costume, tutto ciò che fa di una pellicola un’opera completa, popolare, alta. Lanthimos abbandona per la prima volta la scrittura, ma la Davis e McNamara non lo fanno rimpiangere. La sceneggiatura è semplicemente eccellente: dinamica, ficcante, coinvolgente, ironica, colta, appassionante. I dialoghi hanno ritmi incalzanti, il British style e lo Zeitgeist sono rappresentati ad perfectionem.
La vicenda narra della storia della corona inglese di inizio 1700. L’ultima regina degli Stuart, Anna, salì infatti al trono nel 1702. La sua breve monarchia, terminata nel 1714, si ricorda per l’unione in un solo Regno di Scozia e Inghilterra, per un maggiore potere dato al Parlamento, per la partecipazione alla guerra di successione spagnola. Ma la vera storia non è negli sviluppi politici o militari, bensì nella guerra di potere a corte, nel tratteggio di sentimenti e spietatezze. E il fascino aggiunto sta nel fatto che i protagonisti di eventi, decisioni e moti sentimentali sono esclusivamente donne. Tre, per la precisione, le succitate magistrali attrici.
Il punto di vista femminile rende la pellicola ancora più interessante; l’originalità dello sguardo muliebre, che nulla lascia al caso né alla presunta “debolezza di genere”, aggiunge misterioso e arguto pathos all’opera. La competizione tra due donne, la “favorita” della Regina, Sarah Churchill, sua amica d’infanzia, e Abigail Masham, nobile decaduta (e cugina di Sarah) tornata a corte come serva ma capace, con sagacia e una brillante strategia, di trarsi fuori dalla sua sopraggiunta misera condizione, costella tutto il film e le sue intricate relazioni personali, prim’ancora che politico-diplomatiche. Inoltre, le due co-protagoniste, che tessono però la trama dell’intera storia e influiscono su (o determinano) le scelte strategico-militari, sono entrambe prive di scrupoli ed estremamente intelligenti (gli inglesi direbbero smart!). La Storia riporta che la Churchill (a quanto pare antesignana niente poco di meno che di Sir Winston) appoggiasse i Whigs, mentre la cugina Abigail i Tories; ciò dà ulteriore verve alla trama. Di certo, si notano nel film la bravura e la passione di Sarah per i “fatti” della Corona, mentre Abigail pare più attratta dall’esercizio del potere a corte. La furba e spietata giovane donna s’insinua a corte come un’anguilla, conquistandosi la benevolenza della Favorita, per arrivare poi, proprio tramite lei, al cuore della regina. Quando Sarah si accorge delle sue reali intenzioni è troppo tardi: il piano di Abigail è troppo avanti per essere interrotto. La povera regina, sofferente di gotta e di una rara malattia, la sindrome di Hughes, che le ha impedito di avere figli (narrerà lei stessa di avere avuto diciassette aborti, tanti quanto i conigli di cui si circonda e dai quali mai si separa) non ha grandi capacità strategiche, né – pare – grande acume politico o, probabilmente le sue qualità sono offuscate dalla grande sofferenza fisica che prova e dalla enorme solitudine affettiva che traspare. Si lega perciò morbosamente a Sarah, la quale la asseconda e accontenta ogni volta che ella chiede o quando soffre per i mali della gotta, la soddisfa sessualmente e si occupa degli affari di stato con maestria e fermezza. Piano piano, intuendo le sue fragilità, Abigail conquista il suo cuore, detronizzando Sarah, in ogni campo, pubblico e privato, mettendola in cattiva luce, con apparente calcolata finta ingenuità, dinanzi alla regina, che si risolve infine a cacciarla via.
Sarah cerca di mettere in guardia Anna dalla perfidia di Abigail, che non nutre reale affetto nei suoi confronti, ma che solo mira a riconquistare la vetta sociale sposando un nobiluomo della corte e ad estromettere Sarah definitivamente dalla corte stessa. Il capolavoro sembra compiuto, tra sarcasmo, tranelli, feste barocche e cene sovrabbondanti, con gli uomini a rincorrere regine e favorite senza risultare sagaci né apparire determinati e determinanti, figurando anzi come semplici comparse. La solitudine della regina Anna affonda nell’intenso profumo dei superalcolici e nella bulimica magnificenza dei dolci. La sua consolazione sono i conigli che Lanthimos utilizza perfidamente come elemento apocalittico: Abigail, credendo la Regina addormentata, calpesta uno dei roditori e lo schiaccia con il tacco della scarpa, mostrando un ghigno di disgusto a dispetto della tenerezza dichiarata alla sovrana nei loro confronti: questo gesto, secondario, minimo, non eclatante, rivela ad Anna la profonda cattiveria della donna e probabilmente le svela l’errore di valutazione fatto nei suoi confronti e a discapito di Sarah. Oramai è tardi per tornare indietro, ma la grottesca umiliazione finale cui Abigail viene sottoposta chiude degnamente ogni discorso, oltre che il film, lasciando nello spettatore un senso di malinconia per la solitudine delle vite incrociate sullo schermo e, al contempo, di brio e intima soddisfazione per la rapidità immaginativa degli scambi e l’intensità di queste articolate e complicate relazioni umane e per il tratteggio sublime che il talentuoso Lanthimos fa dell’animo e della mente femminili.

 




leggi anche:
Roberta Andolfo, La favorita? Tra i film caldamente consigliati (Il Pickwick, 4 febbraio 2019)




La favorita (The Favourite)
regia Yorgos Lanthimos
sceneggiatura Deborah Davis, Tony McNamara
con Olivia Colman, Emma Stone, Rachel Weisz, Nicholas Hoult, Joe Alwyn, Mark Gatiss
fotografia Robbie Ryan
scenografia Fiona Crombie
costumi Sandy Powell
produttore Ceci Dempsey, Ed Guiney, Lee Magiday, Yorgos Lanthimos
casa di produzione Element Pictures, Scarlet Films, Film 4, Waypoint Entertainment
distribuzione 20th Century Fox
paese Irlanda, Regno Unito, Stati Untiti d’America
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2018
durata 120 min.

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