“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Caterina Serena Martucci

A Scrooge!

Luci natalizie pendono dal soffitto. Anche due bambolotti pendono dal soffitto, come impiccati. Al centro della scena un grosso bancone, o forse un letto a baldacchino. Scopriremo poi che si tratta di un geniale elemento scenico polifunzionale: una cassa di legno provvista di botole e colonnine laterali che funge da catafalco, banco di lavoro, letto. A sinistra si vede una sorta di albero di Natale minimale, fatti di lucine blu. Speculare, sul lato destro della scena, un altro alberello, altrettanto minimale, fatto di lucine bianche. Una serie di sedie sul fondo completano la scena, prima che l’azione cominci.

Cornuto e mazziato

Una casetta di plastica da bambini. Un rettangolo di prato sintetico. Una siepe e una staccionata di plastica. Tutto è pronto per la messinscena del perbenismo, dell’ipocrisia e della vanità. Giorgio Dandini entra in scena cantando in playback sulle note di Celentano. Camicia a fiori sgargianti, sotto la quale si intravede l’italica canotta bianca, baffi a spiovente, l’aria solida e tronfia dell’uomo che ha acquistato col denaro la rispettabilità sociale.

Non delegare, mai

Napoli. Decumano inferiore. Palazzo di Diomede Carafa di Maddaloni. Si attraversa il cortile, si rende omaggio alla mitologica testa di cavallo (o meglio alla sua riproduzione in terracotta) e dietro una leggera cortina prende vita uno spazio scenico. Vediamo una fila di sedie, uno spazio quadrato al centro, una ragazza inginocchiata, un proiettore. Un telo bianco sul fondo. Buio. Quando una luce si riaccende sappiamo che il viaggio è cominciato. L’autore/attore è sulla scena. È un ragazzo, biondo. Jeans, Converse, felpa bianca con cappuccio.

Guappi di cartone

La scenografia è già in scena mentre si prende posto nella navata/platea del Nuovo Teatro Sanità. Un grande quadrato bianco con al centro un quadrato più piccolo, nel quale campeggiano le lettere HS, che stanno evidentemente per Hotel Splendid. Il quadrato bianco è inghiottito dal buio che precede l’inizio dello spettacolo. Resta solo il quadrato più piccolo e le lettere HS. Luce. Il quadrato si apre e si rivela una geniale macchina scenica, che suggerisce le bianche pareti dell’hotel, le porte delle stanze, le finestre.

Homo homini lupus

Dimensione domestica quella del teatro Palcoscenico. La sala è gremita. Gente di tutte le età e di tutti i tipi. Ci sono anche dei bambini. All’apertura, manuale, della tenda del sipario appare un quadro, che farà da sfondo e riferimento topografico di tutta la narrazione. È in bianco e nero. C’è una luna piena e un mare in tempesta, che ricorda, chissà se consapevolmente, la grande onda di Hokusai. Buio. Resta in scena il bianco della spuma delle onde. Luce. Tre donne vestite di rosso e nero in pose plastiche di disperazione. S’odono rumori confusi, come di vento e tempesta.

A tempo di musica

Una luce fosca e polverosa è la cifra cromatica della tragedia di Seneca messa in scena da Pierpaolo Sepe. Solo il sangue dell’infanticidio finale getterà una nota di colore in questo lucore buio, in questo buio squarciato di sciabolate di luce, in questa penombra eterna che è, a dispetto del disco solare (qui recante il simbolo del dollaro), nume tutelare della barbara principessa, al centro della scena, chiuso da una recinzione.
Pasolini ha scritto che “Medea è il confronto dell’universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico”. Medea il mito di confine. Medea e la Colchide sono il personaggio/luogo mitico in cui Oriente e Occidente si incontrano, vengono in contatto.

Cella 406

“Per la visita agli internati i parenti degli stessi sono pregati di raggiungere la cella 406 situata sul retro dell’edificio. Grazie per la collaborazione.”
Dal foyer penetriamo dietro il palco. La luce è poca. Dietro ogni apertura, dietro teli di cellophane trasparente, degli esseri umani, da soli o in gruppo, ma sempre soli. Urlano, si muovono in maniera incontrollata, ridono, tremano, sbattono la testa. Facciamo rapidamente la nostra visita, forse proprio come i parenti dei pazienti psichiatrici, quando rendono loro visita.

Dove sta il folle?

Noir comico in salsa napoletana, lo spettacolo di Peppe Celentano garantisce quasi due ore di risate attorno ai racconti di Arturo Scamardo, serial killer (ha commesso la bellezza di venticinque omicidi) che uccide per un impulso irrefrenabile simile al capriccio ostinato del bambino, definito 'nziria in napoletano, che fa di lui piuttosto uno 'nzirial killer.

Potenza del narratore

Debutta per Il Teatro cerca Casa un nuovo lavoro di Paolo Cresta e Paolo Lomanto: Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Riduttivo definire lo spettacolo una lettura teatralizzata con accompagnamento musicale. Ingiusto. Ciò cui abbiamo assistito, nella quieta e accogliente atmosfera di un salotto, trasformato in platea e palcoscenico senza soluzione di continuità, è a tutti gli effetti una narrazione teatrale, un racconto musicale o una partitura letteraria.

Un apostrofo viola

Uno spazio teatrale che si apre è una nuova creatura che nasce e cui si augura di crescere e prosperare. Sull’autobus chiediamo informazioni per arrivare alla piazzetta San Vincenzo e con piacere scopriamo che qualcun altro vi è diretto, non solo alla piazza, ma proprio al teatro. Un tempo era la chiesa dell’Immacolata e San Vincenzo alla Sanità, oggi vi è ospitato il Nuovo Teatro Sanità. Belle sculture aeree di Riccardo Dalisi risignificano l’ingresso e lo trasformano in teatro. Nell’atrio, ormai foyer, il pubblico si confonde con le inconfondibili sculture di cartapesta di Claudio Cuomo, con il loro senso di inquieta tristezza.

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il Pickwick

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