“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 06 November 2015 00:00

Barbonaggio collettivo, atto d'amore condiviso

Written by 

Avevamo incontrato il Barbonaggio Teatrale nella sua veste performativa individuale a Napoli, all’esterno del NEST – Napoli Est Teatro, rimanendo colpiti, impressionati, affascinati dall’idea, dal progetto, dall’onestà intellettuale e dall’amore per la propria professione – che non ha vergogna di dirsi “mestiere” – che vi sottendeva; avevamo incontrato il Barbonaggio Teatrale ed Ippolito Chiarello in una tappa del suo tour europeo che faceva scalo a Napoli, lo raggiungiamo a Lecce, da dove la saga barbona è partita e dove in ultimo approdo ritorna, come ogni anno da cinque anni a questa parte, per l’atto conclusivo, per il Barbonaggio collettivo, per chiamare a raccolta attori, professionisti e non, desiderosi di riscoprire l’anima saltimbanca di un mestiere, di metterlo alla prova col contatto diretto con la gente, all’aperto e non protetto addiaccio della pubblica piazza, un cubo di legno ad improvvisarsi ribalta, un quadrato di cartone a dichiarar professione in corso, la voce come strumento d’imbonimento prima, di recita poi, se qualche passante s’arresti curioso.

Ma prima di raggiungere Piazza Sant’Oronzo, nel centro di Lecce, in una serata in cui il meteo indulge clemenza, il nostro viaggio nel mondo del Barbonaggio Teatrale passa per la sua base operativa, il Palazzo dell’Ammirato Culture House, la cui esperienza viva e fattiva ci appare come prova di utopia possibile, culla di una realtà culturale funzionante e produttiva; l’Ammirato è più che una semplice residenza per artisti, è una vera e propria casa degli artisti, spazio aperto ed accogliente messo a disposizione dell’arte e delle culture, sostenuto da una Fondazione canadese che contribuisce solidamente a farne realtà virtuosa, capace di produrre idee e lavoro. Se il Barbonaggio Teatrale ci aveva colpiti, impressionati e affascinati nella sua manifestazione attoriale, ancor più ne restiamo abbacinati nel conoscerne la realtà complessiva che lo genera, i valori di apertura e condivisione che lo animano, lo spirito di partecipazione di un’esperienza che vive in sinergia con il contesto in cui è inserita, un contesto che l’accoglie, l’assapora, ne respira; ce ne accorgiamo da quando mettiamo piede nel Palazzo Scipione Ammirato, messo dal Comune di Lecce a disposizione di un gruppo di associazioni che lo rendono spazio culturalmente abitato e al cui interno si percepisce l’atmosfera alacre e vivace delle cose pulite.
È in questo contesto che nasce il Barbonaggio Teatrale, da un’idea di Ippolito Chiarello, perseguita con scrupolo e passione, portata in giro per l’Europa e diventata persino un film (Ogni volta che parlo con me, di Matteo Greco). Iniziativa che chiama a raccolta artisti da tutta Italia per compiere “un atto d’amore verso il pubblico”, un’operazione che impernia l’arte della scena sul suo valore eminentemente “politico” – inteso nel suo senso più puro ed etimologico di atto svolto al servizio di una comunità – portano il teatro alla gente per portare la gente al teatro. “In fondo l’obbiettivo non è fare lo spettacolo, è dimostrare che ci siamo, lo spettacolo è solo un accidente”, dice Ippolito Chiarello nell’assemblea che precede le esibizioni in piazza; ed in fondo, “nel fondo del fondo”, quello che conta più del fatto spettacolare, delle performance che animeranno la piazza, è proprio l’esistenza di un’idea che non solo persiste, ma anche fa proseliti, crea un solco in cui s’incanala una declinazione speciale dell’arte della scena, che nel suo andare per strada non esce né svilita né ridimensionata, anzi accresciuta nella sua dignità artistica e arricchita nel suo spessore culturale.
Dall’Ammirato Culture House si raggiunge Piazza Sant’Oronzo: una processione in fila indiana di attori – e qualche musico – attraversa le strade di Lecce, in abiti e belletti di scena già preparati, in braccio il cubo di legno su cui abborracciare palcoscenico; la grande piazza viene occupata in ordine sparso dagli attori barboni, ciascuno ha monologhi da recitare, storie da raccontare e c’è un pubblico da conquistare, da blandire, da fermare e trattenere per qualche minuto: per essere “barboni” serve, prim’ancora che essere attori, saper essere imbonitori di se stessi, incuriosire i passanti e far sì che qualcuno si fermi e paghi per veder recitare. Incrociamo gli sguardi indagatori della gente, nella loro variabile fissità, o nella loro diversa curiosità; qualcuno passa, getta un’occhiata e va via, qualche raro altro – magari credendosi pure molto simpatico – lancia uno stupido motto di dileggio mentre s’allontana, in tanti si fermano, ascoltano, guardano, acquistano brandelli d’arte a cottimo, se sono soddisfatti ne acquistano ancora, d’altronde i costi sono modici, con pochi euro ti gusti un microspettacolo e diventi parte viva e attiva di un evento, che tu ne sia consapevole o meno, perché il Barbonaggio è in strada per te, spettatore, che tu lo sappia o meno.
Ippolito Chiarello prende il centro della piazza riproponendo i suoi pezzi di Fanculopensier’off. Tutt’intorno le voci di una cinquantina di artisti si sparpagliano nella notte leccese accompagnate dalle note di musicisti-barboni a far da costante sottofondo. Passiamo da un monologo ad un altro, ascoltiamo qualche frammento, ci lasciamo incuriosire dal modo di porsi di un artista, notiamo che qualcuno è più bravo a conquistarsi il suo crocchio di pubblico, qualche altro è dislocato in una postazione più decentrata e fa più fatica a richiamare i passanti, ma sono tutte questioni accessorie al discorso fondamentale dell’esserci cui ci faceva cenno dianzi. Chiaramente il livello artistico qualitativo è una variabile moltiplicabile per quanti sono gli artisti sulla scena a cielo aperto, cerchiamo di assistere a quante più performance ci è possibile, ben sapendo che più di qualcosa sfuggirà al nostro sguardo curioso. Un bimbetto di colore che corre lungo la piazza si ferma al cospetto di diversi artisti all’opera (o in pausa dall’opera) e ci parla, ci scherza, reclama attenzione; è ovvio che non sia lì per assistere a nessuna performance attoriale, ma ci piace vederlo come una proiezione dello spirito giocoso che anima l’arte della recitazione (il to play inglese che significa tanto recitare quanto giocare), nella sua inconsapevolezza gioiosa ci sembra di cogliere il riverbero giocoso dello spirito intimo dell’evento: un divertimento da strada, fatto da chi per strada porta la propria arte per metterle in gioco ed offrirla ad un pubblico di potenziali fruitori.
Passiamo in rassegna quel che ci capita d’incrociare: dagli attori con vari monologhi della compagnia Meridiani Perduti di Sara Bevilacqua alla rivisitazione del noir di Paolo Gubello e Daniele Lasorsa, dai pezzi di Gianluca Preite che ne risaltano l’abilità recitativa, alla lettura drammatizzata a tre voci di Giusi Porfido, Enza Molinari e Chiara Distante, che rielaborano in chiave ironica e moderna il mito di Didone e il suo infelice amore col sin troppo pio e alquanto insipido Enea, dal monologo a due voci recitato (e venduto) in tante forme variabili (velocissima, rap, sceneggiata, dialettale) da Marianna Di Muro e Annabella Tedone, all’affabulatorio e raffinato  lavoro sul mito di Vittorio Continelli, dalla performance di Gianni Ruggieri, che anziché avvalersi di un cubo di legno, giostra i suoi monologhi con accanto una sedia a rotelle su cui sbrilluccicano lucine intermittenti, a Maria Chiara Provenzano coi suoi monologhi improntati ad una sensualità lasciva in cui l’allocuzione diretta con lo spettatore lo rende destinatario partecipe della performance.
Spettatori golosi, vorremmo assaggiare brandelli dell’arte di ciascuno, a ciascuno dedicando un commento, ma non di tutto c’è stato possibile prendere un morso e una visione, se non a tratti fugace. Ma come si diceva, è questo un dettaglio di importanza relativa, perché quel che più ci ha saziati è stato il gusto complessivo dell’evento, il sapore che resta, quella sensazione di aver assistito a qualcosa che, accadendo, vada ben al di là dell’hic et nunc della rappresentazione, portando in se il germe sano di un’arte pura.

 

 

 

 

 

Barbonaggio collettivo
Artisti-barboni per un giorno – Dal palcoscenico alla strada
progetto e direzione artistica Ippolito Chiarello
a cura di Marcella Buttazzo, Mariliana Bergamo
con Vittorio Continelli, Marianna Di Muro e Annabella Tedone, Ornella Lorenzano, Sara Bevilacqua – Meridiani Perduti, T for Trivellor, Andreina Benedetti, Giusi Porfido Enza Molinari e Chiara Distante, Mario Cuccaro, Fabio Fucigna, Silvia Borello e Simone Campana, Daniele Vagnozzi, Paolo Gubello e Daniele Lasorsa, Annamaria D’Adamo, Scuola Ammirata (Stefano Suppressa, Dario Vadacca, Fabrizio Tana, Angela Rosano, Consuelo Campa, Elena Casto, Raffaella Leone, Chiara Quarta, Micol Grasso, Gianni Ruggeri), Maria Chiara Provenzano, Gianluca Preite, Francesco Coppola e Bruno Galeone, Antonio Anzillotti De Nitto
foto di scena Eliena Manca, Laura Greco
durata 2h
Lecce, Piazza Sant’Oronzo, 30 ottobre 2015
in scena 30 ottobre 2015 (data unica)

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook