“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 02 April 2016 00:00

La danza liberatoria di "Operetta burlesca"

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Palco vuoto. Scarpe tacco venti e cappelli dai colori sgargianti disposti in riga, sul proscenio. Sul fondo della scena pendono, a mo’ di pupi, quattro bambole gonfiabili dalle bocche sbarrate, ricoperte di vestiti scintillanti di paillettes e colli di piume colorate. Una sintesi geometrica, poetica dello spazio. Tutto ha inizio dal buio e dalla musica: le note malinconiche di fisarmonica de Il terzo fuochista di Tosca vomitano corpi – in movimento – sulla scena.

Le corde delle bambole, sotto coni di luce, vagamente oscillano e con loro danzano quattro figure. Siamo in un circo pop queer, in un sogno allucinato. La realtà è un caleidoscopio di ombre, muscoli che si flettono, smorfie di sfida e pose elastiche. Lo sguardo oscilla e si sdoppia, come i personaggi di questa tragicomica operetta: Pietro (Carmine Maringola), quarant’anni in un corpo e in una lingua sbagliati – la famiglia si è trasferita dalla Sicilia alla provincia di Napoli – la mattina aiuta il padre alla pompa di benzina dove "gli si spezzano tutte le unghie" e si sente di morire dentro. La sera la sua voce maschia va in falsetto e allora sposta i mobili della stanza per ballare di nascosto, davanti allo specchio. Accanto a lui, Francesco Guida, pancia pelosa in vista e frac, madre fin troppo premurosa/padre di un Sud ottuso e omofobo, è un perfido deus ex machina che osserva, o meglio, controlla tutto dal fondo della scena. E poi due misteriose figure in limite di genere dai corpi perfetti e sinuosi (i ballerini Viola Carinci e Roberto Galbo) che, come in un transfert, duplicano i gesti, le pulsioni, i desideri di Pietro, che in sé ha una parte maschile e femminile: e questo è tutto, e "non ci sta niente di strano, mamma". La casa è chiusura, galera nera, oppressione, impossibilità di vivere, ma basta prendere la Vesuviana per colorarsi di sensualità e leggerezza, comprare vestiti e scarpe adatte; innamorarsi, persino. Pietro s’innamora di uno “scarparo” sposato con figli che lo illude di felicità. Teso e energico, Carmine Maringola, nel raccontare il corteggiamento, le lotte intestine, i travestimenti di nascosto; con lui si spogliano anche i due ballerini che gli tendono vesti e parrucche presi dalle bambole gonfiabili che, una dopo l’altra, restano a penzolare, nude, sulla scena. E nudi sono i corpi vivi e desideranti dei ballerini e dell’irresistibile Pietro trans che toglie i jeans da lavoratore e indossa tacchi vertiginosi sotto lunghe gambe femminee.
C’è una perfetta simmetria (inversa) di segni, di carne, di senso, man mano che la storia si dispiega, probabilmente è questa la vera "opera". In questa messa in scena dai tratti burlesque, i corpi diventano come quelle bambole sospese sul palco, e viceversa (la prima e ultima scena, da questo punto di vista, sono speculari). Il genere appare così una mera questione di performatività.
Ancora una volta, nell’immaginario onirico di Emma Dante, i diversi linguaggi e orizzonti si mischiano: tragico e comico, spettacolo e avanspettacolo; sensuale e grottesco; tenero e acre, duro; equilibrio e dissonanza; maschile e femminile, napoletano e siciliano. Come già in Le pulle, Ballarini, Le sorelle Macaluso, a innescare tutto è la danza, elemento ormai costitutivo delle creazioni della regista siciliana, che s’intrufola soavemente nelle pieghe del teatro: le allarga, le stana; conquista sempre di più spazio, pregnanza, andando quasi a costruire una seconda, doppia drammaturgia. Dall’inizio alla fine, i due danzatori si producono in una partitura di gesti e coazioni ripetute che fanno letteralmente esplodere – soprattutto verso il finale, che evoca quello de Le sorelle Macaluso – il senso della messa in scena. È la danza a sorreggere l’impianto favoloso e immaginifico di questa fiaba senza lieto fine. Attraverso il movimento delle due metà danzanti di Pietro – schegge di luce perturbanti, nella penombra della scena – i corpi reclusi si liberano dal genere, dai generi, in uno svelamento doloroso e liberatorio che passa, sì, per uno spogliamento fisico e carnale, ma arriva a una sorta di dispiegamento interno, sottile, etereo. Raffinatamente estetico. E, a tratti, dell’anima.



N.B.: Su Operetta burlesca si veda anche: Michele Di Donato, Il tragico e il buffoIl Pickwick, 1° maggio 2014


Operetta burlesca
testo, regia, scene e costumi Emma Dante
con Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola
coreografie Davide Celona
luci Cristian Zucaro
produzione Sud Costa Occidentale
lingua napoletano, siciliano
durata 55'
Napoli, Teatro Bellini, 29 marzo 2016
in scena dal 29 marzo al 3 aprile 2016

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