“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 20 October 2016 00:00

Peccati di questi tempi

Written by 

Il suono di un antico vibrafono scandisce il tempo come i rintocchi di un orologio. Antico come le parole antiche di John Ford, il vibrafono riempie l’aria quando le parole tacciono. Laura Angiulli porta in scena, a Galleria Toledo, il peccato. Ma cos’è il peccato, l’abominio, in questi tempi che sono antichi e moderni nello stesso momento?

La città è piccola, lo è perché piccolo è lo spirito umano. Se si discute in strada, dietro qualche uscio qualcuno sicuramente ascolta. Nessuno è mai completamente solo, però, nemmeno dentro le mura di casa. Nessuno esce mai completamente di scena. Restano tutti intorno gli attori, fermi come le certezze che ognuno ha, lì a delimitare uno spazio angusto sull’ampio palcoscenico, lo spazio circoscritto dalla presenza di persone e di relazioni umane, di quelli che se non sanno, sapranno e se non agiscono nella vita dell’altro, agiranno, di quelli che osservano e giudicano.
In scena si litiga, si trama, ci si accorda per possedere una donna come se fosse un oggetto prezioso: lei è la ricompensa che spetta al più forte o al più nobile o al più ricco. Si medita di uccidere per vendicare un tradimento. Alte cariche ecclesiastiche perdonano un omicidio quando esso è commesso da un uomo dal cognome illustre. Si avvelenano le amanti scomode, si picchiano le mogli ma l’unica azione alla quale vengono riferiti i termini di peccato e abominio è la volontà di amare qualcuno che per l’etica comune, per la fede cristiana, non si dovrebbe amare.
Il giovane Giovanni, ragazzo affascinante e colto, ama ricambiato sua sorella Annabella. È bellissima Annabella, come annuncia già il suo nome. Sulla scena è l’unico colore intenso tra tonalità spente. Il suo abito è rosso, come qualcosa di gustoso come le ciliegie, come la passione d’amore, come il sangue. Lei che ha tanti uomini che la desiderano e che la pretendono in nome del loro aspetto avvenente, del parentado o dei soldi, trova amabile solo il bel fratello.
Così fratello e sorella confessano il loro vicendevole amore alle persone che hanno più care: Giovanni al proprio precettore, un frate che lo ha avviato allo studio della filosofia antica, Annabella alla propria nutrice affettuosa ma sciocca. Giovanni riceve ammonizioni, avvertimenti, sollecitazioni a rinunciare. Annabella, invece, è incoraggiata a soddisfare i propri desideri. Giovanni è forte e non si tira indietro ma lo è anche Annabella. I due si amano. Il peccato di questi tempi è il loro amore incestuoso.
Nella realizzazione di Laura Angiulli, l’innamorato è duro nel temperamento, scorbutico e sempre arrabbiato con ciò che lo circonda, perfino con la donna che ama. L’amore che le offre è una maledizione che scaglia contro di lei. La ama e la mette in pericolo già solo pronunciando il proprio sentimento in un tempo molto severo con le donne. Ne è consapevole Giovanni così come Annabella ma decidono di essere liberi. La donna di questa tragedia è un essere che scalpita e tenta di liberarsi costantemente. Lo sono sia Annabella che Ippolita, quando prova a vendicarsi dell’uomo che l’ha abbandonata dopo averla sedotta. Entrambe subiscono più degli altri il potere del fato che è un fato progettato dagli uomini.
Mostri di varia natura si aggirano tra le pietre e i pilastri della scena spoglia. Non servono artifici scenici quando sono in mostra sfaccettature solitamente segrete dell’animo umano. Si rispetta così l’antico canone teatrale della scena elisabettiana. Vibrano note profonde e torbide su quelli che muoiono e quelli che uccidono. E in tempi tetri, violenti e ingiusti dove a nessuno sarebbe consentito di scagliare la pietra, l’ultimo colpo viene inferto sul corpo morto di Annabella, ma è forse un commento che la eleva dal mondo abietto che lo pronuncia, “peccato che fosse puttana”.

 

 

 

 

N.B.: su Peccato che fosse puttana si veda anche:
Grazia Laderchi, "Peccato che fosse puttana e le conseguenze della filosofia"Il Pickwick, 2 luglio 2016

 

 

 

 

Peccato che fosse puttana
di John Ford
traduzione Nadia Fusini
elaborazione drammaturgica e regia Laura Angiulli
con Federica Aiello, Agostino Chiummariello, Gianluca d’Agostino, Michele Danubio, Alessandra D’Elia, Luciano Dell’Aglio, Gennaro Di Colandrea, Stefano Jotti, Gennaro Maresca, Vittorio Passaro, Caterina Pontrandolfo, Michele Schiano di Cola, Maria Scognamiglio
scene Rosario Squillace
luci Cesare Accetta
decorazione pittorica Michele Danubio
musicista percussionista Antonio Della Ragione
assistente alla regia Flavia Francioso
segretaria produzione Angelica Simeone
tecnico alle luci Lucio Sabatino
responsabile palcoscenico Luigi Agliarulo
in collaborazione con Accademia di Belle Arti
lingua italiano
durata 1h 20'
Napoli, Galleria Toledo, 13 ottobre 2016
in scena dall'8 al 23 ottobre 2016

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook