“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 30 April 2018 00:00

Caustici frammenti in dispersione

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Be Normal! dei Sotterraneo non è uno spettacolo che si possa “raccontare”; o meglio, potremmo anche provare a fare una sintesi di quanto accade in scena, ma così facendo, con tutta probabilità, compiremmo un’opera di vivisezione inutile, che non restituirebbe il senso intrinseco di questo spettacolo, senso che sta precipuamente nella sua frammentazione, nell’idea di discontinuità che percorre e trasmette, nella forza evocativa di una pratica di scena che parcellizza, tritura, rimastica e sputa, con un’ironia graffiante, un discorso sulla società del nostro tempo che, partendo col mettere al centro il rapporto vecchi/giovani (e poi non solo quello), affronta alcuni dei nodi cruciali attorno a cui s’attorcigliano i rovelli di un consorzio sociale la cui crisi strutturale si riverbera nelle dinamiche lavorative, nei rapporti umani e persino nel mondo dell’arte (e del teatro, come precisi passaggi di Be Normal! rimarcano).

La frammentazione della scena in una serie di microscene che si susseguono senza un legame narrativamente logico sembra suggerire – di più, rispecchiare – la frantumazione in una miriade di monadi in cui si frastaglia l’oggi, con un mondo del lavoro il cui accesso è un imbuto strozzato che ha fra le sue conseguenze quella di riaprire e ricalibrare un conflitto generazionale in cui i vecchi rappresentano la conservazione e sono il tappo alla crescita dei giovani, un conflitto che rovescia l’Edipo, per cui sono i genitori ad ammazzare metaforicamente i figli.
Le scene che si susseguono e che prevedono l’interazione col pubblico sono regolate da una scansione cronologica a vista, segnata ora per ora, nesso temporale lineare lungo il quale si dipana la sconnessa schizofrenia di microstorie fatte di colloqui lavorativi e pseudolavorativi (come quello per entrare nella mafia), che terminano con l'immancabile “le faremo sapere”, o di accudimento forzoso di un’anziana madre in forma di scheletro su di una sedia a rotelle, rimpinzata a forza e compulsivamente, o ancora di cartonati di vecchi (Hugh Hefner, la Regina Elisabetta, Sophia Loren) a cui il pubblico è invitato a tirar pallate. È un modo cinicamente comico, urticante, di raccontare la contemporaneità, il consesso sociale che la abita e le conflittualità larvate e latenti che lo corrodono.
Ma è il “demone” che pervade ciascuno di noi, quel daimon che ci instilla desideri e ambizioni per lo più destinate a rimanere irrealizzate, il vero oggetto della ricerca dei Sotterraneo; un oggetto che nella messinscena non prende una sembianza dai contorni fisicamente definiti, ma si intrufola nelle coscienze degli spettatori sotto forma di evidenza implicita, permeando azioni e situazioni crudeli e spietate; il (dis)valore generico sotteso alle dinamiche socio-economiche del nostro mondo soffoca quell’istinto che ci fa ambire a voler fare l’artista, o che da bambini ci fa cullare il sogno di fare l’astronauta, facendoci giungere alla considerazione dell’amara evidenza della necessità di soccombere pur di sopravvivere, di acquisire la frustrazione come pratica di acquiescenza. “Distruggete il vostro daimon”, ci suggeriscono i Sotterraneo e ci forniscono anche un decalogo su come farlo, suddiviso per fasce d’età, campionario di vari metodi per abortire se stessi.
Avviene ciò con la leggerezza del gioco.
È infatti un gioco quello dei Sotterraneo; è un gioco perché parla il linguaggio surreale di un’ironia sferzante, che scarnifica in rivoli di senso espressivo la propria visione per ricondurla carsicamente ad un filo unitario; è un gioco perché le situazioni che vengono ricreate hanno un’evidenza tanto grottesca da suscitare il riso, l’ilarità; è un gioco perché fa sapiente uso dei meccanismi della teatralità (e della metateatralità) per raccontare una condizione generale – quella della società – ed una particolare – quella del teatro − in cui le medesime dinamiche di asfissia professionale si riproducono; ed è un consapevole gioco nel gioco, che dopo aver fatto in abbrivio suggerire ai due attori da una voce in segreteria che si qualifica come William Shakespeare di cambiare lavoro, nella seconda fase dello spettacolo vedrà chiamata in scena un’attrice locale – nella fattispecie Simona Fredella – che racconterà della propria precarietà e contribuirà a dar vita ad una ulteriore truce lotta per la sopravvivenza che si concluderà con tanto di roulette russa.
Ed è un gioco, questo gioco consapevole e metateatrale, che nell’avvicinarsi al suo epilogo – finale dichiarato e preannunciato – gioca ancora e ulteriormente, come nel dialogo fra i due interpreti in scena in merito ad un figlio che non c’è, che richiama alla memoria il gioco perverso imbastito dai due protagonisti di Chi ha paura di Virginia Woolf? e che troverà il proprio crudele simulacro in una piccola bara bianca portata in scena.
In questa dispersione frammentata di immagini e spunti Sara Bonaventura e Claudio Cirri delineano un’idea che si definisce con evidenza grottesca e caustica spietatezza; il fatto di riderne – e di farlo con gusto – all’apparenza rinfranca, ma nel bilancino etico sul quale si soppesa ciò che ci si porta a casa da uno spettacolo come Be Normal! è l’amarezza – gradevole per come è stata esposta, ma feroce nel suo portato profondo – a costituire il gusto predominante con cui ascoltare, citando i più volte ripresi Simon & Garfunkel (che insieme al Brian Eno di By This River e al Lou Reed di Perfect Day costituiscono la colonna sonora dello spettacolo), i suoni del silenzio in cui vagola questa società, serenamente in marcia verso la propria consunzione.

 

 

 

 

 

 

MutaVerso Teatro
Be Normal!
drammaturgia Daniele Villa
concept e regia Sotterraneo
con Sara Bonaventura, Claudio Cirri
foto di scena Andrea Pizzalis, Emiliano Pona
produzione Sotterraneo
coproduzione Associazione Teatrale Pistoiese, Centrale Fies
con il sostegno di BE Festival (Birmingham), Operaestate Festival Veneto, Regione Toscana
e delle residenze Centrale Fies, Associazione Teatrale Pistoiese, Warwick Arts Centre
lingua italiano
durata 1h
Salerno, Auditorium Centro Sociale, 13 aprile 2018
in scena 13 aprile 2018 (data unica)

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