“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 03 June 2017 00:00

L'animale morente: intervista a Franz Krauspenhaar

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Consumami il cuore; malato di desiderio 
       E avvinto a un animale morente 
       Che non sa che cos’è.
 
(da Byzantium di William Butler Yeats)

 

 

Ci sono autori che leggi e ti scivolano addosso. Qua e là ne resta qualche traccia, un momento, una frase, un’espressione. Manca alla fine quella curiosità vitale che ti spinge a dire: vorrei conoscerlo davvero. Strano rapporto quello con i libri, empatico seppure nella distanza oggettiva che c’è fra chi scrive e chi legge, ma sintomatico nello stesso tempo del bisogno che accomuna lo scrittore e il lettore: quello di non essere più soli. Se, come diceva Franz Kafka – non a caso o per caso un altro FK – un libro deve essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi, Franz Krauspenhaar riesce perfettamente a condurre il suo lettore là dove lui vuole, con uno stile secco, duro, nudo, esattamente come deve essere la vita al di fuori di quella stessa pagina.

Non c’è posto nella sua scrittura per un sentimentale autocompiacimento, non c’è illusione, non c’è parvenza di un seppur lontano lieto fine, vivere è brutto ma si deve pur vivere, sembra dirti, ecco un filo, ecco un funambolo, ecco un’escamotage da grande spettacolo cabarettistico in cui siamo tutti protagonisti e comprimari di una estrema bellezza che si coglie va via e, a dirla tutta come Céline, è un gran cazzo fritto la vita. Sia nella prosa come nella poesia la scrittura di Franz Krauspenhaar lascia il segno spesso dolente di un vivere marginale arroccato su se stesso in una indifendibile resa alla realtà. Tutto sullo stesso piano, il bello e il brutto, l’amore e il disincanto, tutto concorre e corre allo spaesamento dell’essere vivi in piena coscienza di essere già morti, e contro tutto questo il desiderio, portato all’estremo, di una carnalità che fa male perché almeno nel dolore si ritrovi quella certezza di riuscire ancora a “sentire” qualcosa.

L’amore è una cosa che mi dispera,
non lo spero da anni, ma lo stesso
a pensarci mi ferisco nel petto
come una donnetta scema. Allora,
a notte fonda preparo poche righe
nelle quali immagino un lui che
fa l’amore con lei, e lei ha i polsi
tagliati da poco, dai quali sgorga sangue
a rivoli compatti. Quel lui sarei io, e la lei
una donna mai esistita, la personificazione
della disperazione, della mia solitudine,
la carne brillante dello scempio.

(Dispera, da Capelli struggenti)

Poche righe e l'animale morente è tutto qui.


“Si trova sempre qualcuno simile a noi. Basta un sorriso, a volte, e si divide la colpa di essere vivi“.

Considero questa frase che hai scritto in Grandi momenti molto sintetica ma nello stesso tempo esplicativa di una concezione dell'esistenza. Cosa cerca Franz Krauspenhaar nella scrittura, una condivisione di se stesso e della colpa di essere vivo?
Diciamo che lì parla il personaggio. Io non sono così estremo. Non penso che abbiamo colpa. A volte è solo una sfortuna. O una gioia immensa. Franco Scelsit esagera spesso, è sincero ma umorale, quindi si lascia andare al mood momentaneo. Io nella scrittura cerco condivisione, divertimento, impegno, studio, tante cose.

Il panorama letterario italiano si è via via riempito della costellazione di piccole case editrici e molte di esse sopravvivono a se stesse con la politica "paga e ti pubblico il libro". Oltre allo smisurato spreco di carta da macero che questo comporta, come ritieni questo atteggiamento che molti hanno di voler pubblicare tutto e subito a qualsiasi costo? S'è perso il mestiere dell'editore appassionato alla Bobi Bazlen, tanto per fare un nome? Dobbiamo rassegnarci a considerare l'editoria solo come una forma di mercato nel mercato?
Quelli di cui parli non sono editori, ma stampatori a pagamento. Praticano un altro sport. Abbastanza ributtante. Poi ci sono quelli che non ti fanno pagare in denaro ma in incompetenza. Poi c'è gente seria che fa il suo mestiere con competenza, ma forse sono la minoranza. Ce ne è per tutti, chi ha il punto debole nella distribuzione, ed è un grosso punto debole, chi nella promozione, chi in tutto. Chi cura i suoi autori, chi cura le piante. I grandi editori attualmente prediligono gli usa e getta. Io ho provato ogni genere, il piccolo, il medio, il grande, con alterne fortune.

Hai cominciato a pubblicare molto tardi e sei diventato in breve tempo un autore cult di riferimento. La critica, con cui purtroppo bisogna fare i conti sempre, ha parlato di te come del Céline italiano. Una pietra di paragone molto pesante da reggere. Quali sono stati i tuoi autori di riferimento e in che misura hanno condizionato la tua scrittura? Esiste uno stile Krauspenhaar e, se c'è, dove pensi di aver dato il meglio in questo senso?
Beh qualcuno l'ha scritto, ma non so se sia vero. Ho avuto molte influenze, anche da Hemingway, da Bernhard, da Fante, Henry Miller, Bianciardi, Pasolini. Dürrenmatt. Pinter, Beckett. Böll, Grass. Anche Philip Roth. Ma pure Josef Roth. Questo per la prosa. Sono tanti. Mi sento un autore internazionale che scrive in italiano, sono stato più preso dalla letteratura straniera, sono un autodidatta, non ho studiato da scrittore italiano. Il mio stile c'è, ma varia a seconda del libro. In pratica, amo la sintesi e la lucidità del pensiero nonostante tutto. Non è facile riassumermi, purtroppo.

Ti si rimprovera di essere un autore generazionale legato agli anni '80 e alla Milano da bere anche se poi, in realtà, hai incominciato a pubblicare verso la fine degli anni '90. Pensi che questa definizione sia stata per te limitante? E in ogni caso, in quale contesto pensi di poter collocare la tua scrittura? C'è per te un "branco" di appartenenza?
Vengo dagli anni '80, ma ho cominciato a pubblicare nel 2000. Nessun branco, non so perché, il branco non è venuto a me, o io non sono apparso al branco. Non sono un autore generazionale, sono un autore con la A maiuscola.

Ai tuoi libri, sempre molto autobiografici, si sono aggiunte nel tempo le poesie. Come nasce il Krauspenhaar poeta? Consideri la poesia una forma minore del tuo essere scrittore, un accrescimento o la collochi sullo stesso piano espressivo di te stesso? In parole povere: Krauspenhaar perché hai sentito il bisogno di scrivere poesie?
Le poesie sono state all'inizio un prolungamento dei romanzi sotto altra forma, e poi sono diventate vitali. Ho aspettato trent'anni. Oggi chiunque fa la sua cosa in rete, e non è sempre una cosa bella da vedere. Io ho aspettato quasi cinquant'anni, ho quasi sempre scritto poesie, ce ne sono alcune scritte a vent'anni che prima o poi pubblicherò.

Considerando che i tuoi libri sono sempre, in qualche modo, autobiografici, e considerando pure che lo scrivere è alla fine, consapevole o meno, una sorta di autoanalisi, fra le varie figure che emergono dalle tue pagine spicca la mancanza di una figura femminile che lasci il segno. Le donne dei tuoi romanzi sono comprimarie di letto, figurine usa e getta, avventure di passaggio senza futuro ma neppure un presente. Da dove nasce il disincanto che fa dire a Scelsit  in Grandi momenti "in me non ci sono le condizioni oggettive per essere amato da qualcuno. Perché l’amore, laddove esiste, è una cosa seria. E io sono un clown senza voglia di ridere"? E questo disincanto non è in fondo che il mascheramento della rinuncia ad amare per paura d'amare? Un'autocastrazione emotiva in nome della sopravvivenza?
Sono enfatizzazioni. Per il resto è vero, ma fino a un certo punto. non sono sempre figurine. ma non c'è alcuna rinuncia, c'è proprio il disincanto... in Grandi momenti è vero, sono tutte comprimarie, ma in altri romanzi c'è più polpa, per esempio in Era mio padre. La tendenza che dici c'è, ma autocastrazione no... c'è una certa sfiducia, almeno negli ultimi anni. Le poesie vengono direttamente dal coração...

Krauspenhaar e la scrittura. Krauspenhaar e la musica. Krauspenhaar e, magari domani, il cinema o qualche altra forma d'arte. Quindi un Krauspenhaar ubiquo. Non temi a volte di lasciarti andare a troppi rivoli, come spesso capita a chi ha troppo talento? O forse in queste parti di te trova uno sbocco e uno sblocco un interiore straripare al quale una sola forma di espressività non basta?
Il cinema lo vedo impossibile. E non mi va di imparare per fare dei video qualsiasi. Cerco l'eccellenza, sempre. La musica l'ho tirata fuori pochi anni fa, più che un musicista sono un "alchimista sonoro", devi avere musicalità. Sono sempre stato un appassionato, ma come per la poesia ci sono arrivato quando mi sentivo pronto. A breve esce il primo lavoro, col nome di Nerolux, ma sono io al cento per cento. Rivoli? No, forse un po' poliedrico... Tranquilla Rosella, niente cinema, niente quadri improbabili, mi fermo qui...

Anche tu devi molto alle possibilità di espressione e comunicazione offerte da Internet. Hai scritto su Nazione Indiana, sei stato creatore e redattore di altri blog di letteratura e poesia. I social media e la comunicazione ai tempi di Internet hanno rivoluzionato, nel bene e nel male, la nostra esistenza. Indubbiamente siamo tutti in mostra in questa vetrina virtuale, ma credi che la rete abbia fallito l'utopistico compito di diffondere gratuitamente input culturali, o ritieni che in qualche misura siamo stati noi a fallire nel suo utilizzo? Dalla gran massa di cretini di Umberto Eco c'è qualcosa da salvare?
Non sono mai stato d'accordo con Eco, c'è una massa di cretini ma quella abbonda dappertutto. Tutti noi, almeno per un po', siamo cretini, anche i più intelligenti. Col cretinismo c'è gente che fa soldi a palate, col suo cretinismo, intendo. Internet ha solo il problema che si diffonde la cultura, è un mezzo prodigioso, ma è una Ferrari spesso in mano a dei Fantozzi dell'automobilismo. La cosa negativa è che sei ostaggio dell'imbecillità, dell'insulto. Io non ci bado più, ma è difficile, nell'appiattimento, distinguere, perché la lettura, per esempio su Facebook, è frenetica, dispersiva, spesso non rimane niente. Si è perso il rispetto per l'autore serio, che magari non è protetto e deve autopromuoversi, sporcarsi le mani. Non vive Facebook e la rete come in una camera iperbarica. A volte leggere certa gente fa venire il vomito. Il loro disprezzo per i lettori è immenso come la loro inutilità. Un buco nero.

Cosa ha rappresentato per te Grandi momenti? Tutti noi siamo portati a considerare la morte come a un fatto ineluttabile ma incollocabile nella nostra vita in un tempo pensato. Muore sempre qualcun altro. Quanto ti ha cambiato la malattia? E quanto ha inciso nel tuo rapporto con il tuo corpo, con te stesso, con gli altri?
Mi ha cambiato molto, sono diventato "più sano e più' bello". Curo il mio corpo, ho ripreso a fare sport, ho smesso di fumare, mi arrabbio di meno. Dunque tutto positivo, direi. Io mi sentivo immortale a cinquant'anni, sono stato stupido, e ho avuto fortuna.

Guardandoti alle spalle e guardando al futuro, cosa ti piacerebbe che venisse ricordato di quello che hai scritto e come ti immagini fra qualche anno? Come è il tuo rapporto con il tempo?
Mi piacerebbe essere molto più valorizzato e anche tradotto all'estero. Certi miei romanzi sarebbero da tradurre, non lo penso solo io, ovviamente, lo pensano in tanti. Ma siamo in una logica che premia solo le vendite, diciamo così. Sono contento di quello che ho fatto, almeno quattro o cinque libri sono eccellentissimi... Il mio rapporto col tempo è complesso. Sono felice di non invecchiare ma non mi piace invecchiare...

E per ultimo, alla Marzullo: si faccia una domanda e si dia una risposta.
Sei soddisfatto?
Fossi matto!


Franz Krauspenhaar è nato a Milano nel 1960. Ha pubblicato fino ad oggi nove romanzi, un saggio narrativo e cinque libri di poesie.
Tra i suoi libri più noti: Era mio padre (Fazi, 2008, Premio speciale Palmi per la narrativa 2008), L'inquieto vivere segreto (Transeuropa, 2010), Le monetine del Raphael (Gaffi, 2012), Grandi momenti (Neo, 2016). Per le edizioni Il seme bianco è da poco in libreria Un affresco in nero. Ha pubblicato inoltre nel 2013 gli ebook Il subentrato e La bella moglie, brevi romanzi noir per Lite Editions.
Fra i suoi libri di poesie ricordiamo: Biscotti selvaggi nel 2012 e Le belle stagioni nel 2014, entrambi per Marco Saya Edizioni. Nel 2016, sempre per Marco Saya Edizioni, Capelli struggenti.
Di prossima pubblicazione l'opera musicale Light Obsession con lo pseudonimo di Nerolux.
Per quattro anni ha fatto parte della redazione del blog Nazione Indiana, ed è stato tra i fondatori del blog La poesia e lo spirito e la webzine Torno giovedì. Scrive di letteratura, arte e costume per varie testate.

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