“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Marco Caneschi

Trilogia della pianura. Capitolo 3

E siamo al terzo capitolo, quello finale, della trilogia della pianura. Spero che leggendo le due precedenti recensioni, relative a Canto della pianura e a Crepuscolo, vi siate fatti un’idea dello stile di Kent Haruf e di quanto questo suo percorso letterario mi abbia convinto. 
Partiamo dalla trama di Benedizione: elementi portanti sono quattro famiglie, di Holt ovviamente. Ciascuna diversa dall’altra, ciascuna con dentro i germi della sofferenza, nei ricordi che diventano rimpianti. Che scavano. Ma sapete perché? Perché non c’è lo sfogo del pentimento. Già questo, tanti rimpianti senza alcun pentimento, dovrebbe indurre a riflettere visto che si tratta di un romanzo che nel titolo rievoca la conclusione di una liturgia religiosa. E il pentimento nella religione è essenziale. In questa scorrettezza si cela l’ulteriore indizio della grandezza di Haruf. Mi riallaccerò nella conclusione a questo tema.

Trilogia della pianura. Capitolo 2

Eccoci qua. Con il secondo romanzo della trilogia di Kent Haruf. Abbiamo lasciato i personaggi alle prese con un anelito di speranza. Non ne ho fatto nome nella recensione a Canto della pianura ma sento che è il momento di rompere l’anonimato. Ricordate i due fratelli mandriani e allevatori che avevano adottato una minorenne incinta ripudiata dalla madre? Si chiamano Raymond e Harold McPheron. E la ragazza Victoria Roubideaux.

Trilogia della pianura. Capitolo 1

Quanto vi proporrò di leggere stavolta è uno e trino. Non per colpa mia ma per merito di Kent Haruf, scrittore statunitense morto nel 2014, una vita riservata nonostante i premi ricevuti, autore della trilogia della pianura. Il suggerimento è: concedetevi a essa senza esitazione.

Rotte e dinamiche dello schiavismo moderno

Cento anni fa, poco più, dichiarammo guerra alla Libia, o meglio all’impero ottomano per mettere le mani su Tripolitania e Cirenaica, due province del sultano nella sponda sud del Mediterraneo. Fra le motivazioni che la classe politica addusse per quella guerra, che fece un certo effetto in una parte di opinione pubblica, anche della sinistra socialista, ci fu quella che l’Italia era tenuta a portare un’azione civilizzatrice, come aveva fatto Roma proprio con l’Africa settentrionale tanti secoli prima, per eliminare la vergogna degli schiavi. In effetti, nei loro porti, i turchi praticavano ancora la vendita di persone ridotte in schiavitù.

Scrittura come gioia della creazione linguistica

Finalmente è concesso parlare di scrittura. E non genericamente di libri. O di un libro. Questo miracolo, almeno per la letteratura italiana contemporanea, è dovuto a Giordano Meacci che passa come un partigiano tra i sentieri delle arti: siano i romanzi, siano i saggi, cito il suo Improvviso il Novecento. Pasolini professore, siano le produzioni cinematografiche, visto che Meacci è stato uno dei principali collaboratori di Claudio Caligari per Non essere cattivo, uno dei film rivelazione della scorsa stagione.

Un giallo? No, un… arancione. Perché parliamo, sì, di un killer ma del… cuore

Somiglia tremendamente a Rino Gattuso. Gliel’ho fatto notare e lui, Stefano Piedimonte, napoletano doc, mi ha raccontato che a ogni Napoli-Milan gli toccava restare in casa perché chiunque lo scambiava, minacciandolo, per il centrocampista rossonero.
Ha scritto un libro alchemico, da non catalogare. Apparentemente un giallo ma direi: più un arancione. Il rumore di fondo del thriller emerge con maggiore evidenza verso la fine, altrimenti è, ebbene sì, un romanzo sull’amore. Se gestite una libreria e siete incerti dove collocarlo, la sezione 'Narrativa' è quella dove non si sbaglia mai.

Dici "classico" e pensi al meglio

A volte mi diverto a proporre delle riflessioni partendo da giochetti con le parole. Stavolta vorrei trattare di un termine che siamo abituati a masticare fin dai banchi della scuola: classico, comprese eventuali declinazioni. Classicismo, i classici, quel film è oramai un classico, la musica classica.

Quel rigore che poteva salvare una nazione

A volte ci troviamo a ridere e scherzare per una partita di calcio. Ci sfottiamo e magari qualcuno resta male. Invece, dovremmo apprezzare il momento della sconfitta se questa resta limitata a un rettangolo verde, a un divano o a un social network, seppur popolato da amici impertinenti. Questi aspetti, in fondo, sono ludici. Purtroppo il calcio è anche diventato un segnale premonitore di accadimenti di ben altra portata. Tanto che, parafrasando von Clausewitz, è stata la guerra la sua prosecuzione con altri mezzi.

Verba volant. E la matematica è un’opinione

Vorrei banalmente ricordare come a seconda del tempo e dello spazio, di conseguenza del linguaggio che di queste due categorie è la traduzione, cambi il modo di vedere le cose.

Uniti dal diritto a essere felici

Prima di tutto, mi piace ricordare che Giuseppe Catozzella è Goodwill Ambassador Onu. Un “ambasciatore di buona volontà” delle Nazioni Unite. Questo titolo onorifico lo ha ottenuto grazie alla parola. In particolare alla parola scritta, quella del suo precedente lavoro: Non dirmi che hai paura. Per dire, o meglio per ricordare, che la parola non solo è in principio come scrisse l’evangelista, ma è anche, oggi, sempre, uno strumento di potenza ineguagliabile.

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il Pickwick

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