“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 19 March 2015 00:00

Nel silenzio e nel buio, Giacometti

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Di Giacometti vi sono la madre, la moglie e una puttana; vi sono i corpi scarnificati, le altezze anormali, la materia tastata che diviene una statua; vi sono le chiusure filiformi de La gabbia, l’equilibrismo immobile di Sfera sospesa, le pose dell'Uomo che cammina sotto la pioggia; di Giacometti vi sono l’ossessione per il modello, le istanze d’avanguardia, il concetto di luce come strumento che plasma e colora; vi sono l’insufficienza del volume, per cui l’elemento necessita della sua rigida collocazione ambientale; il rifiuto dell’arbitrarietà compositiva, per cui tutto deve essere calcolato al millimetro ed eseguito a perfezione; la necessità emozionale dell’oggetto, per cui funge da provoca-reazione percettiva e sensibile.

Di Giacometti – ne L’ombra della sera di Alessandro Serra, interpretato da Chiara Michelini – vi sono l’isolamento, la solitudine, il silenzio: l’auto-estrazione dalla massa, la difformità individuale, la presenza liminare di chi decide di restare ai margini, ad osservare tacendo, prendendo parte alla vita soltanto quanto basta, quanto è necessario o inevitabile. C’è soprattutto – in questo studio vicinissimo a diventare uno spettacolo fatto e finito – la dimensione stilizzata dell’offerta artistica, la fatica del lavorìo compositivo, l’offerta trasfigurata del reale perché – il reale – appaia attraverso la sua resa formale.

Chiara Michelini è sola in scena e forse occorre partire proprio da questo per ragionare su L’ombra della sera, perché tale isolamento annulla ogni illusione verosimile e determina un rapporto non intra-scena – per cui azioni e respiri e le parole che vengono sussurrate a bassissima voce servono a dialogare solo con gli altri elementi dello spettacolo – ma extra-scena: tra palco e platea. Io sono qui, voi mi vedete; ciò che vedete è un corpo e questo corpo è destinato, ai vostri occhi, a diventare più corpi: senza che io vi mascheri il processo di trasformazione, senza che vi neghi i momenti di passaggio, senza che vi nasconda gli istanti in cui – essendo una – divento un’altra. La singolarità della presenza espone, più di quanto possa mai fare il lavoro di compagnia, l’interprete alle pupille degli astanti, ne fa carne da osservazione, opera già in se stessa per il solo fatto d’avanzare su questo assito che – ad un tempo – è  postribolo e caverna, casa e studio, Svizzera e Parigi ma che rimane sempre e comunque un assito: coi suoi cordami, i fari in altezza, la porta che funge da quinta.
Per questo la Michelini può permettersi di agire anche da servo di scena, ridefinendo l’arredo dello spazio, ricollocando di continuo i pochi mobili, decidendo di volta in volta la posizione di una luce, l’utilizzo di un oggetto; per questo può permettersi di assentarsi dal palco, sparire per qualche momento, e tornare come se sparita non lo fosse stata mai tanto quanto può permettersi l’esercizio caricaturale e clownesco, il cambio d’abiti rimanendo visibile e l’imbiancamento dei capelli, usando – seduta, in ribalta, accanto a una secca lampada d’appartamento – un batuffolo di borotalco.
Per questo L’ombra della sera può permettersi di fare segmentata biografia di un artista ponendo frammenti in sequenza, rinunciando alla linearità del racconto, moltiplicando le presenze contingenti (la madre, la moglie, la prostituta che frequentava) per narrare un protagonista che si astiene: mai che si rappresenti Giacometti, mai che si provi a trascinarne a forza la sagoma, mai che si tenti di rappresentarlo fisicamente; piuttosto Serra e la Michelini evocano l’uomo e lo scultore attraverso i simboli, i segni, i richiami (un cappotto, un paio di scarpe da montagna, la mela posizionata su un mobile) perché – in trasparenza – se ne percepiscano lo sguardo, una posa, le mani intente alla creazione.
Ne viene una partitura di teatrodanza divisa per quadri, inframmezzati da brevi interstizi di pausa, e che prende vigore man mano associando abbagli ad abbagli. Ridotto il tono della voce, che si limita al bisbiglio occasionale di lacerti diaristici dello scrittore e che prende vigore una volta soltanto (la madre: “Non smetterò di amare ciò che resta di te”), abbiamo dunque un’apparizione vivente sul vuoto dello sfondo – nero completo che vive di penombre, nel quale pendola fiocamente una lampadina o che viene inciso da un taglio di luce – e quest’apparizione vivente s’affanna a sistemare e risistemare i praticabili (la moglie), si spoglia e sussulta ieratica (la prostituta) o s'ingobbisce, si piega, s’accuccia (la madre) dando così sostanza plurima alle plurime donne di Giacometti.
Il comunicabile è tutto affidato alla mimica, alla gestualità e all’ostentazione corporea, che non sono pratiche astratte ma iconiche, che fungono quasi da oggettività strappata all’oblio perché sia data allo sguardo e che s’impongono non cosmeticamente addolcite ma nette, stilizzate, in tensione: si pensi agli ultimi momenti dello spettacolo e alla schiena nuda, meravigliosa, della quale i movimenti di fianchi, scapole e spalle (lentissimi) evidenziano ogni moto muscolare, ogni cambiamento di forma; ma si pensi anche a quando questo stesso corpo è disteso, di profilo, ed è ridisegnato dalle oscillazioni della lampadina, il cui andare e venire da destra a sinistra riformula continuamente il rapporto tra pieni e vuoti, ombra e sostanza, realtà e percezione.
Non si tratta, quindi, di uno sfoggio stilistico e siamo lontani dall’autoreferenzialità di certi tentativi teatrali che usano il corpo senza riuscire a dargli senso, valore, un significato comprensibile per chi assiste: L’ombra della sera, invece, riesce a fare storia e biografia, racconto e saggismo di una parabola artistica rendendone pienamente le scelte, le ossessioni, certa quotidianità privata o segreta.

Resta da dire sulla perimetrazione scenica, qui particolarmente compatta (date le dimensioni del Nostos) e che usufruisce in maniera funzionale degli spazi oltre lo spazio di scena, per cui vengono usati gli anfratti laterali e posteriori per caratterizzare ciò che vediamo a centro palco; resta da dire sull’uso di un sonoro-sottofondo, insieme di musiche o di lievi rumorosità registrate, che fanno quasi da commento umorale, da sottolineatura emotiva; resta da dire della cronometria dello spettacolo, che dilata la misura effettiva del tempo generando attese che trovano poi il loro compimento volutamente accelerato.
Ancora.
Resta da dire dell’artificialità della danza, scelta di linguaggio perfetta per rendere l’artificialità dell’arte di Giacometti (insieme di sintassi tradizionalista e di smaterializzazione d’avanguardia); resta da dire della triplice caratterizzazione figurale (si pensi, ad esempio, ai capelli: legati, sciolti o posti d'avanti al volto) e del montaggio, inteso come procedimento produttivo ma anche induttivo (occorre ricordare che anche la visione dello spettatore si compone secondo il principio di montaggio poiché associa e combina, unendole, le immagini diverse degli occhi); resta da dire della cercata progressività fisica (bassa, cioè distesa, la prostituta; media, cioè seduta perché anziana, la madre; diritta la moglie).
Infine.
Resta da dire soprattutto di Chiara Michelini: la maniera nella quale fa vibrare mani e dita, in cui invecchia compiendo pochi passi, in cui s’abbraccia da sola venendo abbracciata da chi non esiste e – ancora – il modo nel quale s’equilibria sui tacchi, batte la schiena sul palco o si fa statua, diventando un tutt’uno con la sedia su cui sale (ecco la verticalità allungatissima delle opere di Giacometti), dice del lavoro compiuto in sede di prove, per cui braccia e gambe, testa e petto, ventre e polsi devono la loro utilizzazione teatrale al surrealismo scultoreo percepibile dalla Donna sgozzata, dall’Uomo che cammina, dal Busto di donna con le braccia incrociate, La radura, dalle grandi figure fuse col bronzo come da certe suggestioni che addirittura sono oltre-autore per cui – ad esempio – sembra d’intravedere tracce della costipazione motoria che appartiene ai personaggi di Beckett, abituati a sopravvivere  standosene relegati in un posto dal quale non vogliono o non possono evadere.
È da tutto ciò che, dunque, resto colpito.
Alla fine, dopo tanto silenzio e mobilità angusta, cala il buio definitivamente, trascorrono pochi istanti che sembrano pieni di fascinazione e d’imbarazzo poi – meritati – iniziano gli applausi.

 

 



L'ombra della sera
drammaturgia e regia Alessandro Serra
con Chiara Michelini
scene e luci Alessandro Serra
produzione Teatropersona
con il sostegno di Regione Toscana, Fondazione Centro Giacometti, Nuova Accademia degli arrischianti Sarteano
durata 1h
Aversa, Nostos Teatro, 14 marzo 2015
in scena 14 e 15 marzo 2015

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