“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Alessandro Toppi

Ionesco cabaret

“Ho riunito nel mio ufficio Billetdoux, Vauthier e Ionesco ed ho chiesto loro di scrivere qualcosa per me. Si conoscevano di vista; si sono piaciuti; hanno passato la notte insieme. La cosa è finita alle sei del mattino a Montparnasse. Tastarono tutti gli argomenti tranne quello che avevo loro proposto: una lite tra due che si amano e, per cornice, una camera con tre porte ed un letto. Il che non toglie che quindici giorni dopo io avessi le mie tre commedie in un atto” e che, tutte e tre, proponessero “una lite tra due che si amano” e, per cornice, “una camera con tre porte ed un letto”.
Così Antoine Bourseiller, che nel 1962 si dilettò a “rimescolare le scene delle tre opere” tagliando, incastrando, rifinendo e montando singoli passaggi dei singoli scritti in un’unica messinscena intitolata Camicie da notte. Fu un fallimento.

Prima della Prima

C’è un tempo nel quale uno spettacolo non è ancora uno spettacolo. In questo tempo – in questo prima della prima – le quinte sono soltanto pannelli in legname, i vestiti di scena sono stoffe sgualcite e tavoli, sedie, piatti o bicchieri sono tavoli, sedie, piatti o bicchieri: senza alcun senso in aggiunta, significato ulteriore, valenza allusiva. 

Che segreto, mister Dickens!

Dal 9 giugno 1870 un’ombra si aggira tra le pagine della letteratura mondiale. Assente finanche dalle petulanti fascette dei libri – dove tutto è detto e tutto è chiarito – quest’ombra si aggira, furtiva quanto furtiva dev’essere un’ombra, tra le pagine di romanzi, racconti, novelle e saggi, monografie, biografie; atti di convegni di studio, articoli rilegati in volume, piccole o grandi brochure di piccoli o grandi tavole rotonde e accademiche.

Che Natale terribile, signor Manzoni

"Enrichetta Blondel, nata a Casirate l'undici luglio 1791 e morta a Brusuglio il 25 dicembre 1833" (Enciclopedia Biografica Universale).
“La storia delle vittime è di per sé la storia di Dio. Solo che m’accorgo adesso di non averlo saputo dire. O meglio, debbo rimpiangere d’averlo compreso soltanto adesso, a libro stampato e quando non v’ha più modo di rimediare. A meno che Qualcuno non abbia voluto che io dovessi mancare un libro per poterlo dire”.

Della tempesta, solo l'accenno

Sette citazioni da cinque opere di quattro autori diversi. Pannelli che rimandano immagini di correnti d’acqua, di bolle, di spuma che si forma alla superficie per sparire nello stesso rollio delle onde. Corpi, impalliditi dalla loro collocazione subacquea, che tentano di salire alla luce. D’intorno mattoni e mattoni che fanno da muri, con la speranza che le immagini ne infrangano la pesantezza rossiccia. Gli spettatori in cammino mentre il medesimo interprete, mutando d’abiti, legge ciò che ha da leggere.
La settima onda di Greenaway è, tuttavia, innanzitutto l’inchiostro di quelle parole di quelle frasi tratte da quelle opere. Poste in fila, lette e rilette, dovrebbero dare il senso dell’opera. Proviamo, insieme, a ripassare le sette citazioni.

Il teatro, poi la fine

Il teatro vive nel momento in cui fa apparizione, schiarisce la voce, accenna il suo gesto, comincia il racconto. Non esiste prima, a sipario ancora chiuso, non esiste più dopo, quando è terminato l’applauso. Esiste durante, il teatro. Esiste durante sé stesso: la sua vita è la sua stessa durata, la sua durata è la sua stessa presenza. La presenza è il racconto. La vita del teatro è il racconto ed è dunque il racconto che allontana la fine, il buio, la morte. Fin quando racconta il teatro resiste. A ribalta, tra i tagli di luce, resiste. Fin quando racconta il teatro resiste, allontanando la fine.

Di notte, una mosca

“La notte è molto buia” (Otello, atto V, scena I).
La notte, la più scura che mai drammaturgo abbia fatto calare su un palco, ricopre il piccolo assito del Sancarluccio. Capace di attenuare le forme, di far perdere sostanza alle cose, di cambiarne il colore, la foggia, la loro apparente visione, la notte è venuta giù ricoprendo tutto ciò ch’era dovuto. Jago va in scena e Jago non è l’Otello di Shakespeare ma l’unica sua parte che ancora si sente, si percepisce e che resta, in questa notte il cui buio è composto dal buio di tutte le altre notti finora trascorse.

Ipocrita tra gli ipocriti

“Un grande attore non è né un pianoforte, né un’arpa, né un clavicembalo, né un violino, né un violoncello: non ha un accordo suo proprio, ma sceglie l’accordo e il tono che convengono alla sua parte, e può prestarsi ad ogni parte”. Egli è “un burattino meraviglioso, di cui il poeta regge i fili e al quale indica ad ogni riga la vera forma che deve assumere”. Somiglia, per fare un paragone non azzardato né volutamente infamante, a un cortigiano: “un gran cortigiano – infatti – abituato fin dal primo respiro al ruolo di burattino, assume qualsiasi forma, comandato dai fili che il suo padrone regge tra le mani”.

Dov'è la mia discendenza?

“Allora così stanno le cose. Edoardo Terzo, miei signori, ebbe sette figli: il primo, Edoardo il Principe Nero e Principe di Galles; il secondo, Guglielmo di Hatfield; il terzo, Lionello duca di Clarenza; dopo di lui vi fu Giovanni di Gand, duca di Lancaster; il quinto fu Edmondo Langley, duca di York; il sesto fu Tommaso di Woodstock, duca di Gloucester; Guglielmo di Windsor fu il settimo ed ultimo” (Enrico VI).
I drammi storici di Shakespeare, rivisitazione di ciò che accadde allora e prima ancora, sono una lotta per la corona: tra uomini vivi che hanno un nome, una terra, un titolo e delle forze. Una discendenza.

Foglia tra le foglie, in pieno autunno

Spazio. Una patina curvata fa da fondo; più corta di quanto sia l’ampiezza dell’assito, mostra volutamente i propri limiti. Dinnanzi ad essa una quinta rettangolare allude a una parete: bianca, con macchie catramate e tumorali. Le sedie non sono sedie ma sagome ferrose ed essenziali che consentono un appoggio; di lato due quadrangoli in metallo disegnano l’assenza del mobilio ospedaliero. Il sipario, nero, è lasciato pendere ai margini del palco. Vestiario per chi è di scena è visibile in appoggio: un cappello a falde strette, due camicie di cotone, una borsetta in piume nere, un abito notturno con intarsi argento, un pantalone marrone con cintura, un bastone di legname. Trovarobato buono per la recita: siamo in teatro.

il Pickwick

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