“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 18 February 2018 00:00

Mesi

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“Se marzeggia, aprileggia,
  son cose che svaniranno”
 
Carlo Betocchi, Realtà vince il sogno

  

I

La magia di un mattino
a gennaio, quando il gelo
immobilizza il fiato
e ghiacciano i vetri delle auto
in sosta. Dal cielo scolorito
di acciaio scende acqua
e nevischio; impigrito un uccello
o affamato
si apposta nell'erba
di un finto giardino,
imbiancato da un velo di brina.

Proprio lì
un operaio aspetta
sulla dura panchina,
bestemmiando l'inverno straniero
detestato.
Quando passa il suo amico
e gli fa un fischio
il ghanese si alza. Insieme
vanno via.
Fa freddo,
un bellissimo freddo perdonato.



II

Butterfly di paese, affronta
freddo e nebbia di febbraio
nella mattina che non la lascia sola:
sconta sotto il cappotto
un futuro destino, lo tocca
con tremore e tenerezza,
e vola col pensiero
al guaio che è successo.
Bimba dagli occhi pieni
di malia, c'è un bene piccolino
che l'aspetta.
Ma deve andare a scuola.



III

Nell'azzurra mattina di un marzo
medievale (ma no! era solo l'altr'anno!),
un frate poeta con sandali e saio
celebrava innamorato il suo cantico
delle creature: grato al cielo
e rapito da sé, di tutti pietoso,
saltellava per via come fosse
su un prato. Gaio
di una sua contentezza pasquale,
chiedeva all'aria marzolina
di fargli compagnia. L'umile fraticello
festoso,
giullare del creato.



IV

Era aprile, a mezzogiorno.
I bambini uscivano dalla scuola elementare
come escono i bambini, correndo,
con voglia di gridare.
Uno solo esitava, dietro gli altri:
nella mano il berretto,
e una scarpa slacciata.
Guardò i grandi in attesa
cercando qualcuno;
nessuno lo aspettava.
Si chinò sulla scarpa, trafficò
con le stringhe.
Fingendo indifferenza, gettò intorno
un'ultima occhiata.
Era aprile, e un bambino negletto
imparava quanto pesa l'assenza.



V

Al mondo residuale
opporre minimi equilibri
personali, e chiarezza di sguardo:
come fa maggio, limpido
pulito, ripresentando
la sua stranita gioia,
la sua sghemba allegria
alla vita più scialba,
all'intristita malinconia:
mitezza di un mese
saggio, aurorale.



VI

Sole di mezza estate danzante
sui tetti di città,
bambini che si spruzzano
alla fontana dei giardinetti,
e rombo di motori ansanti;
giovani braccia
nude, ciabatte strascicate,
colori, risa e grida.
Fertile vita, brulicante
vita che si abbatte
sulla vita come un pugno
affettuoso
nel giugno arioso della città.

 

 

VII

Un vecchio pomeriggio di sabato
e una vecchia signora
zoppicante: trascina il suo luglio
asfissiante nelle corsie
del supermercato,
a cercare un po' di fresco
ventilato, qualche umana
presenza. Ma imparare, bisogna,
che l'aria si può avere,
più cristiana:
di parole gentili, di scarsi
sguardi, conviene fare senza;
rassegnarsi.



VIII

Il manichino in un campo d'orzo,
nel più caldo agosto,
fermo di pomeriggio a spaventare
i passeri, saldo nel suo avamposto
di comico terrore per ali e piume,
col suo cappello giallo facendo schermo
al sole, al sudore inesistente,
mentre alti nel cielo gli mandano
segnali di sfida, liberi voli:
addio, capitano del niente!



IX

Nostalgia dell'estate
alla fine, quasi amore
di una stanca adolescenza:
loro due timorosi di baci
a salutare il mare,
l'ormai umida sabbia,
con la stridula domanda
dei gabbiani: “Ve ne andate?”
Oh sì, è settembre, si ritorna
in città, senza allegria.
Lo sposo in età le sfiora
le mani, e vorrebbe parlare.
Ma lei ordina “taci”,
e aggiunge “mieloso!”.



X

Sera fresca di ottobre;
non fredda, ma mossa dalla brezza
ottobrina, dopo un sole
al tiepido tramonto.
Dalla strada in salita si sente
il trillo di una bicicletta,
le ruote in frenata sulla ghiaia.
La vicina affacciata alla finestra
saluta il suo ragazzo
che torna da una sfida
in palestra: sale in fretta le scale,
affamato, con la tuta sudata.
Già da fuori impaziente
“è pronto?”, le grida.
Poi entra, vincente;
sua madre lo accarezza.



XI

Silenzio della brina invernale,
novembre di trincea:
nebbia serale fitta, trafitta
dalle luci dei fari
di macchine di camion
e motorette; si bloccano
sul ciglio di fossi
a caricare anime, perdute
intirizzite: lì accanto accese
braci, barbagli rossi
delle sigarette.



XII

Intorno al pino natalizio
si stringe la famiglia infelice
litigiosa, a cercare una tregua
benedetta, nella nevosa
atmosfera dicembrina.
È sera, quasi notte,
la bambina più piccola
finge contentezza, il figlio
grande aspetta non sa cosa.
Marito e moglie sperano
nel nuovo giorno,
nel nuovo anno,
nel nuovo inizio.  

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