“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 26 August 2014 00:00

Riccardo, profeta del proprio male

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Federico II, lo stupor mundi, il “Terzo vento di Soave”, com’ebbe a definirlo l’Alighieri, fa spazio nelle terre dove s’erse il suo misterioso maniero in pianta d’ottagono ad altro sovrano ed altra corte: da quella delle Due Sicilie a quella d’Albione, dalla casa di Svevia a quella dei Tudor, che prende vita e forma scritta dalle parole del Bardo e incontra messinscena all’ombra – lunga e lontana – dell’ottagono nella riduzione che ne fa Michele Sinisi.

Parliamo di “riduzione” non a caso, dal momento che dagli oltre ottomila versi dell’originale shakespeariano si cava una messinscena di una cinquantina di minuti scarsi, che rivisita Riccardo III, facendone un monologo denso e variato, che prende sì le mosse dall’incipit della tragedia di Shakespeare, ma poi la declina lungo una linea personale, in cui le parole (in inglese) finiscono per divenire accessorio musicale, funzionale alla fisicità ed alla gestualità di chi occupa la scena.
Shakespeare va tradito e rispettato ad un tempo: tradirlo vuol dire rispettarlo, vuol dire rielaborarne le forme della rappresentazione per consegnarne alla visione una declinazione possibile, purché ciò avvenga con debita cura. Non aspettiamoci pertanto l’accurata ricostruzione storica – d’altronde a Shakespeare nemmeno dell’accuratezza storica importava poi così tanto – ma piuttosto valori e concetti che traslati dal particolare shakespeariano all’universale teatrale, vengano poi rielaborati e ricondotti dall’universale teatrale al particolare contemporaneo.
Avviene così che la corte del Plantageneto riviva tutta istoriata su un tavolo di ferro e che la resa scenica si affidi per intero ad un unico attore (Michele Sinisi), che farà Riccardo ed a Riccardo cucirà addosso un ruolo da sceneggiatore dell’opera intera, nel descrivere, disegnare, colorare e raccontare programmaticamente i propri disegni e le proprie mire, i propri sanguinosi propositi ed i propri malvagi intenti, il proprio destino deforme come il proprio corpo.
Ma andiamo con ordine. Il Teatrino San Francesco è uno spazio che si apre lungo uno stretto vicolo del centro di Andria; all’inizio del vicolo un’icona votiva ricorda, manco a farlo apposta, san Riccardo, primo patrono della cittadina pugliese: si trascorre da un Riccardo all’altro, dal santo al demone, se vogliamo. La temperatura all’interno del teatro raggiunge livelli subsahariani, si suda come lonze avvolte nel domopak: effetti collaterali del teatro d'agosto; non c’è palco, non c’è sipario; o meglio, ci sono, ma è tutto accantonato su un lato: la scena s’architetta in quello spazio che si può immaginare altrimenti platea. Ed è scena scarna: luci al neon, il tavolo di metallo di cui s’è fatto cenno, un secchio, uno straccio, uno spruzzatore ed un pallone. Infine il complemento di scena principale: l’attore. Michele Sinisi è Riccardo, un Riccardo che declama in inglese l’incipit del proprio dramma e che calca e reitera calcando – come a volerne rimarcare la volontà d’attualizzazione – la parola iniziale: “Now”.
S’inizia: l’intera corte d’Inghilterra si trasla in un tavolo, il palco non serve, tutto il Riccardo in un tavolo, che andrà a dipingersi ed istoriarsi dei nomi e dei volti dei personaggi del Riccardo III; sarà – quel tavolo – corpo di scena, ribalta e brogliaccio su cui Riccardo scriverà nomi, dipingerà effigi, ordirà trame, fino a far materializzare la sagoma di Lady Anne, con tanto di bomboletta da writer a spruzzare calchi preallestiti; Lady Anne sarà disegno che si materializza, così come si materializzeranno i piani orditi da Riccardo, che non è ancora Riccardo, ma lo diventerà quando i disegni saranno compiuti, quando il pennarello scriverà il nome di Riccardo sul suo avambraccio.
Una giubba verdognola, uno zucchetto in testa, pantaloni e scarpe da ginnastica ed un paio di cuffie per la musica sono gli abiti di scena che fanno del Riccardo non ancora sovrano un uomo di cui non interessa tratteggiare i quarti di nobiltà, ma solo i dettagli di deformità: la gamba zoppa, un piede che rincagna, un Super Santos a farlo ora gobbo ora no, sono gli aspetti fisici che Sinisi ostenta e che Sinisi stesso di tanto in tanto fa sparire – basti pensare al balletto che improvvisa al suono della musica sparata nelle cuffie – come a voler evocare una deformità che non è tanto nel corpo e nel personaggio (che definiremmo comunque, dall’aspetto e dai gesti, un bad boy), quanto piuttosto nello spirito e nella storia. La storia di Riccardo, ovvero di un uomo, ovvero di un animo malvagio. Non è la “Storia” quel che conta, come non contava per Shakespeare (dramma storico il Riccardo III? Macché, non è la “Storia” quel che interessava al Bardo, come non è la “Storia” quel che ci si deve attendere da questo allestimento), e nemmeno la storia in quanto sviluppo narrativo coerente di vicende: in questo Riccardo III il fulcro drammaturgico è tutto nella visione, nell’ostentazione di una violenza ferale, mostrata come fosse lettura di un codice genetico, impresso dalla natura nell’uomo.
Clarence, il Duca di Buckingham, Lord Hastings, Lady Anne, sono tutti personaggi evocati con le lettere purpuree che un pennarello macchia sul tavolo di metallo e che spruzzi d’acqua e uno straccio di volta in volta cancellano; così come anonimi volti dipinti in affastello sembrano evocare spettri e mostri della mente deforme dell’uomo deforme, che picchia forte a colpi di cinghia l’immagine di Lady Anne, che fa strame dei propri nemici, che scopre sotto il giubbetto una maglia con la sagoma decapitata ed un nome: Hastings. Riccardo dipinge, Riccardo cancella; Riccardo ordisce, Riccardo esegue; Riccardo ribalta, picchia e mette a soqquadro quel tavolo di metallo che è la ribalta, ovvero il teatro della vicenda, vicenda che si istoria sul suo ripiano e sul suo retro (come a suggerire che c’è ciò che avviene alla luce del sole e c’è ciò che avviene nell’ombra); Riccardo è come se sceneggiasse in diretta la propria tragedia, è come se raccontasse in un istantaneo divenire l’escalation della propria efferatezza. Racconta, preconizza ed esegue, come fosse il profeta di se stesso: nulla avviene, ma tutto avverrà.
È un Riccardo III spiazzante questo di Sinisi, che sulle prime inquieta e si fa attendere perché gli spettatori possano entrare nel mood della sua visione, ma che una volta stabilita la sintonia giusta, raggiunge l’effetto di lasciarsi apprezzare.
È un Riccardo III denso e complesso, che rinuncia alla intelligibilità della lingua – almeno su un piano che non sia strettamente musicale – per puntare forte su fisicità ed immagini, sul potere evocativo delle scelte visive, che fan baluginare  un orizzonte di sangue nel  suo purpureo fluire.
È un Riccardo III che tradisce Shakespeare, facendone salvo il sostanziale e deferente rispetto.
È un Riccardo III che sanguina per il dolore di una malvagità cosciente di se stessa e irredenta e che sembra voler offrire nella visione del deforme uno specchio in cui poter guardare la deformità del reale. Poterla guardare da presso, poterla guardare adesso: "Now".

 

 

 

 

 

 

Festival Internazionale Castel dei Mondi
Riccardo III
tratto da Riccardo III
di William Shakespeare
di e con Michele Sinisi
collaborazione alla scrittura scenica Francesco Asselta, Michele Santeramo
produzione Fondazione Pontedera Teatro – Teatro Minimo
foto di scena Francesco Confalone, Angela Scamarcio, Alessandro Del Gaudio
lingua inglese
durata 50’
Andria (BAT), Teatrino San Francesco, 22 agosto 2014
in scena dal 22 al 29 agosto 2014

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