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Monday, 15 December 2014 00:00

ART 3.0: AutoRiTratto di Andrea Nicita

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Se dovessi scegliere solo tre parole per raccontarvi le sensazione provate confrontandomi con le opere di Andrea Nicita il primo termine che userei è “delicatezza”, il secondo “leggerezza” e il terzo sarebbe “equilibrio”. Le sue figure fluttuano, galleggiano, restano quasi ad un passo dal precipizio in una realtà che non gli appartiene, mantenendo intera e forte la loro autonomia. Queste presenze, pur silenziose, riescono comunque ad imporsi su tutto quello che le circonda. La sensazione che si riceve, restando in ascolto, è il desiderio di mettere in comunicazione realtà diverse, permettere un confronto paritario, anche se potenzialmente pericoloso. Le sculture non sono mai mimentiche rispetto all’ambiente circostante, anzi, sembano non parlare mai la lingua del luogo che abitano. Desiderio quindi di conoscenza, che superi gli schemi già noti.

Quando ti sei accorto di voler essere un artista?
Non me ne sono accorto, ma ci sono caduto dentro lentamente.

Quali sono i passaggi fondamentali della tua evoluzione artistica?

La mia formazione è passata attraverso una strada accademica, lavorando per scenografie di teatri e parchi giuochi ho assimilato lo stile classico, poi sono passato alla ricerca e allo studio di una mia linea da seguire, dalla scultura sono passato alla pittura, alla grafica e poi di nuovo alla scultura; quest’ultima assorbe tutto il mio lavoro. 

Hai dei modelli a cui ti sei ispirato e perché?
Ho guardato molto gli altri, li ho studiati tutti, ma in questi ultimi anni sono stato particolarmente attratto dagli artisti che hanno distrutto la “forma” e le convenzioni come Pollock, Yves Kleine, Rothko.

Cosa pensi del mercato dell'arte, quali sono i limiti e quali le potenzialità?
Purtroppo i limiti dipendono dal fatto che, il mercato, non può fare fronte ad un numero così eccessivo di artisti e di opere; in giro − per le gallerie o per le fiere e oramai in ogni dove − ci sono lavori contemporanei e putroppo, spesso, di qualità pessima.

Se tu potessi suggerire un'idea per valorizzare gli artisti contemporanei cosa suggeriresti?
So che potrebbe essere un’operazione pazzesca, ma andrebbe creata una sorta di “classifica” dell’artista in base alla sua educazione, agli anni di esperienza, al curriculum: un po’ come si fa per assumere del personale in una azienda.
Dopo di che verrebbero creati "livelli" di artisti: quelli da gallerie e quelli amatoriali, perché è giusto che, anche chi dipinge per hobby, possa esporre.

Secondo te si può vivere di arte in Italia?

Sì, se sei scelto dalla fortuna, anche se penso che la fortuna non esista. Però niente è casuale ma... tutto è causale.

Nel processo di crescita e nel tentativo di affermazione e diffusione del proprio lavoro quali sono le difficoltà che, più spesso, incontra un artista?
La difficoltà maggiore è essere notato o emergere in questo grande caos artistico, mediatico, spesso improvvisato, fatto di galleristi che non sono galleristi, artisti che credono di vendere i lavori esponendoli nei ristoranti, nei pub, in alcune stanze che vengono chiamate gallerie. Vedi, nel mio caso non espongo mai in luoghi dove so che − le persone − non vedranno mai i miei lavori e men che meno li acquisteranno.
Dall’altra parte, le gallerie importanti non sono interessate a me perché, oramai, non sono più giovane. Allora ho ideato un parco di sculture, su di una collina dove passano turisti e gente del luogo: questa può essere una soluzione per richiamare attenzione e considerazione.

Cosa potrebbe essere migliorato nella comunicazione dell'arte?
Meno comunicazione e più lealtà; voglio dire che oramai tutti gli artisti fanno lavori per comunicare a tutti i costi le proprie emozioni, c’è chi ha da comunicare la denuncia contro quella o quell’altra cosa, contro un comportamento, contro il livellamento dei pensieri. Alcuni dopo un anno di scuola d’arte si sentono già pronti per essere artisti. Forse abbiamo perso la consapevolezza dell’importanza di un percorso da fare prima di scendere in piazza a denunciare il mondo; il percorso è quello di imparare “ad usare le mani” (per imparare un mestiere), poi potremo razionalizzare, concettualizzare, astrarre il nostro lavoro artistico ma, prima, serve uno studio e un approfondimento serio e faticoso.

Puoi indicarci un pregio e un difetto della critica d'arte?
Non saprei. Le persone che hanno scritto su di me degli editoriali o critiche d’arte hanno letto e descritto in pieno i miei sentimenti, il significato di quello che volevo dire, talvolta mi hanno fatto capire le opere da me realizzate ma che non avevo io stesso capito in tal modo. Naturalmente questi critici non sono alla ribalta delle cronache e non guadagnano centinaia di migliaia di euro.

Cosa vorresti che i lettori conoscessero di te e della tua arte?
Mi piacerebbe se, guardando i miei lavori, si accorgessero di tutta la vulnerabilità, di tutta la fragilità, ma anche di tutta la grandezza dell’umanità.

Infine, che domanda vorresti che ti venisse rivolta durante un'intervista?
Preferirei che non mi facessero domande, perché vorrei essere io a farle agli altri: imparerei molte più cose.

 

 

 

 

 

ART 3.0 − AutoRiTratti
Andrea Nicita
in collaborazione con FiorGen Onlus, Accademia dei Sensi
website https://www.facebook.com/andrea.nicita.3?fref=ts

 

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