“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 17 April 2018 00:00

Una storia di sorellanza

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La scenografia di Ranavuottoli al Piccolo Bellini parla da sola: è la favola di Cenerentola al contrario. Ciò che dovrebbe essere orizzontale è verticale e viceversa, come capita con il letto della sorellastra di Cenerentola, Genoveffa, che è posto in verticale, come le statuine sull’angusto piano superiore della misera casetta, una in posizione normale e l’altra che sfida la forza di gravità e persino la porta di ingresso è posizionata in alto perché si scende giù in un sottoscala che porta all’unico ambiente dove si cucina, si dorme, si fa i propri bisogni.

Uno schermo velatissimo sul boccascena è il diaframma che invece separa la favola dalla realtà e chiude la quarta parete: su di esso saranno proiettate alcune scene della storia come quella esilarante dello specchio “delle mie brame” che, essendo interrogato dalla brutta Genoveffa su chi sia la più bella del reame, ingaggia una gara di detti popolari napoletani con tanto di tabellone segna punti come in una partita di basket.
È l’inizio della favola di Cenerentola narrata dal punto di vista delle due sorelle Genoveffa e Anastasia, che mantiene quasi inalterato il plot narrativo con grottesche e paradossali fughe nell’assurdo. Le due sono brutte davvero, cattive e perfide, hanno rinchiuso la bella sorella Cenerentola nel sottoscala come una prigioniera, non la nominano mai e quando si rivolgono a lei lo fanno solo con improperi. L’inizio della pièce è, però, scenicamente scoppiettante: la gara con lo specchio, la cucina popolare di Genoveffa che litiga con un master chef francese presente, con la sola voce, in un cono di un vecchio trombone, e la gestualità e la mimica irriverente di Anastasia con le sue cantilene di sapore antico.
Genoveffa ha una guancia deturpata, tarchiata e infagottata in abiti fruscianti e rigidi come armatura, dal piglio arrogante, verbalmente violenta; l’altra è brutta come può esserlo solo un uomo vestito da donna (il bravissimo Biagio Musella en travesti): tutto trine e merletti, corpetto di velluto verde e perle, abito indicativo di un’ indole sensibile, anche se al limite del patologico. Se Genoveffa è rassegnata a una vita solitaria in compagnia della sorella, Anastasia vede l’amore in ogni uomo del suo quotidiano, reale o inventato che sia: il ladro che ogni mattina la deruba del mattone che lei porta nella borsetta, ad esempio, o l’idraulico (sempre diverso) che viene chiamato con ogni pretesto e a cui lei si dichiara vanamente. È lei che ha sogni freudiani sul suo trauma infantile − causa: l’abbandono dei genitori, che le preferirono la più bella Cenerentola − trasformando il problema estetico in una questione esistenziale, accomunando nel suo dolore Genoveffa.
Con un linguaggio ricco di metafore e di iperboli ardite, Anastasia si interroga sul senso delle parole, soprattutto di quelle non dette, e sul mistero che le vela quando esse non sono che richieste di attenzione, di affetto, di amore filiale e coniugale. Che sono queste parole: bruttezza o bellezza? “La bellezza è solo mazzo!” urla Anastasia a Cenerentola prigioniera. Come si può darle torto? La favola si dipana poi come da copione. La scena del ballo coinvolge anche il pubblico quando Anastasia irrompe in platea a suon di discomusic, interagendo con gli spettatori e improvvisando con lo stesso in un misto di arroganza e di tenerezza. Sono questi i momenti in cui il pubblico tributa allo spettacolo applausi a scena aperta.
Infine. Le due sorelle, che hanno sperato nel matrimonio principesco, si ritrovano nuovamente sole, ma la conclusione non è quello canonica: Cenerentola sposa il principe feticista (interessato ai piedi e non ai volti) ma si separa dopo un anno perché le favole non esistono. E il vero finale è il nucleo, dunque, che rende interessante e intelligente questa lettura comica e grottesca della favola di Cenerentola giacché vede le due sorelle brutte e cattive volersi davvero bene, stringere un patto di “sorellanza” che le aiuti e le protegga dalla vita: come se la loro condizione fisica potesse trasformarsi in una forza rivoluzionaria, capace di dare senso e valore nuovo alla loro esistenza. Lo spettatore a questo punto sta quasi per chiedersi chi sarebbero questi Ranavuottoli del titolo, i ranocchi. Sullo schermo compaiono le foto polaroid di tanti rospi che una volta sono stati gli idraulici baciati da Anastasia: in una fiaba rovesciata è il “principe” che diventa ranocchio. Allora la fantasia culinaria di Genoveffa può esprimersi liberamente con gran gusto...
La lettura e la riscrittura della favola, operata da Roberto Russo e Biagio Musella, ha radici nella cultura partenopea di Giovan Battista Basile ed è un’operazione non scontata e di indubbia intelligenza a cui scenografia, costumi, musica e luci contribuiscono perché si crei un’architettura spettacolare solida, senza sbavature. Come scrivono gli autori nella nota in brouchure: ”Pur essendo un lavoro prevalentemente comico, Ranavuottoli si addentra nei meandri della psiche dei due personaggi” ed è così che, i tempi di stupidità a buon mercato spacciata per brillante ironia, uno spettacolo davvero comico possiede anche una profondità artistica valida, effettiva, indubitabile.

 



Ranavuottoli (Le sorellastre)
di Roberto Russo, Biagio Musella
regia Lello Serao
con Nunzia Schiano, Biagio Musella, Pino L’Abbate
e con la partecipazione in video di Giovanni Esposito, Niko Mucci, Claudia Puglia, Carmen Pommella, Sergio Assisi
musiche Niko Mucci, Luca Toller
scenografia Tonino Di Ronza
realizzazione scene Laboratori Flegrei
costumi Anna Zuccarini
parrucche Antonio Luciano
trucco Rossana Giugliano
riprese video e post produzione Luca Cestari, Salvatore Martusciello
effetti visivi Rebel Alliance
VFX Producer Fabrizio Dublino
grafica e videoproduzioni Salvatore Fiore
assistente alla produzione Marta Bosticco, Mattia Sant’Angelo
assistente alla regia Luigi Zaccariello
aiuto regia Pino L’Abbate
produzione Teatro Bellini
in collaborazione con Teatri Associati di Napoli
durata 1h 10’
lingua napoletano
Napoli, Piccolo Bellini, 11 aprile 2018 
in scena dal 10 al 15 aprile 2018

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