“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 16 May 2017 00:00

L'incompiuta democrazia in America

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Non ho mai assistito ad uno spettacolo di Romeo Castellucci e della “mitica” Raffaello Sanzio; sono quindi curiosa e piena di aspettative rispetto a La democrazia in America, tratto dall’omonima opera politico-filosofica di Alexis de Tocqueville.
L’incipit è senz’altro impressionante, con diciotto donne vestite da suore militari, tutte in bianco, con dei campanellini appesi agli abiti che si muovono in sincrono e compongono figure. La confusione. La visione non è nitida, perché vi è uno schermo opaco che copre tutto lo spazio scenico separando gli attori (le attrici, anzi: sono tutte donne) dal pubblico.

Il sottofondo sonoro, come riportato anche su una striscia scorrevole, è una glossolalia, un caos di parole incomprensibili espresso in probabili molteplici lingue, un affronto ai canoni linguistici, una sfida alla comprensione ed alla costituita condivisione di senso data dalle parole, ma anche, la divina(toria) arte degli apostoli e dei primi cristiani di lodare Dio in una lingua solo a loro intellegibile. Nel mentre, le attrici in scena portano ognuna uno stendardo con una lettera dipinta sopra che allineano, componendo così diverse frasi. La prima è, appunto, “Democracy in America”, a seguire leggiamo “Aerodynamic Ceramic”, “Car Comedy in America”, “Cocain Army Medicare”, “Ice Canada Memoir Cry”, “Decay Crime Macaron”, “Cynic Dreamer Coma”, e così via... Una Babele a volte ironica che fa anche ridere il pubblico e che si lascia supporre poderosa e in divenire. Questo scenario iniziale, difatti, lascia ben sperare: è dinamico, pare foriero di molteplici messaggi, testuali, ipertestuali, storico-religiosi, politici, teatrali, meta-teatrali. Dopo le (divertenti ma sconnesse tra loro...) frasi in inglese, alcune delle crocerossine in bianco compongono con i loro stendardi nomi di nazioni, per lo più del Sud Est del mondo; nazioni periferiche, politicamente marginali, economicamente non ricche. Mi sorge un primo dubbio, di coesione interna ed esterna dell’opera, ma spero in un messaggio universalistico da venire.
Invece poi tutto sfuma, si perde, il senso diventa impalpabile, la coesione scenico-drammaturgica latita. I tempi si dilatano e si stringono come una fisarmonica, con un passaggio veloce (troppo!) e confuso (cronologicamente mischiato) dei vari atti legislativi che hanno costituito l’origine e il fulcro della democrazia americana, dal Boston Tea Party del 1774 al Kansas-Nebraska Act del 1854, passando per il Bill of Rights. La Costituzione americana è tutt’oggi la più antica Costituzione scritta dei tempi moderni, ma questo non viene detto né rappresentato.
I piani si sovrappongono, nella lunga e stopposa descrizione dell’afflato religioso, epico, proto-politico della famiglia del New England del 1789 che va avanti tra stenti, idea di nuova fondazione, timore di Dio, rabbia verso Dio che è il Dio iroso e vendicativo che punisce. Puritanesimo, ebraismo, primitivismo si mischiano. La dimensione riportata è familiare, individualistica, dunque, per certi aspetti, arcaica. La democrazia americana nasce forse da questo, che è poi incarnato dalla volontà conquistatrice e indifferente del luogo e dei suoi abitanti degli Europei che hanno perpetrato una sorta di Shoah dei nativi americani? È figlia dell’istinto di conquista e violenza, dell’irragionevolezza? O della costruzione di pezzi di partecipazione attraverso la costituzione delle varie norme, per nulla esplorata, ma elencata come lista della spesa? O attraverso la schiavizzazione dei neri negli Stati del Sud?
Riconosco l’alto livello delle scenografie, con la nebbia e l’opacità a stendere un velo di illusione, forse, sul simbolo della democrazia mondiale autodefinitasi la più avanzata, e ad incantare per la loro bellezza, come fossero dei dipinti o invece delle scene cinematografiche. Davvero molto suggestivo. Molto belle alcune coreografie, che, in nome forse del meltin’ pot  d’oltreoceano – elemento rappresentato probabilmente dall’iniziale glossolalia – riprendono danze per lo più dei Paesi mediterranei e del Sud del Mondo. E anche qui si può cogliere un messaggio forse di internazionalizzazione, o di auspicio democratico e più socio-economicamente equo in Paesi meno evoluti, ma gli indizi per affermarlo sono davvero troppo labili, forse frutto della fantasia di chi scrive. Detto ciò, al di là di alcune battute scambiate tra due indiani sulla comprensione della volontà di assoggettamento da parte degli Europei, e l’inutilità di imparare la loro lingua (tanto “le loro parole non dicono le nostre cose!”), non vi sono contenuti originali, né esplicativi, né convincenti. La noia prevale, come galleggia la mancata comprensione della ratio dell’opera, e infastidisce l’uso abusato e privo di scopo dei nudi femminili (di cui siamo un po’ stufi, se non vi è una ragione, anche estetica, valida; pare siano dei riempitivi emotivi, talora, i corpi nudi delle femmine...). Il promettente inizio perde per strada la sua potenzialità creativa e creatrice (di nuovi luoghi, di nuovi nomi, di nuove norme, di nuove forme, come la nuova terra “scoperta” ha consentito fosse), le combinazioni di movimenti, le variazioni di frasi che potevano aprire scenari contemporanei anche di social communication – ambito in cui gli USA sono di certo all’avanguardia – per  lasciare spazio a una coacervo di micro-esperienza cui mancano colori e fili per unirle e farli diventare la Democrazia in America. Il demos non si vede, il cratos si trasforma in forza, ma la vis è immanitas, brutalità, fisica, etica, simbolica. Si sa che i movimenti primi, come quelli di affermazione, sono atti d’imperio che portano con sé il seme della violenza, ma non serviva questo spettacolo per dirci che ciò è avvenuto anche negli Stati Uniti d’America, e per comunicarci, a livello emozionale, artistico, etico-filosofico, troppo poco altro, soprattutto per un nome così apprezzato in Italia e all’estero come Castellucci.

 

 

 

 

 

La democrazia in America
liberamente ispirato all’opera di Alexis de Tocqueville
regia, scene, luci, costumi Romeo Castellucci
testi Claudia Castellucci, Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
con Olivia Corsini, Giulia Perelli, Gloria Dorliguzzo, Evelin Facchini, Stefania Tansini, Sophia Danae Vorvila
e con Irene Bini, Sara Bolici, Mariagiulia Da Riva, Laura Ghelli, Virginia Gradi, Giuditta Macaluso, Sara Manzan, Alice Bariselli, Irene Saccenti, Cristina Poli, Elisa Romagnani, Fabiola Zecovin
coreografie liberamente ispirate a tradizioni folkloriche di Albania, Grecia, Botswana, Inghilterra, Ungheria, Sardegna
con interventi coreografici di Evelin Facchini, Gloria Dorliguzzo, Stefania Tansini, Sophia Danae Vorvila
assistente alla regia Maria Vittoria Bellingeri
maître répétiteur Evelin Facchini
sculture di scena, prosthesis e automazioni Istvan Zimmermann, Giovanna Amoroso
realizzazione costumi Grazia Bagnaresi
calzature Collectif d’Anvers
direzione di scena Pierantonio Bragagnolo
tecnici di palco Andrei Benchea, Giuliana Rienz
datore luci Giacomo Gorini, Andrea Sanson
tecnico del suono Paolo Cillerai
costumista Elisabetta Rizzo
fotografo di scena Guido Mencari
direzione tecnica Eugenio Resta
equipe tecnica in sede Carmen Castellucci, Francesca Di Serio, Gionni Gardini, Daniele Magnani
decoratore Silvano Santinelli
responsabile di produzione Benedetta Briglia
promozione e distribuzione Valentina Bertolino, Gilda Biasini
assistente alla produzione Giulia Colla
amministrazione Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci
consulenza amministrativa Massimiliano Coli
produzione esecutiva SOCIETAS
in coproduzione con deSingel International Artcampus; Wiener Festwochen; Festival Printemps des Comédiens à Montpellier; National Taichung Theatre in Taichung, Taiwan; Holland Festival Amsterdam; Schaubühne-Berlin; MC93 – Maison de la Culture de Seine-Saint-Denis à Bobigny con Festival d’Automne à Paris; Le Manège – Scène nationale de Maubeuge; Teatro Arriaga Antzokia de Bilbao; São Luiz Teatro Municipal, Lisbon; Peak Performances Montclair State University (NJ-USA)
con la partecipazione di Théâtre de Vidy-Lausanne and Athens and Epidaurus Festival
lingua italiano, inglese
durata 1h 40'
Bologna, Arena del Sole, 12 Maggio 2017
in scena 11 e 12 maggio 2017

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