“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 18 July 2016 00:00

Emma Dante: Medea in rivolta

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Sarebbe ingenuo classificare Verso Medea di Emma Dante come una semplice ripresa della tragedia di Euripide, tanto più che lo stesso titolo spiega bene l’intento diverso del lavoro.

Sul fondo del palco sgombro ci sono cinque sedie, sulla destra il cantuccio di strumenti antichi e preziosi dove si sistemano Enzo e Lorenzo Mancuso, meglio conosciuti come i “Fratelli Mancuso”. Tutto, ancora una volta, inizia da una schiera, segno costitutivo e ritornante del teatro della regista palermitana. Si tratta di una schiera di cinque uomini (Carmine Maringola, Salvatore D’Onofrio, Sandro Maria Campagna, Giuliano Scarpinato, Davide Celona, attori ormai fissi della compagnia Sud Costa Occidentale) in tenuta femminile: gonne e drappi scuri a coprire – o scoprire – gambe pelose e muscolose e mosse di un isterismo grottesco e volutamente marcato. Più che a Corinto, siamo in mezzo ai Quartieri Spagnoli o tra i vicoli di Palermo; il coro di cinque zitelle en travesti nei due rispettivi dialetti annuncia un sogno/oracolo che è l’orizzonte verso cui questa storia ci proietta: ci sono due donne gravide, una di loro è Medea.
Della figura archetipica scolpita da Euripide qui si ricalcano i tratti più caustici e mordaci perché profondamente umani: Medea tradita e sola in terra straniera, Medea fuoco di raggia, Medea pazza, Medea strega, Medea cova guerra e morte, Medea partorisce aborti.
Più che la drammaturgia testuale – in cui i personaggi mitici diventano antieroi che parlano una lingua infetta, fetente e provocatoria – è la drammaturgia dei corpi a dilatare la visione. Come in altri lavori di Emma Dante – Ballarini, Le sorelle Macaluso, Operetta Burlesca − la messa in scena si sdoppia due piani narrativi, in cui la danza, o meglio elementi di danza, costituiscono gli squarci immaginativi più interessanti. Si tratta di schegge, frammenti o sequenze che si riconnettono all’immaginario disturbante e poetico con cui Emma Dante da sempre ci aggredisce e di cui si sente un po’ la (sana) mancanza, in lavori “più classici” − sono d’obbligo le virgolette − come questo.
Ancora una volta, dicevamo, è la danza a liberare l’azione, a far vibrare le vicende sulle mosse d’immagini che restano scolpite sul nero della scena come fotografie: come Medea ribaltata al centro del proscenio, sottomessa e ammiccante al dominio maschile di Creonte/Salvatore D’Onofrio, ammaliato e spietato; o il coro che trattiene la donna gravida e infine la espelle in una curva sinuosa di corpi come un farmakòs che deve espiare la sua colpa. Mentre richiamano alla mente altri lavori di Emma Dante (penso di nuovo a Ballarini, e non solo) i movimenti nervosi di Medea (una fluida Elena Borgogni) in peplo e velo nuziale che trema e si scuote in un fascio di luce.
Emma Dante fa abitare la tragedia dal suo popolo di personaggi e visioni disturbanti in limite di genere e provenienza, tra tic e cadenze di dialetti e lingue da lei predilette: elementi ormai riconoscibili del suo universo teatrale. Di Medea ci arriva la spinta eversiva e anarchica, il rifiuto all’assoggettamento in un mondo di uomini acerbi – Carmine Maringola nei panni dello spavaldo Giasone – e una società conformista allineata dalla parte del potere.
Tutto questo avrebbe forse meno valore senza i Fratelli Mancuso, terzo cuore pulsante del lavoro, punto di raccordo tra testo e movimenti che rappresenta, inoltre, una terza drammaturgia nella drammaturgia. Uno spettacolo vero vederli e sentirli imbastire canti e rapsodie carnali e struggenti con strumenti desueti e dall’aspetto misterioso come l’harmonium, la ghironda di origine medievale, il baglama, una sorta di chitarra turca che ricorda un po’ la forma del liuto, o il sipsi, uno strumento a fiato anch’esso di origine turca. Se consideriamo che lo strumento principalmente adoperato per la musica della tragedia è l’aulos (strumento a fiato ad ancia doppia) ma che sia Sofocle che Euripide per le loro tragedie prevedevano, tra gi altri, anche lyra, kithara, barbitos, trigonon, magadis (tutti a corda) e che al suonatore spettava anche intonare canti, ecco allora la presenza dei fratelli Mancuso si carica di un valore doppio: da un lato, ci riporta all’origine (anche musicale) della tragedia, dall’altro va nella direzione suggerita fin dall’inizio dalla riscrittura della regista: Corinto è Napoli, è Sicilia, è Turchia; tutto questo, oggi, è Europa.
Medea è qui, Medea è tutti i giorni: in fuga dalla sua terra, resiste, rigettata anche dal paese che avrebbe dovuto accoglierla. Una tragedia eterna, quest’eterna rivolta di Medea.

 

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Verso Medea
testo e regia Emma Dante
con Elena Borgogni, Carmine Maringola, Salvatore D’Onofrio, Sandro Maria Campagna, Giuliano Scarpinato, Davide Celona
canti e musiche dal vivo Fratelli Mancuso
luci Marcello D’Agostino
produzione Compagnia Sud Costa Occidentale
paese Italia
lingua italiano
durata 1h 20'
Napoli, Teatro Bellini, 11 luglio 2016
in scena 10 e 11 luglio 2016

 

 

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