“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 13 April 2013 18:44

Il padre e il figlio maschio

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Quante implicazioni tra figli maschi e padri. C'è quel rapporto simbiotico che non si spezza mai o magari non è mai stato palesato. In un accenno di bieco autobiografismo, io non sono amato da mio padre, per vicende mie e accadimenti che non interessano a nessuno, ma c'è la genetica, ovvero mangio nel suo stesso modo e ho lo stesso suo naso.
Vedo, invece, complicità malandrine in altri figli e padri che vanno d'accordo su tutto, che scherzano di donne e di sport e si danno le pacche sulle spalle. Cose che non potrei sopportare, in ogni caso.

Al grande poeta Valerio Magrelli accade la stessa cosa, in ottantatré annotazioni tra diario e riflessioni a voce bassa (il padre muore a 83 anni).
Un padre attivo, che trova la sua identità nel lavoro e vede col fumo negli occhi il tedio della domenica in un nota che va assolutamente trascritta: "Mio padre era un pessimista praticante. Forse per questo ho sempre detestato gli stilisti del pessimismo. Per me non c'era molto da scherzare, quando sulla mia casa, ogni domenica, cadeva la mannaia della Noia.... Io non conosco la noia come sensazione, invece mio padre gemeva e sospirava, un'anima in pena , si dice, ed era penoso a vedersi".
Quindi la noia per Valerio Magrelli è stoffa per scrivere poesie, per leggere; il padre, invece, aspetta il lunedì per riprendere il lavoro.
Non è semplice, i padri marchiano, danno un senso alle identità traballanti dei figli e il narratore si copre dell'ombra di suo padre. Le mie parole sono insufficienti e pleonastiche di fronte, invece, alle notarelle vive dell'autore: "Adesso mi ritrovo, io sono legato a mio padre da un'ombra, dall'ombra che lo ha sempre incalzato. Una parte dell'ombra, una piccola parte di quel tossico, mi ha segnato, mi ha intaccato. Non così a fondo come lui, ma di striscio, lasciandomi a metà strada rispetto al suo buio ipocondrio".
Il padre, che si chiama Giacinto, lascia tracce di sé in giro, il figlio si difende come può. Giacinto è stato un padre per molti versi difficile, di un’altra epoca; nell’immaginario del figlio è “l’uomo di Pofi”, un ominide vissuto trecentocinquantamila anni fa nella stessa piccola città della Ciociaria da dove proviene la famiglia paterna.
Il titolo riporta chiaramente la parola “geologia” anche perché c'è un continuo rimando alla terra (anche quella della sepoltura, soprattutto nelle prime pagine: si legga l'esperienza, dell'autore, tra le tombe).
Gli anni passano, Magrelli junior ha un figlio anche lui che studia architettura e, quindi, c'è un padre e c'è un nonno.
Sarcasmo e piccole ironie tracciano la fine del padre quando si ammala di Parkinson, lui che con le mani ha disegnato, così usandole, anche quando era già cieco.
Ci sono anche risacche di indifferenza, per non soccombere, e Magrelli dice: "Mentre scrivo queste righe, vedo davanti a me lo scatolone sigillato in cui ho riposto le agende dei suoi ultimi anni... possibile che non sia curioso di leggerle? Sono sbalordito dalla mia mancanza di interesse, ma devo prenderne atto".
E noi prendiamo atto che stiamo leggendo pagine di verità, tra padre e figlio, di grande bellezza. L'italiano di Valerio Magrelli è cristallino. Purissimo.

 

 

Valerio Magrelli
Geologia di un padre
Einaudi, Torino, 2013
pp. 137

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