“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 30 July 2013 02:00

Vieni, c'è un amico nell'Orto

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In programma c’era uno spettacolo chiamato Panchine; in sua vece, sul palco del cortile interno del Castello dell’Orto Botanico, le panchine previste dal titolo mancato cedono il posto a due sedie per lettura e chitarra: in scena Paolo Cresta, accompagnato dalla chitarra di Giacinto Piracci, si legge L’amico ritrovato di Uhlman. Diciamo “si legge”, ma mentre lo scriviamo ci accorgiamo di quanto riduttivo e poco pregnante sia l’uso del solo verbo ‘leggere’ per definire quel che ha riempito un’afosa serata d’estate, insieme ai tafani, ai rombi intempestivi di aerei che si levavano in volo, ai botti che esplodevano estemporanei in onore di chissà quante Sant’Anna.

Eppure nulla, né i tafani, né i rombi, né i botti, è riuscito ad intaccar la pregevolezza di una lettura drammatizzata – ebbene, la definizione pregnante del genere c’è, ma ancor appieno non ci soddisfa – che non solo ha riempito l’afosa serata d’estate, ma le ha dato il sapore di una teatralizzazione capace di andare oltre la mera lettura; merito di Paolo Cresta, che non si limita a dar la propria voce alle parole di Uhlman, ma vi dona se stesso, interpretando non solo il testo della novella, ma anche i sommovimenti dell’animo più profondi che la novella di Uhlman è capace di germinare.
La storia racconta la parabola di un’amicizia, intensa e terribile, tra Hans e Konradin, due adolescenti di differente estrazione (un ebreo di famiglia borghese ed un nobile rampollo dalle ariane fattezze) nella Stoccarda degli anni ’30, in piena ascesa nazista. Un’amicizia che pare capace di travalicare i limiti imposti da quell’aberrazione montante; un’amicizia che acquisisce in un tempo breve e bruciante il senso di un’appartenenza profonda, di quelle così intense da avvampar di rossore le gote; un’amicizia che vive del confronto fra due giovani menti aperte, seppure attestate su posizioni di partenza diverse (un ebreo e un protestante) e che diventa pertanto occasione di crescita ed arricchimento reciproco e dalle cui disquisizioni su una divinità debole e assente riaffiora alla memoria una divagazione che ci riporta a quel piccolo e delizioso monologo in forma di atto d’accusa che è Yossl Rakover si rivolge a Dio (Adelphi, 1997), dell’ebreo lituano Zvi Kolitz.
Ma al contempo, quella fra Hans e Konradin è un’amicizia che le circostanze mettono alla prova e che pare incapace di superare indenne le polarizzazioni sociali (ed etniche) della Germania del tempo e pertanto un’amicizia che pare dover finire, coincidendo la sua fine con la fine dell’adolescenza e con la fine di un’epoca, in procinto di cedere il passo all’esiziale stagione dell’odio.
Tutto questo dipanarsi emotivo, tutta la densità di un’atmosfera di attese interiori e relativi disinganni, rivive in scena nella voce e nei gesti di Paolo Cresta e nelle sottolineature – mai invadenti e sempre puntuali – della chitarra di Giacinto Piracci; ma è soprattutto Cresta a ricamare il tessuto emotivo dell’opera di Uhlman, flettendo voce, gesti e respiri alla restituzione su palco dell’essenza intima della parola scritta.
La riconciliazione col passato, il “ritrovamento”, il ricongiungimento con l’amicizia data per perduta avverrà solo all’ultima pagina, all’ultima parola letta, all’ultimo sospiro che inciampa in un singulto, nella voce dell’attore che si rompe all’emozione, nel raccontare la commozione con commozione.
Per questo parlar di lettura drammatizzata ci pare ancora riduttivo e vorremmo sforzarci di tradurre in codifica un genere in cui la lettura s’apparenta al teatro rasentando la drammaturgia propriamente detta.
Ma forse è pretesa tanto eccessiva quanto vana, la nostra; quel che importa è quel che resta negli occhi e nella mente: la sensazione di aver visto prender vita ad un’opera scritta attraverso la cassa armonica e vivificante d’un corpo d’attore, capace d’insufflare energia vitale alle pagine scritte, trasformando l’inchiostro in essenza sonora.

 

 

 

Brividi d'Estate
L'amico ritrovato
di Fred Uhlman
con Paolo Cresta
chitarra Giacinto Piracci
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Real Orto Botanico, 26 luglio 2013
in scena 26 luglio 2013 (data unica)

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