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Monday, 22 February 2016 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Benedetta Manfriani

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"Per offrire una definizione alla poetica di Benedetta Manfriani – pittrice, scultrice, fotografa, videomaker, cantante – artista versatile quanto fedele ad una vocazione profonda e originale, potremmo usare il termine di "ulteriorità". Fin dalle primissime sperimentazioni pittoriche nello studio-bottega di Margherita Mazzoni – dopo gli importanti corsi alla Scuola di iconografia bizantina del monastero parigino di Saint-Jervais, e quelli alla Scuola di Seriate – intrigata dall’uso dell’oro, materia simbolica per eccellenza e dotata di una evidente semantica dell’“oltre”, l’artista toscana riesce subito a trasfigurare in chiave personale il materiale narrativo cui attinge nella sua produzione (pitture, xilografie, sculture), riferito in gran parte all’immaginario ebraico.

Oggetto di un interesse non solo artistico, ma culturale in senso lato, che le ispira citazioni puntuali, e tuttavia mai fini e se stesse, perché poste in costante dialogo con l’oggi, ’messe alla prova’ dell’attualità, personale e collettiva, la quale sembra riceverne, così, una sorta di rilettura in chiave universale. Ovvero – appunto – ’ulteriore’.
La poetica di Manfriani (che per altri versi si può considerare anche un’artista ispirata da un paesaggio, legata, per nascita, affetti e formazione ’visiva’, a un imprinting territoriale non di poco conto, dal punto di vista estetico, come quello toscano), è già tutta qui: sguardo che, come attraversato da una insopprimibile inquietudine, supera l’apparente adesione ad un orizzonte formale, la tentazione di un ambiente ’perfetto’, per collocarlo in una visione sempre nuova.
Il salto cronologico alle opere più recenti coglie, dietro una notevole diversificazione di tecniche espressive – ceramica, fotografia, scultura, installazioni interattive, video – la stessa operazione, riassumibile in una tensione continua verso un superamento di confini: come se ogni forma del reale – un riflesso dell’acqua, la traccia di una ruota sul fango, la sagoma che traluce da una griglia metallica – potesse, e dovesse, farsi soglia di uno scandaglio, ritrarsi, quasi, rinunciando a se stessa, per spalancare mondi inediti, regalare significati inusitati.
L’ultima opera in ordine di tempo – la straordinaria scultura sonora e interattiva a forma di albero, con rami mobili che cambiano continuamente aspetto, chiedendo il tocco del visitatore, e regalandogli ogni volta un suono diverso – risulta, in questa chiave, il vero e proprio compendio semantico di un intenso cammino artistico. Prevedibilmente gravido, come ogni percorso intessuto di un costante dialogo con il mistero dell’esistenza, di sempre nuovi sviluppi" (Maria Cristina Carratù – giornalista de La Repubblica).

Quando ti sei accorta di voler essere un’artista?
Mio nonno era uno scultore e da bambina andavo da lui a fare sculture di ceramica e a dipingere. Quel mondo magico in cui si dava forma al fango e in cui delle polverine sbiadite si trasformavano, uscendo dal forno, in colori meravigliosi, mi rendeva felice. Ero felice quando costruivo qualcosa con le mie mani o quando, un po’ più grande, prendevo la chitarra e andavo sul tetto a cantare. Dopo l’esame di maturità mi fu regalata una Reflex: da allora non ho mai smesso di fotografare.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?
Sono partita dalla ceramica, dalla terra. Poi mi sono innamorata della pittura bizantina per la simbologia, per l’uso del colore e per l’incredibile visione che trasmette. L’uso dell’oro e dei colori fatti con terre, minerali, piante, ossa di animali mi ha incredibilmente affascinato. È la tecnica pittorica da cui sono nati i grandi capolavori della mia città, Firenze. La scoperta della xilografia, del disegno/scultura essenzialissimo nei tratti, ha trasformato il mio lavoro e ho cominciato a fare illustrazioni per bambini. Nel frattempo il canto, trascurato per un po’, è tornato a bussare alla porta. Non ci siamo più lasciati. La musica è la sorgente della mia creatività. Ho sempre sperimentato molto e usato tanti materiali e tante tecniche diverse. A un certo punto è spuntata la scultura ed ho creato un grande albero mobile interattivo collaborando con uno dei centri più importanti in Europa per la sperimentazione musicale.

Hai dei modelli cui ti sei ispirata e perché?
Nelle arti visive a Chagall, Calder, Cowen, Rothko. Quasi tutti ebrei. Chagall e Rothko sono russi e la loro arte nasce in parte dalla contemplazione delle icone. Le loro opere, diversissime, sono finestre aperte sull’oltre. Calder gioca. Anch’io ho bisogno di giocare. Gioco con i materiali e mi diverto a creare storie incantate, drammatiche o felici, ma violentemente vive. Nelle sue foto Cowen svela qualcosa di misterioso, di nascosto. E sono intrise di letteratura, pittura, cinema e musica.

Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Gli artisti devono vendere il loro lavoro per vivere e un gallerista amico degli artisti, che creda davvero nel loro lavoro, è un grande aiuto.  Con il gallerista può nascere un rapporto importante per la crescita professionale, e spesso anche per la crescita come persona. Mi sembra invece che comprare un Picasso da un milione di euro solo perché è un investimento sicuro abbia poco a che vedere con l‘amore per l’arte.

Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
Resuscitare la famiglia Medici.

Qual è l'opera tua o di altri a cui sei più legata e perché?
L’albero mobile
. Perché è magico ed è nato in un momento magico. L’albero ha rami di ferro, rame, specchi e cristalli, che si muovono e sussurrano suoni se sollecitati dal tocco dei visitatori o dagli agenti atmosferici. È un simbolo della natura dinamica di ogni equilibrio, che non è mai raggiunto per sempre, ma che si perde e si ritrova in forme sempre nuove.

Se potessi scegliere, dove vorresti esporre e perché e in quale periodo dell'anno?
Al MoMA di New York intorno a Natale. New York è la città dove persone da tutto il mondo sono arrivate per OSARE un futuro diverso. A New York si sono incontrate la musica afro-americana e il teatro musicale ashkenazita, dando vita al musical. Il musical ha regalato al mondo alcune fra le musiche più belle che siano mai state scritte (gli standard jazz più famosi) ed è la musica con cui sono cresciuta e che mi ha ossessionato al punto di doverla studiare e cantare. È la città in cui, nel bene e nel male, freme la vita e in cui le arti si contaminano. Perché Natale a New York è una cosa da bambini.

Secondo te si può vivere di arte in Italia?
È molto difficile. In Italia manca una formazione di base per accedere alla comprensione dell’arte. Sarebbe necessario investire molto di più nella formazione e nella cultura. Siamo il Paese dell’arte, sul nostro territorio è stato generosamente sparso un patrimonio artistico incredibile. Dovremmo solo farlo respirare, vivere, insegnando ai bambini l’amore per quello che hanno sotto gli occhi ogni giorno. E insieme a questo, coltivare il talento, la creatività, quella cosa speciale che ognuno di noi ha, e che può arricchire la nostra vita, quella altrui, e la storia. Senza questa consapevolezza, l’arte non può che essere ritenuta superflua: un concerto dal vivo vale quanto un cd, un quadro vale quanto un poster, basta la salute.

Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?
Il dover trovare l’equilibrio e l’energia  necessari per guadagnarsi da vivere, mantenendo libertà e disciplina per continuare a cercare. Il fatto che l’artista spesso è percepito come un’anima bella che può anche fare a meno di mangiare – è un poeta! – e l’opera d’arte non come vero nutrimento, ma come qualcosa di superfluo. Il mito dell’artista solitario ha creato un sacco di problemi. È invece necessario collaborare, scambiarsi le idee, diffondere il proprio sapere.

Che cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Vorrei che si potesse leggere dietro la diversificazione di tecniche espressive – fotografia, scultura, installazioni interattive, video, musica – la ricerca di varchi verso mondi sconosciuti.

Qual è la domanda che vorresti ti fosse rivolta in un’intervista?
Questa: com’è possibile conciliare la professione artistica e una serena vita familiare? Mi interessa questa domanda perché a questo ho cercato e continuo a cercare di rispondere. Penso che la mia vita di mamma (ho quattro figlie meravigliose) e di artista per vocazione sia un percorso difficile, ma entusiasmante. Con tanta fatica ho scoperto che senza la mia famiglia non ci sarebbe la mia arte, e senza l’arte non mi sarebbe stato possibile osare una famiglia così impegnativa. 

 

 

 

Art 3.0 – AutoRiTratti
Benedetta Manfriani
in collaborazione con Accademia dei Sensi

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