“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 11 October 2015 00:00

Taranto, stArt up e dintorni – 4

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Volge alla conclusione il nostro resoconto sul concentrato tarantino di teatro, visionato intensivamente in quattro giorni che si sono poi conclusi con la visione di Las puertas de la carne di Angélica Liddell al Castello Alfonsino di Brindisi, dove, con gli ultimi fuochi di croci dardeggianti abbiamo visto avvampare ancora qualche mistero, peraltro – almeno per noi – rimasto insoluto.
Ma anche per questa volta, seguiamo il filo narrativo diaristico e appuntiamo notazioni in forma di narrazione critica.

Ultimo giorno a Taranto: la mattinata domenicale si apre con uno spettacolo di danza, che dal titolo dialettale dichiara visceralmente la propria appartenenza territoriale, il proprio legame con la terra, che dalle tavole del palco si leva pulviscolare e che s’avvale di cromie scenografiche in cui dominano le tinte brunite, a rimarco ulteriore. Ponte ideale tra tradizione e modernità Nête jinte o pecciöne de la terre è un tentativo di contaminazione tra la musica etno-folk, eseguita live dagli otto musicisti del gruppo U’ Munacidde, e la danza contemporanea, un ponte tra radici e germogli che tenta la via coreografica dell’evocazione mistica e ancestrale, richiamando, dalla terra alla terra, i simboli della tradizione, del tarantismo, provando a riconvertirli e riconiugarli al tempo presente. L’apparato coreografico che lo sorregge, però, non sembra riuscire a portare a pieno compimento questo connubio, che si conclude con quattro danzatori che dal palco raggiungono la platea in processione, per completare il mistico rituale, tra due file di luci, mettendo in relazione diretta scena e platea, cercando quell’empatia che ancestralmente unisce chi compie i riti e chi vi assiste. Il connubio tra tradizione e contemporaneità, tra la musica tradizionale e la danza teatralizzata riesce però solo parzialmente, non riuscendo a conquistarci davvero.
Metateatralità moltiplicata è invece quella che sottende ad uno spettacolo particolare per fattura, sorprendente per la sua capacità di giocare al gioco giocato del teatro, per fare teatro parlando del teatro: Opera Nazionale Combattenti. I giganti della montagna atto III. L’arzigogolo prende le mosse dal non scritto (il terzo atto dell’opera pirandelliana, appunto) e si presenta come un residuato bellico allo sbando – sotto forma di scalcinata compagnia teatrale – che sembra sbucar fuori direttamente dal pirandelliano arsenale delle apparizioni per combattere una guerra perduta in partenza. Giungono in scena in processione, portando a spalla in guisa di feretro il corpo di una di loro (la Contessa Ilse); con del nastro bianco e rosso recingono palco e platea, dichiarando prigionieri gli spettatori, del filo spinato reticola a bordo di palco, argine e trincea che vorrebbe opporsi al teatro contemporaneo e ad un “pubblico che vuole solo noccioline”. Del teatro contemporaneo si fa metafora gustosa, costruendo un gioco concentrico di rimandi che tripartisce la scena in luoghi contigui: la scena propriamente detta, sulla quale si consumano le beghe di una compagnia derelitta; dietro di essa, nascosta alla vista da un telone bianco a mo’ di sipario, c’è la platea che li aspetta, che va intrattenuta col lazzo di una barzelletta, che fa brusio d’impazienza intollerante, che smania e fischia; infine, da quest’altra parte, c’è il pubblico vero e proprio, quegli spettatori che, fatti prigionieri in partenza, s’accorgono d’essere parte integrante di una tripartizione metateatrale. Nel mezzo, loro, gli attori, l’Opera Nazionale Combattenti, in missione suicida per conto del teatro morente, che, andando in scena, consapevoli della finzione, (“Voi fate finta di là e noi facciamo finta di qua”), rimanda la morte: “Da quando siamo arrivati qua non facciamo altro che aspettare”. Ma aspettare cosa? La morte o anche la rinascita di un nuovo teatro che li soppianti e li porti via, come un feretro in spalla? Mentre ce lo si chiede, mentre il corpo di Ilse, di nuovo in processione attraversa la platea (quella vera) per uscire, sullo sfondo il teatro (quello rappresentato) crolla in disfacimento.
Chiusura decisamente in bellezza della quattro giorni tarantina, con un'opera piena di spunti interessanti, sia drammaturgicamente che registicamente; di lì, salutata Taranto col desiderio si sia trattato solo di un arrivederci allo stArt up del prossimo anno, la nostra domenica si conclude a Brindisi con l’ultima tappa di Misteri e Fuochi. Il Castello Alfonsino di Brindisi è location suggestiva, Angélica Liddell un nome che crea un’attesa carica di aspettative: Las puertas de la carne promette di essere il clou di Misteri e Fuochi. Anche in questo caso, però, come ci era accaduto tre giorni prima con il Paradiso di Armando Punzo, rimaniamo  più avvolti dalla perplessità che circonfusi dallo stupore e dalla meraviglia. Doveva essere sacralità la parola d’ordine, in unione e connubio col territorio; si attraversa il castello in laica processione fino ad un cortile interno, al centro del quale sono sparse dodici tinozze di alluminio; il pubblico si dispone in alto, lungo due camminatoi prospicienti, dai quali assiste ad un’opera performativa di purificazione rituale. L’atmosfera è intrisa di misticismo ed attesa, come in un rito di sacralità tradizionale; si ode evocare “la cruda morte di Cristo”, vediamo un corpo di donna, nudo, in preda a convulsioni che rimandano con immediatezza al tarantismo; il corpo nudo viene ricoperto (siamo lontani, possiamo solo immaginare cosa sia quel che la guarnisce), ma poco cale, perché “tutto è santo” e il rito di purificazione si completa con le carezze fanciulle di ramoscelli d’ulivo. Il valore della visione è tutto racchiuso nel suo simbologismo; come in processione (di nuovo) ci si sposta in una sala interna del castello, passando davanti ad un’istallazione che allude all’olocausto di un corpo animale. All’interno del castello, ci si dispone attorno a sei corpi tinti di rosso, incappucciati come dei boia, i piedi conficcati in blocchi di cemento, nei quali sono piantati ramoscelli d’ulivo; la staticità della scena è rotta dalle voci registrate di persone del luogo, ciascuna delle quali racconta di un suicidio mancato, ciascuna delle quali confessa accorata una disperazione arrivata alla soglia del non ritorno; altra processione e ritorniamo al cortile centrale del castello, quello al cui centro c’è un fossato in cui arriva l’acqua del mare; vi è una piattaforma con su una croce, le si appicca il fuoco, il pubblico, dopo un po’, comincia ad applaudire a scatti e intervalli, nell’inconsapevolezza della fine o meno di ciò a cui ha assistito, nell’inconsapevolezza, forse anche della reale sostanza che materiasse ciò a cui ha assistito. Anche noi coviamo in cuor nostro un po’ di perplessità: sì, certo, c’è il legame dell’atto performativo col territorio, ci sono la ritualità, la sacralità e il momento catartico; ma ci pare ci siano soprattutto il già mostrato e il già visto, il già detto e il già sentito, il tutto offerto in visione ad un pubblico transumante da un luogo di visione all’altro, della visione medesima contribuendo così a spezzare l’aura sacrale in favore di un preteso fatto spettacolare.
Nelle luci del crepuscolo riverberano le faville di una croce che brucia – un’altra croce che brucia, dopo le croci infiammate di Punzo – mentre l’acre odore del legno che arde ci punge le narici, rischiara il cielo della sera un altro fuoco, che si lascia dietro un altro mistero.

 

 

 

NB. In appendice i tre precedenti reportage tarantini:
Michele Di Donato, Taranto, stArt up e dintorni − 1 (Il Pickwick, 05.10.2015)
Michele Di Donato, Taranto, stArt up e dintorni − 2 (Il Pickwick, 07.10.2015) 
Michele Di Donato, Taranto, stArt up e dintorni – 3 (Il Pickwick, 09.10.2015)

 

 

Puglia Showcase
Nête jinte o pecciöne de la terre (Nato tra le cosce della terra)
concezione generale
Michele Ardito, Ezio Schiavulli
coreografie Ezio Schiavulli
danzatori Chloé Fersing, Jonathan Ber, Adrien Ouaki, Ezio Schiavulli
musicisti Loredana Savino, Sandro Varvara, Renzo Cicolecchia, Saverio Paternoster, Carmine Calia, Michele Marrulli, Gaetano Ariani, Francesco Leoce
percorso sonoro live U’ Munacidde
foto di scena Lino Marchesani, Natascia Abbattista
produzione Compagnia Ezio Schiavulli/EZ3 Diffusione Coreografiche
durata 50’
Taranto, Teatro Orfeo, 27 settembre 2015


Puglia Showcase
Opera Nazionale Combattenti presenta I giganti della montagna atto III
drammaturgia Valentina Diana
regia Giuseppe Semeraro
con Leone Marco Bartolo, Dario Cadei, Carla Guido, Otto Marco Mercante, Cristina Mileti, Giuseppe Semeraro
bande sonore e musiche Leone Marco Bartolo
voce fuori campo Silvia Lodi
luci Fabrizio Pugliese
scene e trucco Bianca Maria Sitzia
foto di scena Francesca Randazzo
produzione Principio Attivo Teatro
lingua italiano
durata 1h 20’
Taranto, Teatro TatÀ, 27 settembre 2015


Misteri e Fuochi
Las puertas de la carne
ideazione e regia Angélica Liddell
con Dolores Jiménez
assistente alla regia e Stage Manager Julio Provencio
disegno luci
Octavio Gómez
suono Antonio Navarro
assistente Logística e Produzione (España) Saité Ye
produzione Gumersindo Puche
coordinamento in Spagna Iaquinandi, S.L.
produzione in Italia
Aldo Grompone 
con il patrocinio di Comune di Brindisi
in collaborazione con Segretariato Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del turismo per la Puglia – Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Lecce, Brindisi e Taranto, Fondazione Nuovo Teatro Verdi
si ringrazia Meridiani Perduti, Arta aps, Nouvelle Estetique, Ass. Cult. Ensemble Vocale Palazzo Incantato, Istituto Comprensivo Cappuccini di Brindisi, Centro di Salute Mentale di Brindisi, Centro Polivalente Anziani Quartiere Bozzano
con la partecipazione di
studenti del Corso di Formazione per “Macchinista Multicompetente” del progetto Legalit-Ars (PON FESR “Sicurezza per lo Sviluppo” Obiettivo Convergenza 2007-2013 del TPP)
lingua italiano
durata 1h 25’
Brindisi, Castello Alfonsino, 27 settembre 2015

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