“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 19 February 2016 00:00

Fieri d'amare

Written by 

Una finestra sul tema dell’identità e dei sentimenti: siamo chi vogliamo essere o solo chi scegliamo di mostrare all’esterno? Ci riconosciamo nel volto che vediamo proiettato nel riflesso dello specchio?
Viene affrontato il tema di chi siamo, o meglio chi riusciamo ad essere nella nostra epoca, nel contesto di cui siamo figli, e chi saremmo stati in condizioni e in tempi diversi.
Insomma chi abbiamo il coraggio di permetterci di poter essere.

I temi che vengono presentati sono intrecciati tra loro: l’amore (etero e omosessuale), la fedeltà, l’identità, la soddisfazione personale, l’orgoglio, il coraggio, il pregiudizio. L’amore è trattato come energia potente, poco gestibile. Mi ha ricordato la visione di Einstein nella lettera alla figlia Lieserl: “Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono, e anche quello che rivelerò a te ora, si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo. Vi è una forza estremamente potente per la quale la scienza finora non ha trovato una spiegazione formale... questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo, forse perché l’amore ci fa paura, visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo non ha imparato a manovrare a suo piacimento”. Nelle parole dello scienziato si legge la concezione della devastante forza dell’amore messa in scena sul palco del Bellini, per cui nessuna spiegazione razionale ci rende capaci di spiegarla né di ammaestrarla a nostro piacimento.
Due storie in due tempi lontani tra loro: una nel 1958 e l’altra, a quasi sessanta anni di distanza, nel 2015; come denominatore comune Londra e un trio di attori che nell’alternarsi delle scene cambia rapidamente collocazione spazio-temporale, tipo di linguaggio verbale e non. Unico simbolo condiviso: il parco, luogo neutro di incontro d’amore.
Philip (Luca Zingaretti), Oliver (Maurizio Lombardi) e Sylvia (Valeria Milillo) sono battezzati con gli stessi nomi nelle diverse storie e ciò non è un caso: a mano a mano che si aprono le trame si percepiscono sempre di più le affinità tra il personaggio del passato e quello del presente.
Alla vigilia degli anni Sessanta Oliver, scrittore di libri per bambini, conosce il marito della sua collaboratrice Sylvia e parla della sua “epifania” in un viaggio in Grecia in cui ebbe la sensazione che in un giorno futuro tutto sarebbe andato meglio e che ci sarebbe stata comprensione per cose non accettate, così che “tutte le notti insonni ne saranno valse la pena”. Non spiega a cosa si riferisca, ma traspare qualcosa di indefinito che lo turba, che non lo fa sentire libero di essere quello che è. La donna tiene molto al fatto che i due si conoscano e che al marito faccia una buona impressione il suo datore di lavoro: il suo intento sembra avere successo ma nella scena successiva appare scossa, pensierosa, non riesce a prendere sonno e si confida con Philip. Si sente sola anche se in realtà vive la dimensione della coppia, si domanda se avere dei figli farebbe la differenza per compensare il vuoto che avverte. Ma dalle sue parole si avverte la consapevolezza, benché ben tenuta lontana da una dimensione propriamente cosciente, della falla nella famiglia che si è costruita, come se non ci fosse reciprocità di sentimenti tra lei e il suo compagno: cerca ma non trova le parole giuste per esprimere un dubbio che la imprigiona; lo fa con un giro di parole alludendo al fatto che Philip trova offensivo e inadeguato Oliver e, non a caso, allo stesso modo egli valutava Richard Covery, notoriamente omosessuale. Tenta ma non riesce ad essere diretta e manifesta l’ansia, l’inquietudine nei gesti in cui appare ripiegata su se stessa e nel provare a trattenere il marito a sé continuando ad introdurre l’argomento a notte fonda. Il dubbio le rende il fiato corto, come se avesse un peso piantato sulla gabbia toracica. Solo quando troverà la prova del tradimento del marito con l’uomo (una collanina nella sua camera da letto) si abbandonerà ad uno sfogo in cui dichiarerà che riconoscere che ciò che sospettava era vero, non ha fatto altro che trasformare la sua vita in una grossa bugia e in “un’orribile festa mascherata”. Philip appare deciso nelle sue posizioni inizialmente, un uomo qualunque che però come tanti ha dovuto rinunciare ad una passione per dare spazio al lavoro che ha dovuto intraprendere, ritrovandosi a vendere gelidi appartamenti, costipato in una quotidianità che non ha scelto. Rabbia è l’impressione che trasmette, con una punta di oppressione: ciò traspare da alcune frasi dette a mezza bocca, da sorrisi stereotipati e di circostanza, punta di un iceberg di una realtà tenuta sommersa. Tenero ed umano appare al contrario quando si rassegna alla tentazione di assecondare la sua passione per Oliver: egli gli infonde coraggio dicendo che potrà essere qualcosa di bello, “puro e sincero”. Philip vive un conflitto profondo tra il desiderio di assecondare il suo naturale orientamento sessuale e la necessità di non sentirsi stigmatizzato. La scena in cui spontaneamente va dal medico per sottoporsi ad una cosiddetta "terapia estrema" (tre iniezioni di apomorfina per indurgli il vomito associate alla visione di materiale pornografico in modo da creare una connessione tra la sua inclinazione sessuale con il disgusto), fa raggelare se si pensa che nel passato l’omosessualità era considerata davvero un disturbo psichiatrico e categorizzata nel manuale dei disturbi mentali... Allora non era riconosciuta altra possibilità se non quella di lottare contro tale deviazione, “nemico pernicioso”. E alla domanda di Philip se a seguito della terapia, oltre agli impulsi sessuali scomparirà anche il sentimento che prova, il medico non risponde, ma con freddezza replica solo “c’è altro?”. Qui si capisce come sia in realtà impossibile lottare contro quello che si prova sinceramente, nel profondo; nessuna terapia ci può rendere avulsi dall’amare. 
Anche nell’altra storia si consumano l’amore e il tradimento: qui Oliver (chiamato Olly dall’amica sempre presente Sylvia) tradisce il compagno non con una donna ma con la pratica del “sesso anonimo”, una sorta di dipendenza da cui non sa liberarsi e che Philip non riesce più a gestire. A tanti anni di distanza c’è maggiore accettazione per gli omosessuali, non più costretti a nascondersi da se stessi. Anche il capo di Oliver, giornalista, vuole che si scriva un pezzo per rendere omaggio a suo zio Harry morto, il quale era omosessuale e aveva dovuto nascondere a tutti il suo compagno nonostante venticinque anni di convivenza.
Nonostante lo scarto temporale tra le due vicende molti temi si intrecciano e hanno delle matrici comuni benché in forme mutate. La scenografia è curata molto bene, con effetti richiamanti il mondo del cinema come ad esempio le scritte proiettate con l’indicazione del luogo e dell’anno. Gli attori molto abili tutti e ben assortiti, veritieri nei movimenti, nei dialoghi riusciti e a volte al limite del grottesco, nelle espressioni facciali.
I due finali sono differenti ma entrambi d’impatto e commuoventi.
Nel finale Sylvia del 1958 appare sul palco con una valigia pronunciante delle parole per Philip: “Sei stato un prigioniero della paura e le cose a cui ti sei aggrappato ti hanno portato dolore; tutto quello che io potrò fare sarà sussurrarti da lontano 'andrà tutto bene'”. Un sipario di angoscia e rassegnazione allo status quo.
Nel finale del 2015 Philip e Oliver invece si abbracciano, si riappacificano affermando quanto sia importante la loro libertà e poter credere al mutamento. Una scena ricca di speranza e fiducia nell’avvenire.
“Orgoglio” dunque, come fierezza, manifestazione di coraggio e cambiamenti conquistati.

 

 

 

 

The Pride
di Alexi Kaye Campbell
traduzione Monica Capuani
regia Luca Zingaretti
con Luca Zingaretti, Valeria Milillo, Maurizio Lombardi, Alex Cendron
scene Andrè Benaim
luci Pasquale Mari
costumi Chiara Ferrantini
musiche Arturo Annecchino
produzione Zocotoco s.r.l.
in coproduzione con Fondazione Teatro di Napoli
lingua italiano
durata 2h 15'
Napoli, Teatro Bellini, 16 febbraio 2016
in scena dal 16 al 28 febbraio 2016

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook