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Monday, 03 November 2014 00:00

Una notte di follia

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Notturno di donna con ospiti di Annibale Ruccello è del 1982 ed è stato variamente rimaneggiato nel corso degli anni successivi. In questo testo è evidente come il teatro, come ogni forma artistica, arrivi prima di tutti a cogliere l’anomalia e l’alterità che si stanno sviluppando dalle mutazioni strutturali della società. La pièce di Ruccello, messa in scena al Teatro Bellini con la regia di Enrico Maria Lamanna con una Giuliana De Sio che la porta in scena dal 1996 come se fosse una seconda pelle, sintetizza, senza perdere la sua analisi lucida e commossa, la vita di una donna come tante che nel matrimonio crede di essersi realizzata, come si usa dire ancora in tanti ambienti per rimarcare la sua “naturale” inclinazione al sacrificio, invece si è rinchiusa (o è stata rinchiusa) in una gabbia.

L’esempio di cronaca che Ruccello ha anticipato è il caso di Cogne. Se i periti al processo contro la signora Franzoni avessero fatto rappresentare Notturno di donna nulla sarebbe stato più chiaro di ciò che accadde quella mattina presto, di ciò che era accaduto nella mente della donna quella notte, notturno di donna appunto.
Sulla scena vi è un unico ambiente: una cucina spaziosa con angolo cottura verde brillante come il tavolo e le sedie che si trovano a sinistra sul lato opposto ad essa. Ancora più a destra una grande credenza coperta di specchi che diventerà la porta aperta sul passato che non passa. A sinistra una scala rossa che porta al piano superiore dove si trova la porta, rossa, che chiude la stanza in cui dormono i due bambini. Al centro della scena una grossa vetrata che apre su un balcone-giardino dove ci sono stese delle camicie, una bacinella a terra che attende di essere svuotata, al centro del pavimento della cucina un triciclo. Un unico ambiente con un altro varco verso l’esterno: la porta di ingresso a sinistra. Un unico ambiente, molte vie di fuga. Un unico ambiente, caldo ed accogliente. È l’universo di Adriana, che oggi definiremmo una casalinga inconsapevolmente disperata. La donna è sposata al metronotte Michele, che l’ha portata a vivere dalla cittadina di provincia in queste villette residenziali di una periferia che è ancora aperta campagna, dove sta avanzando il cemento e il consumismo che ha il suo totem nel centro commerciale Harrison.
Il primo atto inizia con Michele che si sta preparando per andare a lavorare e Adriana gli prepara la cena da portar via. Fa caldo, è piena estate. Adriana, con i capelli tirati in una scarmigliata coda di cavallo, in una sottanina nera e vestaglietta da poco prezzo, ciabatta tra i panni da stendere, la cucina e il tavolo. È incinta di pochi mesi del terzo figlio, è stanca, poco propensa ad accettare le profferte del marito sul tavolo da cucina. Uscito Michele, Adriana aspira solo a vedere qualcosa alla televisione seduta sulla poltrona verde che campeggia sulla destra, davanti all’angolo cottura. Ma il televisore non funziona bene. Adriana è inquieta, apre il frigo, si mette a sbucciare qualcosa, poi ciabatta ancora verso la poltrona, poi si siede al tavolo. Ogni tanto ha un guizzo di allegria come quando si fuma una sigaretta, quando indossa delle pantofole nuove tutte luccicanti come se fossero scarpe eleganti col tacco. Una rapida telefonata alla madre vedova che si lamenta della sua solitudine. Di nuovo sul divano.
La recitazione della De Sio è misurata, la voce è impostata ad un tono roco, basso, trascinato come le ciabatte. Sorprende questa identificazione con il personaggio. È la normalità, il quotidiano, quella noia di una vita prospettata come la salvezza e che invece tale non è. Un unico ambiente che è la gabbia di Adriana. Qual è il confine tra il quotidiano e lo straordinario? E tra lo straordinario e la follia? Qual è il momento esatto in cui si varca il confine? Siamo consapevoli quando varchiamo quella soglia o tutto avviene tra veglia e sogno? La coscienza di Adriana si squarcia con un flash-back che avviene alle sue spalle: il balcone-giardino diventa la stanza del padre e lei si ritrova ragazzina a scherzare con lui e a raccogliere gli sfoghi di un uomo debole schiacciato dalla moglie prepotente e smargiassa. Adriana è di nuovo sulla poltrona su cui si addormenta e quella membrana sottile che l’aveva avvolta finora si lacera nel momento in cui si sente una moto rombare via ed una donna disperata che bussa alla porta-finestra del giardino. Si chiama Rosanna, è stata aggredita da giovinastri e chiede ad Adriana di fare una telefonata. Tra l’irruenza e l’aggressività verbale della donna, Adriana riconosce la sua compagna di scuola, allora antipatica e presuntuosa e che ora le pare averle portato in casa una carica di allegria perché Rosanna chiama un amico per farsi venire a prendere, ma sopraggiunge suo marito, il geloso e passionale Arturo. Adriana assiste divertita alla scenata tra i due condotta tra urla e baci, ma non sembra cogliere la stranezza dei due, di Rosanna che apre la porta del frigo come se fosse casa sua o che va a farsi la doccia al piano di sopra. Non coglie l’ambiguo corteggiamento di Arturo nei suoi confronti, anzi ne è lusingata. Il dialogo tra i tre personaggi è condotto sul piano della normalità, poi si scivola a discutere su temi bizzarri, poi ci si arrabbia ed un minuto dopo ci si bacia. Bevono, Adriana è brilla. Il ritmo è serrato, ironico, da commedia brillante. Sembra tutto così fuori luogo, ma eppure tutto così “naturale”. Nel momento in cui Adriana sta per cedere alla corte di Arturo su quel tavolo da cucina dove poco prima si era negata al marito, ecco che ritorna Michele che li sorprende. La scenata di gelosia c’è, ma poi stranamente i due uomini diventano quasi amici al punto che Rosanna propone di giocare a carte. Adriana non vuole giocare, si ritrova sulla poltrona quando la credenza si apre e la sua coscienza fa emergere la madre, una donna dura, disillusa e cinica che umilia il marito continuamente, nutrendo grandi speranze sul futuro della figlia al terzo anno delle magistrali. La coscienza sul passato si richiude e si apre la porta di casa. Arriva l’ultimo ospite, Sandro, amante di Rosanna ed ex fidanzato di Adriana che dovrebbe stare in galera per spaccio di droga. La comparsa di Sandro che si siede a tavola con gli altri a giocare a poker fa precipitare Adriana nel suo passato. Nuovamente compare la madre tremenda. È la madre dell’altro testo di Ruccello Mamme, piccole tragedie minimali. È la madre che rimane sconvolta dalla rivelazione della figlia incinta di pochi mesi di Sandro, giovane aiuto meccanico senza arte né parte, figlio di un idraulico, “Nu funtanar'!” e nipote di uno che raccoglie i cartoni. Non erano quelle le aspettative di chi aveva cresciuto la figlia femmina per elevarsi socialmente, perciò la costringe ad abortire. In Mamme la ragazza si suicida buttandosi giù dal balcone, in Notturno Adriana non finirà lo stesso la scuola, sposerà Michele offrendogli una finta verginità in cambio di una vita piccola, finto borghese a cui si condannerà per sempre. Una morte non diversa.
All’apparente leggerezza del primo atto, non privo di battute comiche e situazioni paradossali, si contrappone il secondo atto che scivola subito verso l’epilogo finale. Il passato torna più prepotente di prima, i suoi ospiti iniziano ad irritarla con le loro risate, i loro giochi. Adriana coglie in Michele un’aggressività accusatoria nei suoi confronti e tutto inizia a farsi più lucido in lei quando esclama dopo lo scherzo organizzato da Rosanna: ”Il gioco è che tu devi fare Sandro!”. Allora comprende che i suoi ospiti sono lì per lei, che è tutta una finzione, la poltrona diventa il punto focale della consapevolezza in cui lei si rannicchia aggrappandosi alle ginocchia. Quel terzo figlio non c’è mai stato, era il figlio che lei non aveva avuto da Sandro. Aumenta la musica, il rumore, tutto intorno a lei è confusione. La musica fa scivolare la pièce verso il thriller. Adriana caccia via tutti fuori nel giardino, rimane sola cercando intorno qualcosa, ma trova la madre nel frigo, il padre nel pensile della cucina, poi di nuovo vede la madre che sale le scale verso la camera dei bambini e le suggerisce l’epilogo tragico. Dalla lavatrice tira fuori l’abito da sposa e con un coltellaccio segue la madre illudendosi di fermarla. Rintocchi di orologio, un cane che abbaia lontano, una radio locale che dà il buongiorno. Michele torna a casa dal lavoro, il vero Michele e non la proiezione della mente sconvolta di Adriana. È la tragedia, finisce il dramma.
Poche sono le variazioni fatte da Lamanna sul testo di Ruccello, lasciando quasi intatto questo specchio tragico che ha il suo spessore nella recitazione incredibile della De Sio e dell’altra figura femminile sulla scena, Rosaria De Cicco, perfettamente centrata nel ruolo di Rosanna, leggermente isterico, antipatico, cafone ed equivoco come nei ricordi di Adriana. La De Cicco con questo ruolo mostra il suo spessore artistico nella dimensione drammatica e non comica che l’ha fatta conoscere. Invece i personaggi maschili risultano sbiaditi di fronte alle due protagoniste e allo straordinario Gino Curcione nel ruolo del padre e della madre che Ruccello volle fosse recitato dallo stesso attore.
Ruccello, quel confine sottile tra normalità e follia, l’aveva tracciato molto bene anni fa.

 

 

Notturno di donna con ospiti
di
Annibale Ruccello
regia Enrico Maria Lamanna
con Giuliana De Sio, Gino Curcione, Rosaria De Cicco, Andrea De Venuti, Mimmo Esposito, Luigi Iacuzio
scene Roberto Ricci
costumi Teresa Acone
disegno luci Stefano Pirandello
musiche Carlo De Nonno
produzione Pietro Mezzasoma
lingua napoletano
durata 1h 30'
Napoli, Teatro Bellini, 31 ottobre 2014
in scena dal 31 ottobre al 9 novembre 2014

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