“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Paola Spedaliere

Quando la finzione è arte

Il Quartetto Musica da Ripostiglio entra in scena con il sipario ancora chiuso e le luci parzialmente accese ed inizia senza nemmeno un minuto di ritardo la sua performance da orchestra Dixieland con batteria, chitarra, contrabbasso e banjo elettrico ad introdurre nel clima anni ’30 con canzoni dell’epoca cantate davanti a vetuste piantane con un cerchio che abbraccia il microfono.

Parlando di morte si scopre la vita

Libri ovunque, impilati e legati da un nastro sull’assito del Teatro Elicantropo, di varie altezze e dimensioni, fanno compagnia ad altre pile di custodie di CD, anch’esse in ordine preciso. Tre bauli neri mobili delle compagnie teatrali sono un poco più indietro, a delimitare tutta questa scenografia circondata dal buio e spezzata da fasci di luce bianca che scivola sugli oggetti e si posa senza tregua su F., il giovane protagonista trentacinquenne, che in un monologo fitto di circa un’ora racconta la sua storia surreale, piena di flash-back, di introspezioni metafisiche e del mondo sensibile, dando voce ed espressioni ai personaggi che fanno parte della sua vita alquanto bizzarra, anonima, ma fuori da ogni classificazione.

È vero amore solo se finisce

Potrebbe sembrare facilissimo parlare d’amore, ma non lo è per la sua complessità specie nel mondo di oggi, figurarsi portarlo in scena, impresa resa ancora più difficile dal parlare della crisi e della fine di un amore. Si corre il rischio di scivolare nella banalità, del già detto perché già vissuto. Siamo tutti esperti in questioni di cuore, più spesso in quelle degli altri che non nelle proprie.

Piume e lacrime

Per il Trentennale della Sala Assoli il drammaturgo Fortunato Calvino, legato a queste tavole di palcoscenico dal 1990 con l’opera La Statua e poi con numerosi altri lavori, porta in scena un testo inedito, Pelle di seta, una storia drammatica che ha il fulcro nella figura di quello che è stato definito il terzo sesso e che Napoli ha battezzato da sempre “femminiello”.

Terapia teatrale

La piccola sala dell’Ex OPG (ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario) dispone di una platea messa a cerchio su panchette e sedie tranne che per cinque sedie blu dove siederanno i cinque attori della messa inscena di Il Vuoto, tratto da Dieci donne di Marcela Serrano dalla regista Tonia Persico che interpreta anche uno dei personaggi femminili.

Solo le cozze sopravvivono all’etica

Un grande pannello posto in orizzontale occupa gran parte dell’assito determinandone lo sfondo, poi una sedia dall’alto schienale con i braccioli posta sulla sinistra davanti allo schermo, completa tutta la scenografia di EterNapoli, tratto da Enrico Ianniello dal romanzo di Giuseppe Montesano Di questa vita menzognera. La sinossi ci presenta la famiglia napoletana dei Negromonte che sono qualcosa di più degli arrampicatori sociali. Vivono in una sfarzosa villa settecentesca a picco sulla città di Napoli, sono imprenditori arricchiti ogni oltre immaginazione con la fabbrica di gassosa, sono senza scrupoli di alcun tipo, hanno frequentazioni intime con il potere governativo che sembrano gestire a loro piacimento.

Metti quattro sere, in anni diversi

Dal piccolo golfo mistico del Teatro Mercadante un fascio di luce fa emergere la figura di un giovane in maglietta celeste che dirige un’orchestra immaginaria sulle note di un brano musicale: segue l’apertura del sipario, il passaggio del ragazzo sul palcoscenico e la sua collocazione sulla sinistra, lì dove due letti a castello sono la sua stanza, la stanza di Roberto.

Mi perdoni, Padre, perché ho peccato

Due sale, la prima dove si assiste all’omelia-proemio di un prete folle (l’attore Massimo Finelli), la seconda in penombra dove si trovano venti inginocchiatoi. Venti i peccatori, dieci uomini e dieci donne che si sottoporranno al rito della purificazione dell’anima. Venti spettatori, dieci uomini e dieci donne che ascolteranno i peccatori di sesso opposto, coinvolti nel ruolo di sacerdote. Una musica sacra che inizia e chiude il rito, un campanello che suona ogni cinque minuti per segnalare ai penitenti che devono ripetere la loro confessione al sacerdote successivo. Questa è la struttura della pièce di Walter Manfrè che va in scena con grande successo dal 1993 in Italia e in Europa.
Nella sua omelia, aulica e terribile, il prete consegna il suo ruolo agli ignari spettatori che dovranno emendare il peccato “Siate il panno caritatevole che asciuga il sangue”: coloro che riceveranno la zavorra della confessione per purificare i reietti.

L'amore è guerra o tregua?

All’interno della rassegna per il trentennale della Sala Assoli, è andato in scena Celia di Alessandra Cutolo che torna nei luoghi che l’hanno vista muovere i suoi primi passi nel mondo del teatro con i grandi maestri come Servillo e Martone. Sua è anche la drammaturgia che riprende un testo del Samuel Beckett romanziere del 1938 intitolato Murphy, il protagonista, che, spinto dall’amante Celia Kelly a cercare un lavoro, lo trova come infermiere in un manicomio, approdando ad una dimensione esistenziale che lo porterà alla morte.

Per vincere ci vuole metodo

Un palco con due soli microfoni posti a destra e a sinistra quasi sul proscenio, alcune proiezioni video allucinate, una donna con un elegante tubino nero, filo di perle e tacco alto che entra dalla quinta posta a destra con una valigia che conserva simbolicamente tutto il suo mondo, non solo gli oggetti di scena. Basta solo questo per rappresentare un delirio lucido e paradossalmente razionale di una donna che gioca, gioca forte, Playhard, sul tavolo verde e le slot machine della sua vita. Una voce fuori campo accompagna l’ingresso della donna con la sua valigia, stretta in una pelliccetta candida sul vestitino nero, una voce che è quella interiore della donna che aspira solo a “vincere al gioco della vita”, animata unicamente dal “desiderio di una grande vittoria”al gioco.

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il Pickwick

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