“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Delio Salottolo

Ucciderò Roger Federer (parte 9)

9. “Il mondo cambierà!”

Il tragitto che avrebbe condotto il piccolo signor F nella sua calda e modesta abitazione fu costellato da una serie di piccoli inconvenienti tipici di quando si torna a casa un po’ frastornati, di quando insomma, come si è soliti dire con un’immagine che mantiene intatta il suo fascino e la sua suggestione, si è alzato un po’ troppo il gomito.

Streghe, preti sadici e crapuloni, diavoli. Häxan di Christensen

Ci sono film che colpiscono lo sguardo e “divertono” l’intelletto dello spettatore – poi spiegheremo in che senso un film del genere possa ancor’oggi interessare – pur non essendo dei capolavori. La stregoneria attraverso i secoli (lasciamo perdere il titolo italiano) è un film che a tratti si potrebbe definire non riuscito (eravamo stati tentati di utilizzare il termine “brutto”) se la stessa potenza di alcune scene o lo humour grottesco e nero che lo puntella non rendessero a tal punto godibile la visione da far mutare completamente il giudizio.

Ucciderò Roger Federer (parte 8)

8. “Mi farebbe piacere sentire dalla tua bocca, che non serve soltanto a mangiare ma anche a parlare, che sei comunista”

Soltanto nel momento in cui lo strano conoscente del piccolo signor F aveva deciso di sedersi al suo stesso minuscolo tavolino, scostando in maniera rumorosa (e con un gesto del braccio di ampiezza considerevole, dunque colpendo in maniera forse non troppo accidentale una serie di persone) una grossa sedia – sembrava quasi un seggiolone a causa di una spalliera smodatamente alta e un piano per la seduta straordinariamente basso – che il nostro eroe come ripiombato definitivamente nella realtà si accorse di quante persone si stavano accalcando in quel minuscolo baretto,

Forme figure dimensioni. Sol LeWitt al MADRE

Per puro caso, per sbadataggine, per stanchezza o per chissà quale motivo, abbiamo cominciato la visita di questa mostra dalla fine, anche se, a scoprire che era la fine, c’è bastato veramente poco, la lettura di uno dei pannelli informativi, e così dopo aver ammirato dei wall drawings del 2012 (l’artista è morto nel 2007 – una sorta di realizzazione post mortem per l’artista che riteneva che a essere più importante fosse l’idea, non la realizzazione), formati da cupi e ritorti segni di matita che dialogando con la parete creano violenta ma fredda densità pur lasciando trasparire squarci di luce, ci siamo immersi nell’esperienza di vita e pittorica di Sol LeWitt o, per meglio dire, ci siamo immersi nella sua esperienza di ricerca e di studio.

Ucciderò Roger Federer (parte 7)

7. “F, ma sei veramente tu?”

Fu così che il piccolo signor F, dopo aver attentamente scrutato l’orologio – un vecchio ma affascinante Citizen, trovato sulla bancarella di un vecchio incartapecorito che sopravvive vendendo cianfrusaglie a volte di discreto valore e che pronuncia il nome della famosa casa produttrice più o meno così: “Cittizzè”, un orologio che aveva il brutto vizio di guadagnare minuti su minuti fino a far perdere la cognizione dell’ora esatta – decise di intrattenersi ancora un po’ in giro, “del resto” pensava “questi sono i vantaggi di non avere nessuno a cui rendere conto” e, un po’ come dimorando nel suo alibi preferito, riteneva, ridacchiando fra sé e arcuando lievemente quel sopracciglio i cui movimenti erano stati da lui analizzati a fondo, che era fortunato a non avere una compagna perché, se mai l’avesse avuta, di lì a poco già lo starebbe tempestando di chiamate, magari poi, una volta tornato a casa, avrebbero litigato urlando feroci offese, lui si sarebbe sicuramente innervosito e sarebbe corso di filato in bagno come gli capita sempre e molto probabilmente non avrebbe dormito serenamente, proprio stanotte che domani ha il famoso concorsone.

Già sempre Altra la nostra relazione con il mondo

Che nella nostra contemporaneità la riflessione sul rapporto tra natura e cultura sia diventato sempre più parossistico giocato di volta in volta sulla necessità di pensare una naturalità dell’uomo, libera da ogni impasto culturale o che si giochi al suo interno come dimensione di continuità, o sulla possibilità di pensare una culturalità dell’uomo che si ponga come frattura nell’esistente per cui la natura diviene il “paradiso perduto” idealizzato della nostra infanzia già sempre non più nostra, tutto questo è fin troppo chiaro, lo si percepisce nell’ambito di ogni riflessione, dalla più teoretica alla più intimamente politica e/o rivoluzionaria. Che poi si provi con ironia a discutere questo tema con l’immane potenza della rappresentazione concreta, questa la cifra stilistica di Jimmie Durham e di questa bella esposizione che va sotto il nome di Wood, stones, friends.

Ucciderò Roger Federer (parte 6)

6. “E ora motiviamoci!”

Ed è in questa circostanza che il nostro piccolo eroe tentò una prima valutazione di quanto accaduto quella mattina al Centro Direzionale. In realtà provava fatica a ordinare gli eventi, a costruire una sequenza che fosse minimamente lineare, e soprattutto provava difficoltà a renderli credibili a persone che, seppur soltanto di una trentina d’anni abbondanti più anziane di lui, non riuscivano proprio a comprendere tali modalità e rischiavano di intenderlo come uno scherzo o finivano per preoccuparsi per la sua salute mentale (“è molto scosso”, disse sussurrando il padre alla madre, non appena lo videro tutto trafelato e con il volto rubizzo entrare dalla porta d’ingresso, “è sempre più scosso!” gli fece eco lei, sinceramente preoccupata ma riuscendo a nasconderlo al figlio, mentre il piccolo signor F combatteva con il giubbotto di jeans cercando di sfilarlo dal suo corpo ingrassato).

World Press Photo o la profondità storica dell'attimo

Ci sono spesso delle cose che possono essere sentite da alcuni spiriti particolari come un’esigenza improrogabile e queste cose hanno la forza e la capacità di imprimersi nella carne dello spirito con tutta la potenza – e spesso la violenza nella sua forma più immediata – delle proprie immagini. La possibilità che dà l’immagine fotografica, soprattutto quando accompagnata da un progetto e strutturata attraverso precisi intendimenti “narrativi”, quando la potenza creatrice è subordinata all’esigenza della narrazione, è pressoché senza limiti, in quanto capace di cogliere, con la capacità descrittiva che soltanto l’attimo possiede, la possibilità malinconica di una quotidianità o la potenza mediatica e ideologica di un evento mondiale. Questo è uno dei motivi per cui amiamo (anche se questa parola non è sicuramente quella più adatta a descrivere la complessità e la contraddittorietà delle sensazioni) immergerci ogni anno nell’esperienza di quella che è sicuramente la più importante rassegna fotografica itinerante al mondo. In poche parole, da tre anni a questa parte, il World Press Photo è sicuramente per noi un appuntamento, anzi forse è l’appuntamento per eccellenza, e non soltanto per noi, ma in primo luogo per coloro che amano o magari praticano la fotografia e in secondo luogo per coloro che amano la narrazione storica che soltanto questo strumento è capace di dare.

Ucciderò Roger Federer (parte 5)

5. “Tu gli devi spaccare la testa, hai capito?” ovvero mens sana in corpore sano

Comunque, a dire il vero, non erano questi i pensieri fondamentali che attraversavano la mente del piccolo signor F (lo si è detto, è stata tutta colpa del narratore), certo quando si presentavano erano forti stordenti abbaglianti ma talmente confusi da creare soltanto qualche (perlopiù) passeggero scombussolamento, e bisogna anche sottolineare che molto spesso il piccolo signor F si liberava (inconsapevolmente) del suo compagno di cammino, il famigerato signor Risentimento, e il suo stomaco cominciava a gorgogliare gioioso perché in cerca di cibo e la sua vista gli sembrava limpidissima perché capace di cogliere ogni sfumatura di colore.

Il sego e la presenza

Che poi spesso capita che la memoria trattenga in sé soltanto alcuni tratti, forse non quelli che determinano il senso fotografico della visione, ma quelli che, plasmandosi nella nostra mente e nella nostra volontà di permanenza, si profilano nella loro mancanza e nella loro assenza di materiale da cronaca. E così i volti, le parole, le persone, le cose non si stabilizzano mai in un contenuto preciso ma vagano nella mente e si raccolgono intorno a percezioni minori, si risvegliano soltanto qualche volta, in circostanze particolari (senza richiamare necessariamente le madeleines di Proust), e interdette giocano con noi e con la nostra solitudine, per poi costruirsi in composizioni che è la nostra mente a produrre. Il ricordo non essendo mai l’assoluta ripetizione nella mente dell’evento passato, ma stando sempre un passo più in là e più in qua rispetto a ciò-che-è. In poche parole si tratta di una creazione individuale, che ricrea l’esistente e riplasma noi stessi.   

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il Pickwick

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