“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 17 November 2017 00:00

Lo scoppiettante oltre-musical sotto il Vesuvio

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I Manetti Bros. colpiscono nel segno anche con il secondo lungometraggio, Ammore e malavita, presentato lo scorso settembre al Festival del Cinema di Venezia. Il dilemma, più simbolico che storico, con cui parte il presente articolo è il seguente: è nato prima il musical, oppure la sceneggiata (napoletana, ovviamente)? Perché di Ammore e malavita è stato scritto che è un musical, ma in realtà non si rifà – né rifà il verso − al genere di origine operistica poi adattato su misura al gusto “ammericano”, un po’ barocco, naïf e ridondante, ma a quella specifica, specialissima, incomparabile, commedia napoletana condita di musica e canti e di un pathos caricaturale e paradossale oltre i limiti di una realistica tollerabilità emozionale che va sotto il nome, per l’appunto, di sceneggiata.

Storicamente, parrebbe essere nato prima il musical, nella seconda metà del XIX secolo. L’origine della sceneggiata si rintraccia invece nei primissimi anni del secolo scorso, ma la sua consacrazione avvenne durante il regime fascista che tassò i varietà e le manifestazioni teatrali con l’intento di censurare tali rappresentazioni artistiche, stimolando l’illimitata creatività partenopea che quindi utilizzò la forma-canzone per fare teatro: nacque così ufficialmente quell’ibrido unico simbolo della potenza immaginifica, esagerata, scanzonata, mediterranea che è la sceneggiata napoletana.
Ma i Manetti Bros. fanno di più, e la domanda quindi cambia: cosa aggiungono al genere tutto napoletano? In maniera sapiente ed originalissima, uniscono alla sceneggiata tracce di drammone musicale (la versione napoletana di Flashdance è semplicemente esilarante), di cinema d’azione stile 007, di parodia di quel successo commercial-culturale che è stata la serie Gomorra la quale ha fatto conoscere Napoli nei suoi tratti più oscuri e truci a tutta l’Italia ed anche all’estero. Ed esplicitamente i due fratelli dichiarano la loro volontà maliziosa e disorientante di “fare il verso al mondo” sin dall’incipit del film, quando un’improvvisata guida turistica partenopea conduce in un improbabile furgoncino dei malcapitati turisti americani (statunitensi, of course!) a fare il tour delle Vele di Scampia, dove la serie Gomorra è ambientata. I sempliciotti “ammericani” si entusiasmano alla vista di quegli scorci abbandonati e degradati, una di essi viene “scippata”, su preciso copione facente parte del pacchetto turistico (leggasi alla voce: “brivido”!). Lei all’inizio si dispera, ma viene subito rincuorata dagli altri i quali le dicono che è anzi una persona fortunata, perché è stata derubata sul set en plein air del grande successo cinematografico e in uno dei posti più pericolosi e noti (quindi, trendy) del mondo. Nel trionfo della finzione e della superficialità stereotipica di non luoghi e di anti-eroi, si inizia a ridere per l’assurdità del mondo che ci circonda. E poi, d’emblé, si entra nello scontro intestino del clan del “re del pesce” e nei fitti intrecci amorosi ed affettivi che, oltre i soldi, il potere e i paradossi, determinano le umane vicende.
Ammore e malavita è un lavoro di fino, di unione di stili e di generi, con degli attori perfettamente calati nella parte (davvero ottime le prove di Carlo Buccirosso, di Giampaolo Morelli, di Claudia Gerini, di Serena Rossi, del leader degli Almamegretta, Raiz), dei compositori assai bravi, una storia sospesa tra l’iper-realismo degli asciutti e spietati meccanismi delinquenziali e il surrealismo pop di improbabili boss della camorra newyorkesi e della storia d’amore strappalacrime che è poi all’origine del rovesciamento di canoni criminali che altrimenti proseguirebbero in maniera ordinaria, comune, scontata.
Ma l’amore tra Ciro e Fatima, nato in tenerissima età e mantenutosi inalterato, nella sua forza primigenia, nei recessi del cuore dei due protagonisti, scompiglia tutto. Anche il romanticismo, dunque, è un ingrediente del film, ma in una maniera non struggente, perché la realtà strappa i protagonisti al languore dell’”ammore”. La realtà a Napoli è malavita, e con essa l’”ammore” deve fare i conti. E tra colpi di scena, violenza e guizzi estrosi, l’”ammore” vince.
E così, come sceneggiata vuole, ad essere protagonista è l’ensemble attoriale; è questa micro-comunità che si divide e si fa la guerra ad innervare di linfa vitale la storia. Protagonista del successo del film, molto convincente e notevole nel panorama sostanzialmente mediocre del cinema italiano, è pure, come accennato, un altro ensemble, costituito da tutti coloro che vi hanno lavorato, in produzione e post-produzione.
Napoli – in questa circostanza vista da Roma − è ancora una volta fonte di storie, di cruda verità, di riflessione, di innovatività, di risate e bellezza e conferma la sua specifica e rincuorante vitalità in un mondo grigio e senz’ammore.

 




Ammore e malavita
regia
Marco Manetti, Antonio Manetti (Manetti Bros.)
sceneggiatura Michelangelo La Neve, Manetti Bros.
con Carlo Buccirosso, Claudia Gerini, Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Raiz, Franco Ricciardi, Antonio Buonomo, Giovanni Esposito, Ivan Granatino, King Danza, Claudiafederica Petrella, Antonella Morea, Marco Mario de Notaris, Rosalia Porcaro, Patrizio Rispo, Ronnie Marmo, Stefano Moffa, Lucianna De Falco, Graziella Marina, Antonio Fiorillo, Antonino Iuorio, Giovanni Napolitano, Andrea Rivelli, Andrea D'Alessio, Tia Architto, Pino Mauro, Antonello Cossia
fotografia Francesca Amitrano
montaggio Federico Maneschi
costumi Daniela Salernitano
musiche Pivio, Aldo De Scalzi
produzione Manetti Bros., Rai Cinema, Madeleine Film, Mompracem S.r.l.
distribuzione 01 Distribution
paese Italia
lingua originale italiano, napoletano
colore a colori
anno 2017
durata 133 min.

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