“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 03 June 2016 00:00

"Memorie di un pazzo": una lenta infiorescenza

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Poprischin è un semplice impiegato della Pietroburgo del primo Ottocento, un “consigliere titolare”: forse, come lui afferma, di nobili origini.  Ciò non toglie che in quella Russia zarista, fatalmente lenta, rigida socialmente e conservatrice culturalmente e antropologicamente, egli patisca molto il peso grigio dell’apparato burocratico del suo lavoro. La sua diversità – un’innocenza naïve mista ad una sorta di sindrome di Peter Pan − fa sì che venga deriso e ritenuto strambo dai colleghi, e, di conseguenza − come diremmo con linguaggio odierno − marginalizzato.

L’amore non corrisposto per una giovane e bella donna, figlia del suo direttore, segna il punto di non ritorno che apre la porta al passaggio da un’insita, e sociale, bizzarria alla follia vera e propria. La latenza diventa evidenza, la potenza, atto. E così, Aksentij Ivanovic Poprischin comincia a credere che la di lei cagnolina scriva delle lettere e che queste abbiano lo scopo di allontanare la sua amata da lui, per gelosia. Da lì, è una progressiva discesa negli inferi, fino al punto in cui Poprischin inizia ad affermare convintamente di essere il Re di Spagna Ferdinando VIII. A quel punto, la crudeltà del mondo russo ancora pre-borghese e i costumi dell’epoca (il racconto di Gogol’ è del 1835 circa) hanno come esito la sua segregazione in un centro per matti. A livello di registro, questo corrisponde al passaggio da un vitalismo tragicomico ad un epilogo consistente in un drammatico soliloquio del pover’uomo, privo di spiragli di redenzione e di una possibile vita libera e piena.
Un tentativo interessante, la riproposizione in chiave grottesca di Memorie di un pazzo di Nikolaj Gogol’. Riuscito però a metà. Come esattamente a metà è diviso il numero degli attori, tra italiani e georgiani (quattro e quattro) e l’uso delle due lingue, con prevalenza invece qui schiacciante della prima. Apprezzabile l’idea della suddivisione e della co-partecipazione, un po’ meno il risultato. Un’esposizione a tratti non fluida, interpretazioni non sempre all’altezza, ma momenti intensi e parti convincenti, in particolar modo, a mio avviso, quelle “collettive”, abbastanza oniriche e liriche.
La giovane età degli attori ha prodotto una recitazione un po’ troppo accademica e didascalica, carente a tratti di vigore e forza persuasiva; si è distinta la giovane attrice Roberta De Stefano che ha dato brio, originalità, allegria, ironia e una recitazione del tutto personale ad un impianto che cercava stravaganze ma era di fatto, a livello recitativo, classicheggiante. Anche il passaggio da una lingua all’altra non mi è parso efficace: non ha aggiunto suspense o esotica curiosità, ma ha portato strani e distorti gorgheggi in una presunta lingua slava (poteva essere anche si trattasse di semplici suoni primordiali potenzialmente universali e non codificati come linguaggio compiuto). Impegnativo il ruolo dell’attore principale, comunque più che discreto. La tenuta emotiva e fisica è stata senz’altro buona. Il progetto artistico può dare, con maggiore amalgama, maturità artistica e chiarezza d’intenti, buoni frutti. O meglio, bei fiori.
Mi è rimasta dentro una certa tenerezza per il protagonista, e anche la sensazione che, se non compresa − da se stessi prima di tutto, dal mondo circostante poi − la sensibilità e la fragilità possano scavare un fossato che distanzia dalla vita reale e fare perdere l’orientamento esistenziale, quando magari esse sono invece solo tratti distintivi di una bellezza personale diversa da quella ordinaria, che magari – chiudo con questo auspicio − al giorno d’oggi potrebbe essere vista e vissuta con positiva consapevolezza e incanto.

 

 

Memorie di un pazzo
tratto da Memorie di un pazzo
di Nikolaj Gogol’
regia Levan Tsuladze
coreografia
Gia Marghania
con Zakaria Berikashvili, Giusto Cucchiarini, Roberta De Stefano, Eleonora Giovanardi, Ana Grigolia, Nika Kuchava, Konstantin Roinishvili, Massimo Scola
costumi Nino Surguladze
adattamento musicale Zurab Kalandadze
scene Gioacchino Gramolini, Sergio Punzo
produzione Kote Marjanishvili State Drama Theatre, Emilia Romagna Teatro Fondazione
lingua italiano, georgiano
durata 1h 30'
Bologna, Arena del Sole, 25 Maggio 2016
in scena dal 17 al 25 Maggio 2016

 

 

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