“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 19 September 2015 00:00

Immaginando...

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Immaginiamo un nuovo teatro... Immaginiamo di vederlo spuntare, da un momento all’altro, in un angolo di Avellino e dintorni... Immaginiamo che a dargli vita, a inoculargli linfa siano i ragazzi di Venicefresca. Il progetto non c’è bisogno di immaginarlo, quello già c’è: Progetto d’Arte è già partito, con la “Carica dei 500”, come già abbiamo cominciato a raccontare su questo foglio.
Immaginiamo però quel che possa diventare e quel che possa portare; a corroborare l’immaginazione, un evento domenicale che conduce un pubblico di ardimentosi ad inerpicarsi su per la strada che da Avellino porta dalle parti di Summonte, in una casa immersa in un verde che sembra rubarla al tempo moderno per consegnarla ad una dimensione estemporaneamente teatrale: si è immaginato di farvi apparire teatro, d’un salotto s’è immaginato di fare scena e platea.

Non resta che immaginare cosa far apparire in visione; e qui l’immaginazione, prima ancora di prendere corpo nel teatro narrato di Carlo Gallo, che aprirà un’altra finestra a cui far affacciare il trasognato sguardo della mente, si materia di sostanza effettiva. Perché, affinché si possa immaginare, sono necessarie solide basi, è necessario un terreno fertile da seminare, nel solco di una comunità d’intenti che ci pare accomuni Progetto d’Arte ed Erre Teatro; li accomuna una purezza dell’approccio che diventa sinergia elettiva e che dà luogo ad una atmosfera in cui si respira un senso d’entusiastica partecipazione. Il teatro fuori dai teatri è pratica che s’è diffusa negli ultimi tempi, quasi trasformandosi da occasione a istituzionalizzazione, sottraendosi in parte alla mistica rituale del fatto teatrale, che presuppone uno spazio apposito – un teatro appunto – come tempio in cui officiare la propria funzione; e, sebbene continuiamo a preferire il teatro nella sua collocazione naturale, nella fattispecie ci troviamo proclivi all’idea di teatralizzare un luogo altro, in quanto iniziativa funzionale e propedeutica a quel che di qui a qualche tempo sarà la nascita di uno spazio teatrale vero e proprio. Ascoltiamo le parole di Massimiliano Foà e Vincenzo Albano, “registi” affratellati in questa sinergia d’occasione,  e ne cogliamo il comune afflato, la volontà condivisa ed encomiabile di portare avanti idee e progetti teatrali di spessore ad onta delle difficoltà che continuamente incontra chi sceglie di muoversi in quest’ambito faticoso e complicato che è il teatro contemporaneo.
Teatro contemporaneo che, nella fattispecie si chiama Bollari: memorie dallo Jonio e vede in scena Carlo Gallo, giovane autore di se stesso, che costruisce una narrazione retrospettiva e ancestrale dei propri luoghi. Ancora una volta è l’immaginazione ad essere chiamata in causa: la narrazione che l’autore/attore vivificherà in scena instilla, in chi vede e soprattutto ascolta, l’evocazione di immagini da fotografare con gli occhi della mente; “cuntista” di un mondo che fu ma che ancora gli appartiene e lo permea, Carlo Gallo racconta una storia di anni bui, di anni neri, lo fa nella sua lingua, un dialetto che ha l’asprezza del mare in cui si bagna e lo fa soprattutto costruendo una affabulazione dai ritmi precisi, abile a raccontare un mondo antico e farne metafora senza tempo.
Racconta una storia che cuce e intreccia aneddoti che confluiscono in un quadro d’insieme; Crotone sullo sfondo, il ventennio fascista come collocazione temporale, la pesca di frodo e le misere vite di gente di mare, in perenne attesa di un miraggio chiamato “Bollari”, ovvero il passaggio nello Jonio di branchi di tonni, salutato dalle urla gioiose di monelli, promessa di florida pesca in un mare altrimenti amaro e avaro, che consegna solo “fragaglia” e pesce ancora intriso dell’odore della polvere da sparo delle bombe con cui s’è pescato.
Racconta di una fame atavica Bollari, di una miseria pervasiva, che colora di sé i corpi e le anime, gli uni dilaniati, come quello di un pescatore che perde la mano a gettar bombe, le altre abbrutite dalla povertà e dalla protervia di un potere che s’accanisce vessatorio. Sulla scena Carlo Gallo coniuga la narrazione di un testo che si lascia ammirare per pulizia e densità di scrittura con una gestualità congrua, cui la voce fornisce toni che s’alzano quand’è necessario, modulandosi in cantilena all’occorrenza; colpisce soprattutto la capacità autoriale di elaborare una scrittura originale mettendo assieme racconti da focolare con una filatura sottile, la cui trama s’impreziosisce di ricami in forma di metafora; sicché ai pesci del mare corrisponde un’evocazione simbolica, così il sauro che sembra implorare di essere lasciato quando viene pescato o la bopa che manifesta la sua paura defecando sono altrettante proiezioni marine di terrestre umanità; sicché la scelta di adoperare le bombe è dura e amara come il pungiglione di una tracina e Mussolini che parla alla radio morsica le parole come un pescecane e, quando appare in quel di Crotone per laconico comizio, lascia gli astanti “come un branco di sardine”; sicché un cammello che affiora impigliato in una rete è metafora spiazzante d'esotico e d'ignoto, che strabilia ma non serve a placar la fame. Tutto è metafora, dal mare alla terra; e, in questa metafora amara come il mare, si racconta la storia di una tragedia, consumata all’ombra d’un miraggio, sperando, nelle urla di monelli, di udire quel grido che scandisce il passaggio dei tonni, quel grido che illude una speranza: “Bollari!”; quel grido che nella voce di Carlo Gallo rivive pieno e sonoro, epitome di un passato che permane nell’inconscio collettivo, insieme alla memoria della guerra e della fame. La forza della parola dipinge uno scenario del passato affrescandolo al presente, evocandolo vivido sì che lo si possa immaginare davanti agli occhi.
Il miraggio, l’evocazione, l’immagine... l’eco di un grido che si fa lontana, nel tempo e nello spazio, lasciando dietro di sé l’immagine che si fa memoria, la memoria che si coniuga al tempo presente.
Un presente in cui ancora rimbomba quell’eco lontana di speranza appena vagheggiata e che, in una serata di teatro ha offerto all'ascolto e in visione una storia da immaginare.

 

 

 

 

Bollari: memorie dallo Jonio
di e con Carlo Gallo
con la collaborazione artistica di Peppino Mazzotta
costumi Angelo Gallo
produzione Teatro della Maruca
lingua dialetto crotonese
durata 55’
Starze di Summonte (AV), Interno privato, 13 settembre 2015
in scena 13 settembre 2015 (data unica)

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