“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Paola Spedaliere

Ombre e luci del mistero creativo

Nell’ambito della rassegna Vissidarte – Il teatro racconta i pittori al Pan, il Palazzo delle Arti di Napoli, è andato in scena Per Grazia Ricevuta della compagnia Teatri 35 che da quindici anni si occupa di sperimentazioni teatrali operando nel rapporto tra arti visive, teatro e musica. Lo spettacolo visto al Pan non si può considerare un’opera teatrale in senso stretto, ma una performance che ha visto la preparazione ai tableaux vivants dall’opera di Caravaggio.

Carotine e pappagalli

La canzone Cara cantata da Christian accompagna due uomini che si trovano sul proscenio, dietro di loro si vede un letto, a sinistra una sedia, a terra delle piccole luci psichedeliche. Il primo uomo è vestito con abito scuro, un naso tondo di plastica come quello dei clown, mentre l’altro è in boxer e canottiera bianca con un lenzuolo in testa a mo’ di velo da sposa.

Galeotto fu il libro

La sala della Galleria Toledo si riempie lentamente e si rimane sorpresi nel vedere sul palco una bara molto semplice al centro del palco, inclinata verso la platea, mentre una luce violacea che parte dal basso illumina ed evidenzia dei riquadri sospesi sulla parete di fondo su  cui si  poggiano oggetti disparati tra ventagli e vari ammennicoli. Quasi sul proscenio vi sono altre scatole bianche di diverse dimensioni variamente disposte a sinistra e a destra del palco.

Il teatro è una cosa seria

Nella Piazza d’Armi del Castel Sant’Elmo è stato allestito un palco ampio e profondo su cui un divano e due poltrone sulla destra quasi si perdono in quello spazio. Sulla sinistra invece svetta una stele di pietra, sembrerebbe un menhir, con la scritta Ausgang, “uscita” in tedesco. Un gioco di luci traccia un perimetro netto rettangolare che delimita l’appartamento di Modesto, il protagonista, e l’esterno, in cui invece si muovono gli altri personaggi della storia: Michele e la moglie Yvonne, una coppia in crisi che abita al piano di sopra, e Gloria, trentottenne come Modesto, che si veste e si agita come una minorenne.

Una lirica in prosa

La scenografia è realizzata da pochi oggetti sulla scena, a sinistra una chaise longue grigia con il cuscino bianco e un tavolo tondo con tre sedie sulla destra del palco e un carrello con dei liquori, il tutto letteralmente incorniciato da ampi listoni arabescati bianchi che si ripetono più piccoli a incorniciare una terrazza che affaccia su un mare in leggero movimento, proiettato sulla parete di fondo.

Pioggia coreutica

La pioggia è il tema dominante della messa in scena di Malacqua così come nel testo di Nicola Pugliese. Una pioggia che dura incessantemente per quattro giorni, fatto insolito che viene interpretato alla maniera degli antichi classici che nei fatti anomali vedevano il presagio di una disgrazia. Tanta acqua che scende senza sosta e che non sembra purificare e pulire una città anche metaforicamente sporca, ma intride le fondamenta dei palazzi, li fa crollare, crea voragini, porta morte.

Simpatica nostalgia

Il palcoscenico è occupato solo da bauli da trasporto in uso nelle compagnie teatrali su cui sono poggiati due computer ed altri strumenti. La parete di fondo nera chiude il palcoscenico già ristretto della sala Fringe di Castel Sant’Elmo. Tutto è scuro, anche i due attori Matteo Angius e Riccardo Festa sono vestiti di un blu intenso, illuminati solo da alcune luci posizionate in diversi angoli del palco. Il buio da cui emergono i due personaggi sembra quasi voglia sottolineare che non è importante ciò che si vedrà, ma ciò che si ascolterà, infatti siamo all’interno di una radio che sta registrando una trasmissione sul tema della nostalgia.

Un mito aereo

Gli spettacoli di La Fura dels Baus, compagnia catalana che è stata tra le prime a contaminare i linguaggi artistici, non sono messe in scena tradizionali, cioè lo spettatore non si deve aspettare uno spazio scenico determinato, una gestualità incastonata in un rituale iconico e stilistico, ma deve solo farsi coinvolgere dai sensi e muoversi intorno aspettandosi di vedere l’impossibile.

Mi chiamo Bond. E basta.

Delle sedie rovesciate sul palco ammucchiate a destra e a sinistra, un uomo a terra, un altro con una torcia che cerca di capire dove si trovi. È l’incipit di Jamais Vu, cioè Mai visto. Forse perché è quasi buio? Forse perché entrano in scena due donne che sembrano riconoscerli, ma non ricordano? Indossano tutti la stessa camicia bianca e dei pantaloni grigio-scuro, i due uomini hanno nomi allusivi come Spread e Bond. Anche l’uomo che era in terra svenuto, rinviene con una forte amnesia, cioè Jamais Vu.

Preludio alla morte

Crave, opera della drammaturga inglese Sarah Kane del 1998, è stato portato nei teatri italiani con la traduzione di Fame o Febbre, ma dopo aver visto la messa in scena fatta da Pierpaolo Sepe per il Napoli Teatro Festival, si comprende meglio l’etimologia inglese del termine che indica bramare, desiderare ardentemente, aver disperato bisogno e anche implorare, chiedere con insistenza.

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il Pickwick

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