“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 20 September 2017 00:00

Fondamenti del Teatro: dalle ultime pagine di Stanislavskij

Written by 

Non sono giovane, la mia vita artistica si avvicina al termine. È ora di tirare le somme ed elaborare un piano dei miei ultimi lavori artistici. Il mio lavoro di regista e attore si è svolto in parte a livello esteriore e di messinscena, ma principalmente nel campo della creatività spirituale dell'attore.

Prima di tutto vorrei chiudere il discorso sulle tecniche di messinscena e sui passi in avanti che il teatro ha compiuto in questo campo sotto i miei occhi. Avendo provato nella mia vita tutte le vie e tutti i mezzi dell'arte teatrale, essendomi appassionato ai sistemi di messinscena di ogni tipo, storico-naturalistici, simbolistici e così via, legati alle più svariate correnti artistiche − realismo, naturalismo, futurismo, suprematismo − e con i più svariati strumenti − stoffe, paraventi, tulle, trucchi di illuminazione − sono giunto alla conclusione che tutte queste soluzioni non costituiscono lo sfondo ideale per l'attore, quello che fa risaltare meglio la sua arte. Se in precedenza, conducendo le mie ricerche nel campo della scenografia e della regia, ero arrivato alla conclusione che le nostre possibilità sono limitate, ora posso dire che sono esaurite del tutto.
L'unico sovrano della scena è l'attore di talento. Io non sono comunque riuscito a trovargli uno sfondo che, invece di ostacolarlo, lo aiuti nel suo difficile lavoro artistico. Serve un fondale semplice, che sia però il frutto di una fantasia fervida. Ma non so come fare perché la fantasia non predomini, diventando banale sfarzo teatrale. La semplicità dei paraventi, della stoffa, del velluto, delle decorazioni di corda si è rivelata in realtà una pessima scelta. Una scenografia di questo tipo cattura l'attenzione dello spettatore più di un comune allestimento teatrale, a cui il nostro occhio è abituato e che quindi non nota nemmeno. Non rimane che sperare nella nascita di un grande artista che sappia risolvere questo difficile problema, creando per l'attore un fondale semplice, ma allo stesso tempo artistico.


Tuttavia se nel campo della scenografia è stato studiato ogni approccio, nel campo della creatività interiore dell'attore le cose stanno in modo ben diverso: tutto è lasciato al talento e all'intuizione, con il risultato che, nella stragrande maggioranza dei casi, domina il più sprovveduto dilettantismo. Le leggi della creatività dell'attore non sono state ancora analizzate e molti pensano che studiarle sia inutile o persino dannoso.
La vecchissima idea che all'attore servono solamente talento e ispirazione è abbastanza diffusa anche oggi. A sostegno di questa tesi si fanno i nomi di attori geniali che ne sarebbero una dimostrazione vivente. Provate a dire ad attori poco esperti che ritenete importante la tecnica e vi sentirete rispondere con disprezzo: “Scusate, negate il talento, l'istinto?”.
Ma c'è un'altra opinione, molto diffusa in teatro, secondo la quale serve innanzitutto la tecnica, se poi c'è anche il talento, ovviamente non danneggia. Gli attori che hanno questa convinzione, quando vi sentono elogiare la tecnica, esprimono in un primo momento il loro plauso. Ma se provate a dire loro che la tecnica è tecnica, ma prima di tutto vengono comunque il talento, l'ispirazione, la reviviscenza, che la tecnica esiste per risvegliare il superinconscio, inorridiscono: “Reviviscenza?” − gridano − “È roba vecchia!”.
Questi attori temono il sentimento e la reviviscenza probabilmente perché non sanno provare sentimenti né riviverli sulla scena.


Nove decimi del lavoro di un attore consistono nell'afferrare l'interiorità del personaggio, nel cogliere la sua vita spirituale: fatto questo, il personaggio è quasi pronto. È assurdo affidare al caso nove decimi di un lavoro. È vero, i talenti eccezionali sentono e creano il personaggio immediatamente. Non è per loro che vengono scritte le regole, sono loro a scriverle. Ma, guarda caso, da loro non mi è mai capitato di sentire che non serve la tecnica ma il talento oppure che la tecnica è al primo posto e il talento al secondo. Al contrario: più un artista è grande, più si interessa alla tecnica della sua arte. “Quanto maggiore è il talento, tanto più questo richiede tecnica ed esercizio” mi ha detto un grande attore. Così ragiona un vero talento.


Tutti i grandi attori hanno scritto di tecnica e, fino ad età avanzata, hanno rafforzato la tecnica quotidianamente con il canto, la scherma, la ginnastica, lo sport e così via. Tutti hanno studiato per anni la psicologia dei loro personaggi, hanno incessantemente lavorato sull'interiorità. Solo i mediocri si vantano della loro familiarità con Apollo, del loro istinto infallibile e si mettono a cercare l'ispirazione nell'alcol o nelle droghe, rovinandosi precocemente il carattere e il talento. Qualcuno mi sa spiegare perché un violinista, che sia il primo o il decimo di un'orchestra, deve esercitarsi ogni giorno per ore e ore? Perché un ballerino lavora ogni giorno su ogni singolo muscolo del suo corpo? Perché un pittore e uno scultore dipingono e modellano quotidianamente e considerano perso ogni giorno in cui non possono lavorare mentre l'attore può non fare niente, starsene intere giornate al bar tra belle donne e la sera sperare in un'elemosina dall'alto e nella protezione di Apollo? Può essere definita arte quella i cui sacerdoti ragionano come dilettanti?
Non c'è arte che non esiga abilità tecnica e non c'è limite per questa abilità. Diceva il grande artista francese Degas: “Se hai centomila franchi di mestiere, non ti accontentare: comprane ancora per cinque soldi”.


Questa necessità di acquistare esperienza e abilità è particolarmente evidente nel teatro. Infatti la grande tradizione della pittura si conserva nei musei e nelle collezioni d'arte, quella letteraria nei libri, quella musicale negli spartiti. Un giovane pittore può stare delle ore davanti a un quadro e raggiungere il colorito di Tiziano, l'armonia di Velàzquez o il disegno di Ingres. Si possono leggere e rileggere le strofe ispirate di Dante o le pagine raffinate di Flaubert, si può studiare in ogni sua sfumatura l'opera di Bach o di Beethoven. Ma l'arte che nasce sulla scena dura solo un istante e, per quanto bello sia, non gli si può ordinare di fermarsi.
La tradizione dell'arte scenica vive solo nel talento e nella capacità dell'attore. L'irripetibilità dell'impressione provata dallo spettatore limita il ruolo del teatro come luogo di studio dell'arte scenica. In questo senso il teatro non può dare all'attore principiante l'aiuto che un museo o una biblioteca danno al giovane pittore o al giovane scrittore. Con i progressi della tecnica di oggi si potrebbero sicuramente incidere su dischi le voci degli attori e riprodurre i gesti e la mimica su uno schermo, il che sarebbe di grandissimo aiuto agli attori principianti. Ma niente può fissare e trasmettere ai posteri quel percorso interiore del sentimento e quel cammino conscio verso l'inconscio che costituiscono la vera base dell'arte teatrale. È la questione della tradizione vivente. È una fiaccola che passa di mano in mano ma non sulla scena, bensì per mezzo sia dell'insegnamento, della scoperta di segreti, sia di un lavoro duro e ispirato che fa assimilare questi segreti.


Che ruolo posso avere io? La nostra posizione, in quanto vecchi rappresentanti del passato, dell'arte cosiddetta borghese, è profondamente mutata. Vecchi rivoluzionari del teatro, ci siamo ritrovati a esserne i conservatori. I rivoluzionari, si sa, devono attaccare. E per questo ci vogliono dei nemici. Il nostro ruolo di oggi è più difficile. Non mi sto lamentando, sto solamente facendo delle considerazioni. Ogni età ha ciò che si merita. Sbaglieremmo a lamentarci. Abbiamo vissuto. E dobbiamo essere grati al destino per averci dato la possibilità di gettare uno sguardo verso il futuro, verso ciò che verrà dopo di noi. Dobbiamo cercare di capire le prospettive che si aprono per le nuove generazioni, gli obiettivi che si pongono. È molto interessante osservare che cosa si muove nei cuori e nelle menti dei giovani. Tuttavia ci sono due ruoli che nella mia nuova situazione non vorrei interpretare. Temo di diventare un vecchio che si dà arie da ragazzo, che cerca di attirare l'attenzione dei giovani fingendosi un loro coetaneo, con gli stessi gusti e le stesse idee, che con il fiatone, zoppicando e inciampando, arranca alle loro spalle temendo di rimanere indietro. Ma non voglio neanche assumere il ruolo opposto, quello dell'anziano che ha provato tutto, che ha raggiunto tutti i suoi obiettivi, intollerante, burbero, brontolone, che non accetta le novità, che ha dimenticato la curiosità e gli sbagli di quando era giovane. Vorrei, negli ultimi anni della mia vita, essere me stesso, seguire la natura, secondo la quale ho vissuto e lavorato per tutta la vita nell'arte.
Chi sono? Che cosa rappresento nella vita del teatro di oggi? Posso ancora capire, come un tempo, ciò che succede intorno a me nelle più piccole sfumature, ciò che interessa oggi ai giovani?


C'è un campo in cui non siamo invecchiati, anzi: quanto più vivremo tanto più saremo esperti e forti. In questo campo possiamo fare molto: aiutare i giovani con le nostre conoscenze e la nostra esperienza. La generazione di oggi non potrà fare a meno di noi, se non vuole scoprire l'America un'altra volta. Sto parlando della tecnica esteriore e interiore dell'attore, ugualmente necessaria a tutti, vecchi e  giovani, conservatori e rivoluzionari, donne e uomini, dotati e non. I processi della creatività dell'attore, regolati da leggi naturali, sono sempre gli stessi per tutte le generazioni. Proprio in questo campo gli attori principianti tendono maggiormente a sbagliare. Noi possiamo aiutarli, possiamo formarli, metterli in guardia.
C'è un altro campo in cui la nostra esperienza può essere utile ai giovani. Noi sappiamo sulla base delle nostre vite, e non solo a parole, che cos'è l'arte eterna e quale percorso la natura le ha assegnato, e sappiamo anche, in base alle nostre esperienze, che cos'è invece l'arte di moda e quanto sono brevi i suoi sentieri. Abbiamo avuto modo di convincerci che ai giovani fa bene abbandonare per qualche tempo la strada maestra, che li porterà lontano, per un sentiero, dove svagarsi e raccogliere fiori e frutti da portare con sé al ritorno sulla via principale, per poi proseguire, rinfrancati, il cammino. Ma smarrire completamente la strada maestra è invece pericoloso, perché è su di essa che l'arte procede da tempo immemorabile. Chi non conosce questa strada è condannato a vagare per i vicoli ciechi e a perdersi in un labirinto.






Fondamenti del Teatro
Kontantin Sergeevič Stanislavskij
Bilanci e prospettive
in Id.
La mia vita nell'arte
a cura di Fausto Marcovati
traduzione di Raffaella Vassena
prefazione L'attore è tutto, il resto è sfondo di Fausto Marcovati
Firenze, La Casa Usher, 2009
pp. 445; pp. 404-410












Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook