“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 06 April 2013 21:30

Contro i mulini a vento

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Un armadio se ne sta solo, in un angolo, sul fondo della scena. Altro non c’è che un bagliore di luce ad illuminarne la trasparenza delle ante, quasi che dietro di queste, nel soffice biancore di verticali vesti ivi riposte, forme sparse di vita chiedessero di farsi riconoscere.
Silenzioso custode di esistenze erranti, di ieri e di domani, dell’uno e dei tanti alle prese con la (non) ricerca dell’altro e del sé. Erranti vite sconosciute o sognate, rifuggite o incomprese, rinnegate o ricercate.

Misterioso scrigno per uomini un po’ distratti e un po’ curiosi: sul fondo v’è ancora la speranza che va chiedendo di uscire con libertà, senza ibride e soffocanti paure.
Tutto è, dunque, dentro e fuori dall’armadio che, tra buio e luce, quasi burlandosi di chi c’è, prende a muoversi: nello scorrere dei passi, un’apertura di ante, quindi una nuova vita pronta a raccontarsi.
Fuori c’è una coppia di teneri nonni, Don Cesare e Donna Maria, preoccupati di voler recuperare Coreco’ che in quell’armadio ha deciso di rinchiudersi e di non uscirne. Questa fanciulla, dolce e ribelle, serra le porte ad un’identità  per rincorrerne altre, molteplici ed indistinte: in silenzio, sceglie di non ascoltare le voci di fuori, dei nonni, per inseguire quelle di dentro, del suo.
Vento, della mente, sui mulini della fantasia in libertà. Così, i ricordi del vecchio  Don Cesare diventano le appassionate illusioni del cavaliere errante senza tempo, Don Chisciotte; il partenopeo e astuto saper fare di Donna Maria si camuffa nella fedele e semplice goffaggine del buon Sancho Panza. Cavalli, battaglie, inseguimenti, passioni: tutte mescolate in un arcobaleno di emozioni ed identità alla ricerca di un posto nello spazio di una vita. Come quella di Coreco’, bambina e forse già grande (la prospettiva del tempo è qui qualcosa di volutamente imprendibile, non si muove tra i fatti ma nell’anima di chi vive), solitaria vagabonda tra le dune della nostalgia del tempo, quella che ha l’odore dell’infanzia, di ricordi, di storie raccontate, di famiglia.
Nostalgia e memoria in Coreco’ appaiono, veloci ed incantate, a metà tra sogni e paure: di finissima e candida luce, come quella delle glicolitiche vesti (se il tessuto è sirena, zucchero da cui allontanarsi, che incanta e che scioglie ogni residuo di razionalità) immagini di fantasmi, sibille, pulzelle, fate morgane e madonne prendono a giocare.
Magia e divertissement. Lungo la vita, una giostra di prove in attesa della scenica prima, aspettando la morte. Questa verrà, e sarà un gioco.
Coreco’ smette di nascondersi. Per un attimo si lascia prendere, il tempo di capire che la morte è un attimo, il tempo di rinascere. Glielo insegna la gagliarda nonnina, Donna Maria, che spasima per raggiungere suo marito.
Tutto si confonde, qualcosa poi diventa chiaro. Qualcosa, quando non sa di ridondante cliché.
Degli illusi Don Chisciotte e Sancho Panza, neanche l’ombra. In fondo, non erano che pretesti. Liberi, lontani, ingannevoli.
La giostra (di emozioni si tratta) s’arresta. Fermo immagine. Buio. Luce.
E c’è ancora vita.
Giocando, contro i mulini a vento.

 

 

 

Mulini a vento. Storie di giganti fraintesi e altri impedimenti
drammaturgia e regia
Sara Sole Notarbartolo
con Valentina Curatoli, Marco Palumbo, Luca Saccoia
drammaturgia corporea Costantino Raimondi
assistente alla regia Fabrizio Cantaro
scene Luciano Di Rosa
costumi Gina Oliva
musiche Massimo Cordovani
produzione Taverna Est Teatro e Ex Asilo Filangieri / La Balena
coproduzione Magazzini di Fine Millennio
Napoli, Ridotto/Mercadante, 4 aprile 2013
in scena dal 4 al 7 aprile 2013

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