“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 05 October 2016 00:00

Drammaturgia argomentativa

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Per raccontare, descrivere e considerare Scusate se non siamo morti in mare bisogna necessariamente partire dal testo drammaturgico. Bisogna farlo perché, per questo come per altre drammaturgie firmate da Emanuele Aldrovandi, il testo è ben più di un semplice punto di partenza; è drammaturgia in cui si dipana un filo narrativo che è strumento funzionale all’articolazione di un ragionamento complesso, strutturato, che si compone e si costruisce attraverso studiati meccanismi (uno su tutti: il ribaltamento, che sia di senso o di prospettiva).

La regia, la costruzione scenica, la recitazione, sono componenti che entrano in gioco successivamente, ma sempre e comunque in modo complementare ad una narrazione argomentativa che cela sottotraccia la struttura dell’apologo: in pratica è come se Scusate se non siamo morti in mare fosse un ragionamento dimostrativo, teso a svelare progressivamente il suo senso attraverso l’evidenza del contrario.
La scena è uno scarno perimetro circondato da quattro luci al neon, ospita tre futuribili “migranti” che in una futuribile distopia sono in procinto di lasciare il loro continente al collasso (l’Europa) per raggiungere una non meglio precisata meta grazie al supporto di un caronte che li sistemerà in un container per duemila dollari ciascuno: “Gli euro non valgono nulla” in questo mondo ribaltato in cui “l’Africa sta per rialzarsi e l’Europa no”.
In questo container in mezzo all’oceano, veicolato dalla dinamica innescata da un aguzzino protervo, s’innestano dialoghi serrati, che vedono i tre profughi – due uomini e una donna di colore immigrata in Europa – baccagliarsi in un perpetuo gioco delle parti, che li porta ora a coalizzarsi variabilmente due contro uno, ora a far ciascuno parte per se stesso nell’ancestrale lotta per la sopravvivenza dell’homo homini lupus.
Espungendo dal ragionamento l’ambientazione di circostanza – un container disperso in mezzo al mare, con una rotta non ben definita, gestito da uno “scafista” (se così posiamo definirlo) che entra ed esce dalla scena, declamando ora la ricetta della pasta alla gricia, ora la storia dell’invenzione del container, ora ancora ragionando rivolto al pubblico sui massimi sistemi – Scusate se non siamo morti in mare va necessariamente scisso da qualsiasi pretesa di realismo, a meno che non si voglia parlare di ‘realismo simbolico’: tutto ciò che avviene in scena, comprese le incursioni microfonate del “Morbido” (ovvero il trafficante di uomini), possiede primieramente una valenza evocativa di dinamiche interpersonali che sono lo specchio di più ampie dinamiche sociali. Tra indagine antropologica e riflessione sociologica, Scusate se non siamo morti in mare porta avanti, dall’inizio alla fine e con linearità – sotto le spoglie di una storia giocata in punta di paradosso – un sottile ragionamento, quasi didascalico, sulle dinamiche di una società alla deriva, che naufraga scontrandosi con le sue contraddizioni, così come naufraga il container su cui viaggiano i tre personaggi che hanno deciso per differenti ragioni di intraprendere un nebuloso viaggio della speranza.
A questa costruzione estremamente ragionata fa riscontro una lettura registica che si dimostra congrua, ancorché ancillare, lasciando che il primato scenico appartenga sempre e comunque al linguaggio dialogato (il ragionamento), di cui gli accadimenti pratici non sono che contorno e addentellato. Non parimenti si può dire della qualità attorale, che nel suo complesso mostra qualche discrepanza di livello, denotando in parte delle sue componenti un’impostazione ancora troppo scolastica e stereotipa che mal si coniuga con il tenore intrinseco (paradossale e iperbolico) della drammaturgia.
Complessivamente Scusate se non siamo morti in mare conferma quanto di buono già sapevamo sulle qualità di scrittura di Emanuele Aldrovandi – potremmo definirla una sorta di “drammaturgia argomentativa” – raccontando con l’originalità dell’invenzione teatrale la concreta profondità dei meccanismi che sottendono all’agire umano.

 

 

 

 

Stazioni d’Emergenza
Scusate se non siamo morti in mare
di Emanuele Aldrovandi
regia Pablo Solari
con Luz Beatriz Lattanzi, Marcello Mocchi, Matthieu Pastore, Daniele Pitari
scene Maddalena Oriani, Davide Signorini
sound designer Alessandro Levrero
produzione Associazione Centro Teatrale MaMiMò
in collaborazione con Arte Combustibile, La Corte Ospitale – Residenze 2016
lingua italiano
durata 1h 15’
Napoli, Galleria Toledo, 14 settembre 2016
in scena 13 e 14 settembre 2016

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