“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Paola Spedaliere

Una non biografia non autorizzata

Dacia Maraini può vantare una lunga carriera letteraria che negli ultimi tempi le ha fatto vincere il Premio Campiello nel 1990 con La lunga vita di Marianna Ucrìa, il premio Strega nel 1999 con Buio, candidata anche ad un premio prestigioso come il Man Booker Prize. Autrice di opere teatrali, poesie, saggi oltre che di racconti e romanzi, i suoi testi sono stati tradotti in ben venti paesi. Ciò solo per citare le sue opere più recenti, non volendo qui fare una biografia della Maraini. Nell’ottobre 2013 licenzia Chiara d’Assisi con il sottotitolo di Elogio della disobbedienza per la Rizzoli. Questo libro vuole raccontare l’incontro insolito, ma non certo raro, tra una laica moderna ed una figura femminile che ha dedicato la sua vita a servire Dio.

Grande spettacolo di gala!

Un martellare insistente ed incessante proveniente da fuori scena accoglie il pubblico che cerca la sua poltrona biglietto alla mano. Ai suoi occhi si presenta una scena scarna. Funi sulla sinistra, più avanti una sedia a dondolo con lo schienale volto alla platea, verso il fondale nero dall’altro lato vi sarà una piccola orchestra, delle percussioni, strumenti a fiato, un contrabbasso ed una tastiera. Al centro, in tutto questo nero e a questo vuoto disordinato, vi è un mucchio di scarpe bianche. Siamo in un circo, lo si intuisce subito, il martello sta preparando lo spettacolo.

La vita sospesa o la morte ferma

Nessuno vuole morire. È l’unico evento certo di tutta la vita, eppure non pensiamo mai veramente che ci possa riguardare. Eludiamo il pensiero, procrastiniamo l’idea, la vediamo come un evento estraneo alla vita pur sapendo che è la morte che dà senso ad essa. Dimentichiamo, più o meno consapevolmente, che la morte è un evento perfettamente naturale. Anche non volendole dare una pregnanza religiosa, la morte è la chiusura necessaria di un ciclo. Cosa accadrebbe, dunque, se la morte che tanto temiamo un giorno non ci fosse più? Da questo provocatorio interrogativo il Nobel portoghese Josè Saramago fa nascere il romanzo Le intermittenze della morte da cui la compagnia LaERTe ha tratto la pièce Piuttosto la morte che una tal sorte in scena al Nuovo Teatro Sanità per la rassegna Piccola residenza per compagnie under 35.

Rouge ou noir! Rien ne va plus!

Sul palco del Teatro Nuovo vi sono pochi elementi scenografici essenziali a definire una cucina malmessa di una casa, una volta signorile, di un professore di matematica dell’Università. Un tavolo al centro con la sua tovaglia di ordinanza a quadretti bianchi e blu, una poltrona rivestita di rosso sulla destra, unico tocco di colore e di vitalità. Poi un giradischi quasi vicino alla parete in fondo, a sinistra un cucinino sbrecciato, pieno di ammaccature. La parete in fondo delimita questo locale dal resto della casa, dalla vita “altra”. In questa stanza che trasuda vecchiume e sciatteria si incontrano quattro uomini di mezza età, ognuno a suo modo fallito e sconfitto dagli scarti imprevedibili della vita. Quella cucina è il luogo dove si ritrovano per giocare a carte. Sono Jucatùre napoletani, “indefiniti” per definizione, per la scelta del regista Enrico Ianniello che, traducendo il testo del catalano Pau Mirò, ha volutamente ambientato la storia in una situazione atemporale, ageografica, in pratica anteponendo un alfa privativo ad ogni cosa, per descrivere la vita di questi quattro giocatori ironici ormai privati di tutto.

Aida: come immaginare il vero

"Copiare il vero può essere una buona cosa, ma immaginare il vero è meglio, molto meglio". Giuseppe Verdi.
Questa frase inchiostrata di rosso sangue e passione è proiettata nel buio della sala sul sipario chiuso. Mentre esso si apre, la scritta si fonde in un punto luce che si ingrandirà, proiettato su un disco sospeso per tutta la prima parte composta dal I e II atto. È un sole rosso che gira velocemente su se stesso. Sulla scena ci sono anche quattro colonne sospese poste diagonalmente a mezz'aria, che spesso si muoveranno accompagnando i gesti salienti dell'opera. Ovunque vi sono delle funi: fungono da secondo sipario, poi da sfondo, anche trattenute dai servi possono sembrare fluide colonne dei palazzi egizi dove la storia è ambientata. Una scenografia mobile, aerea, fluttuante giocata su questi pochi elementi della scena e su un sapiente e ricco disegno luci che enfatizza i corpi, taglia il buio, colora la luce. Spesso un occhio di bue illumina i protagonisti isolando tutto il resto nell'oscurità. Sul palcoscenico figuranti di piccola ed alta statura, vestiti di stracci, si muovono spesso carponi, velocissimi ragni sempre presenti, umanità in schiavitù costretta a muoversi con la schiena piegata.

Questa non è l'America

A Napoli i disastri si possono raccontare in molti modi, dall’asciuttezza della denuncia all’ironia del surreale di cui questa città è tanto prodiga quanto nell’elargire le disgrazie. Il testo di Antonio Menna Se Steve Jobs fosse nato a Napoli, trasformato in testo teatrale dai registi Mauro Di Rosa e Pasquale Ioffredo, racconta per assurdo la stessa storia di quella del mago della Apple, ma tutta partenopea, di due giovani intraprendenti dei Quartieri Spagnoli, Stefano Lavori e Stefano Vozzini, che hanno un’idea geniale: produrre un computer veloce ed esteticamente bello. Un’idea vincente.

La "Messa" in scena

La scenografia metateatrale si rivela subito a sipario alzato. È divisa orizzontalmente in due parti: la scena inferiore è il camerino del protagonista composto da una chaise longue sulla sinistra, una toletta al centro per il trucco, un bagno sulla destra. La parete trasparente in fondo mostra il corridoio su cui si affacciano gli altri camerini degli attori. La parte superiore soppalcata mostra l’interno del teatro ove a breve verrà rappresentato l’ennesimo Re Lear di Shakespeare; si vedono anche le poltrone in platea sullo sfondo ed un velo che divide il palco dalle quinte.

Il Teatro è ancora vivo!

Il 1˚ novembre, al Teatro Paisiello di Lecce, l’Associazione Italiana Critici di Teatro presieduta da Giulio Baffi e le riviste Hystrio, Inscenaonline, Teatri delle diversità hanno assegnato i premi della critica e delle riviste a registi, attori, drammaturghi, festival, studiosi, creatori di luce e a tutti coloro che contribuiscono a far crescere il teatro contemporaneo. La serata era inserita all’interno dell’Assemblea Nazionale dei Critici di Teatro per il progetto Le parole del teatro di Walls-Separate worlds della compagnia Astràgali di Lecce.
Il pubblico era prevalentemente composto da addetti ai lavori, ma l’ora e mezza della premiazione è trascorsa simpaticamente in compagnia di un Giulio Baffi nell’inedita veste di presentatore “non professionista” che confondeva l’ordine della scaletta, cercava le email sul cellulare per leggere i ringraziamenti dei premiati assenti e, con leggerezza e sinteticità, ha conduceva la serata.

Se il mondo è come la moglie di un portiere

La stagione teatrale della Sala Assoli si inaugura con la nuova creazione scenica di Renato Carpentieri, Fuori, tratta dal romanzo del contemporaneo Vincent Delecroix À la porte. È un viaggio labirintico di una mente filosofica che trova corrispondenza in una scenografia dove prevale il nero e il grigio, con pochi tocchi di colore nella striscia gialla che delimita una quinta a destra e dei riquadri rossi che seguono il pavimento sopra cui si aprono tre porte.

Il Mediterraneo, padre e madre

Il teatro della Sala Dumas dell’Istituto di Cultura Francese Grenoble è già pieno un quarto d’ora prima dell’inizio del reading del nuovo libro dell’autore napoletano: Irene. Nel foyer Erri De Luca si concede volentieri alle foto di rito con un folto numero di fans. Quasi puntuale inizia la lettura teatralizzata. Sul palco, illuminati da tre fasci di luce, vi sono Isa Danieli sulla sinistra, Erri De Luca sulla destra, al centro Luca Urciuolo con la fisarmonica. La sua musica lenta e struggente accompagnerà tutta la lettura a due voci alternando canzoni della tradizione napoletana a brani dei testi dell’autore.

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il Pickwick

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