“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 17 January 2017 00:00

L'Attore

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“Io non sono Amleto”. Prime parole, asserto per contrasto di una destrutturazione: Amleto e non più Amleto. Partendo da Shakespeare, passando per Heiner Müller, arrivando al proprio non-Amleto, all’Amleto di Fortebraccio, la “macchina-Amleto” di Müller si trasforma nella “macchina-Amleto” di Roberto Latini, che ne plasma magmaticamente la materia, flettendola alla propria voce, ad una partitura sonora in penombra.

E dalla penombra parte, rincantucciato in un angolo, su una sedia posta al contrario. Parte da quell’angolo, Roberto Latini, prendendo le essenze amletiche e trasfigurandole nella struttura di Müller, rielaborandole in una scrittura scenica che le modula sulla base del proprio strumento fisico, il corpo, che si fa tutt’uno con la voce.
In questa riscrittura, che vede Roberto Latini attraversare la scena, esplorare le possibilità di una voce che adopera microfoni posti in diversi punti e a differenti altezze, una voce che alterna la propria lingua – l’italiano – a quelle di Shakespeare e Müller – l’inglese e il tedesco – il senso pervasivo che viene trasmesso è quello di una fortissima metateatralità allusa, in cui attraverso una figura topica – con tutta probabilità la più topica delle figure teatrali, Amleto – Roberto Latini mette al centro della scena l’Attore e lo mette in relazione con un pubblico, cui si richiede sforzo d’attenzione e approccio votato alla profondità. Il punto di vista che ci viene offerto è quello di Fortebraccio, è quello di Roberto Latini, la cui compagnia porta – guarda caso – proprio il nome del personaggio che s’installa sul trono di Danimarca in chiusura dell’Amleto; figlio di re è Amleto, figlio di re è Fortebraccio, accomunati da un’estraneità al mondo che li ha generati, figure di figli/orfani animati dall’anelito d’essere strumenti in esecuzione di un disegno che vorrebbe sovvertire le storture in atto.
Metafora che s’attaglia al teatro, che vive nella “macchina-Amleto”, versione Fortinbrasmaschine: “Amleto, Hamlet, Hamletmaschine” ripeterà più volte in scena, come ad esplorare una tripartizione progressiva che dal personaggio passa alla sua trasfigurazione, infine a creatura scenica, Attore in destrutturazione progressiva del personaggio, Attore che attraversa l’opera, la fagocita, l’interiorizza, la rimugina per poi ricomporla nella struttura di un pantheon di fantasmi che prendono corpo nel suo corpo, voce nella sua voce, essenza nella sua essenza.
Sicché al centro dell’universo condensato in questo spettacolo si staglia forte più che l’opera scenica l’Attore che la interpreta, cassa armonica di suoni e parole che si compongono in flussi consecutivi conchiusi in una struttura, ma che da quella struttura stessa s’affrancano. Non seguiamo infatti lo svolgimento “logico” di un plot – benché di fatto Latini si rifaccia alla struttura mülleriana – ma finiamo per concentrare l’attenzione sull’Attore, sul suo modo di affrontare la scena e di instaurare un rapporto con lo spettatore, trasmettendogli più che un senso un sentimento, stabilendo un rapporto di empatia, trasmettendo una scossa tutta emotiva che raggiunge soprattutto coloro che parlano il suo stesso linguaggio (o che sono più adusi a comprenderlo), coloro che possiedono una sensibilità affinata da più o meno costante contiguità con la scena.
“Ricordati che noi sappiamo quel che siamo, ma non sappiamo quel che potremmo essere” risuona come un monito, un invito alla riflessione sulla finzione che riverbera nella realtà, con la dimensione ponderata della macchina-Attore che non dimentica di essere uomo e – in quanto tale – soggetto pensante portatore di una riflessione. Questa riflessione ha il suono di una voce che si modula, che cambia, che vola, si rompe ed erompe, sembra possedere una sua propria musicalità interna, un ritmo che si struttura in simbiosi col ritmo delle musiche, un ritmo che incalza, scoppia, deborda fino allo spasimo, all’ansimo che fa vibrare il suo petto che si gonfia anch'esso ritmicamente, accompagnando fisicamente le parole. Questa voce dà corpo al frammentato universo shakespeariano evocato dalla partitura, articolato nella struttura di Müller e tutto vibrato nell’interpretazione di Latini.
In corpo e voce, colui che dichiara "Io non sono Amleto". In corpo e voce, l’Attore.    

 

 

 

 

Amleto + Die Fortinbrasmaschine
[versione radio]
di e con Roberto Latini
drammaturgia Roberto Latini, Barbara Weigel
regia Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e tecnica Max Mugnai
organizzazione Nicola Arbelli
foto Fabio Lovino
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, ATER Circuito Regionale Multidisciplinare – Teatro Comunale Laura Betti, Fondazione Orizzonti d’Arte
con il contributo di MiBACT, Regione Emilia Romangna
lingua italiano, inglese, tedesco
durata 1h 10’
Caserta, Spazio X – Teatro Civico 14, 26 novembre 2016
in scena 25 e 26 novembre 2016

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