Extra La locanda delle chiacchiere
«Il viaggio s’arresta in una locanda: scoppietta la fiamma, una musica dice il suo tono, il bisbiglio di voci vi domina legando i tavoli ai tavoli, gli uomini agli uomini. È qui che i racconti s’incontrano».
“Cosa rappresentano i nastri bianchi presenti in molte delle tue opere?” Questa è la domanda che Albin avrebbe voluto che gli fosse posta da un fruitore della sua arte.
Avendo lasciato la domanda senza risposta non possiamo che tentare di dare una interpretazione soggettiva e personale. Forse quei nastri sono i fili del destino che conducono i protagonisti dei suoi quadri nel dispiegarsi caotico delle loro esistenze, oppure sono la figurazione dei vincoli e delle convenzioni che legano e immobilizzano l'operato umano: in ogni caso, quello che è evidente, è che alcuni dei soggetti di Talik usano o giocano con tali nastri laddove altri ne sono vincolati.
Alla ricchezza dei contenuti questo giovane artista polacco è in grado di affiancare una tecnica esecutiva del tutto originale. Egli infatti non fa uso di colori ma rende le sue rappresentazioni incollando pezzi di carta colorati e opportunamente sagomati così da costruire effetti e transizioni stupefacenti. Tale effetto così genuinamente materico è frutto di una lunga ricerca espressiva che Albin ha condotto partendo dalla sperimentazione musicale, all'accademismo pittorico fino alla manualità artigianale.
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Il teatro racconta la realtà (e rompe il silenzio): intervista a Terry Paternoster
Written by Francesca SaturninoSulla scena nera si muove, compatta, una schiera, che intona canti sacri e antichi a ritmo di tamburello. Quando la schiera si rompe, i nove giovani attori, cinque donne e quattro uomini, in mutande e sottane, si dispongono in riga davanti a un fascio rettangolare di luce rossa. In dialetto lucano si passano barattoli, sputi, sguardi e imprecazioni: tutti riuniti, per le ferie, a fare la conserva “re pumm'dur". C’è chi è emigrato in Germania e non torna da un anno; chi non si è mai allontanato ma da quel paesino della Val D’Agri vorrebbe fuggire; chi a casa non è tornato mai più. Un grumo di storie e umane pulsioni compresse dentro barattoli di acqua infetta, dove gli attori soffiano, per ricreare il suono del bollore della salsa in cottura.
ART 3.0: AutoRiTratto di Salvatore Virdis
Written by Catia GiaccheriniSin dalla giovane età, non appena le sue mani hanno occasione di esperire l'arte della modellazione del legno, Salvatore Virdis inizia a interpretare lo spirito della sua isola (nasce in Sardegna nel 1947 a Bono, in provincia di Sassari) scolpendo il legno, dando forma a giocattoli e oggetti della vita quotidiana. Con il passare del tempo, grazie all’esempio paterno, va sviluppando una progressiva manualità nell'uso del primo strumento di modellazione con cui entra in contatto: il coltello che gli consente una sempre maggiore capacità di definizione dei soggetti tridimensionali che va scolpendo.
ART. 3.0: AutoRiTratto di Giancarlo Muzzolon
Written by Catia GiaccheriniAd ottobre ero a Venezia. Già gli ultimi chilometri di ferrovia mi sembravano particolarmente suggestivi per non parlare della cattedrale che ti si stampa in faccia uscendo dalla stazione. Venezia è unica e passando in ogni vicolo sembra di sentir sussurrare storie. Potresti immaginare di incontrare qualcuno che si nega, respirare l’aria delle calli dove vive uno dei tuoi sogni virtuali o sperare di incontrare, perdendosi in un vicolo senza sfondo, una dama di altri tempi celata da una maschera di raffinata bellezza. Guardando i quadri di Muzzolon si ricrea questa atmosfera, ci si proietta in una situazione già vissuta di cui si riconoscono i suoni, l’odore del forno, lo sguardo di un passante che non è passato per caso, di quella persona che ci ha sfiorati senza dire una parola. Sogni che si avverano, progetti che si realizzano, trame tessute ad arte proprio come la mappa di una città che tra terra ed acqua nasconde il cielo. Muzzolon ci offre scorci dai colori vivaci e invitanti.
La lingua, le “vecchie mura”, il gioco: intervista a Tonino Taiuti
Written by Francesca SaturninoE stu spasso mo è fernuto:
ce so’ gghiuto a na "Cantata",
ma però me so’ addurmuto,
aggio perzo na nuttata.
Senza cchiù chella curnice,
nun teneva cchiù sapore!
‘a "Madonna" era n’attrice,
"Sarchiàpone" era n’attore.
So’ spettacole ‘e Natale,
è na vecchia tradizione
comm’ ‘a tombola, ‘o bengale,
‘o Presepio, ‘o capitone.
Chill’ambiente, e chella gente
‘ncopp’ ‘a scena a recita’.
Chille ‘e mo nun fanno niente
pecché ‘a vonno stilizza’.
('A cantata d’ ‘e pasture, Raffeaele Viviani)
Bell’è Babbele, bella e senz’uocchie...
Vecchia, sorda e semp’annura...
E mo addò jamme?
Addò ce portane?
Da quale parte de’ mure, stanotte, amma piglia’ l’acqua d’ ‘a morte?
[...]
Lengua?
E che mi abbisogna di una lengua a me?
Ne tengo ciente,
‘e Menelicche
e una, di soppiatto, ‘e fuoco
e abbruscia,
abbruscia,
cupole e ciardine,
parucche e pettinasse,
nutricce e signore,
carrozze e ‘ciucesse [...]
(Signurì, signurì, Enzo Moscato)
- Intervista a Tonino Taiuti
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Salvo Tesauro, così si racconta a Il Pickwick: “Mi chiamo Salvo Tesauro, sono nato a Palermo nel marzo del ‘53. Mio padre proveniva dalla bottega d'arte ed era un ottimo restauratore e pittore; purtroppo, la sua generazione aveva vissuto la tragedia della guerra e quindi la prima preoccupazione fu quella di trovare un lavoro stabile per dare sicurezza alla famiglia: erano tempi difficili per tutti. Il fratello di mio padre, Totò, era un promettente scultore, ma non tornò mai dalla guerra. Per quanto riguarda me, pur avendo mostrato una spiccata attitudine per l'arte, dovevo trovare un lavoro sicuro e così fui indirizzato verso qualcosa di più pratico: istituto tecnico e facoltà di matematica che scelsi avendo una certa predisposizione per questa disciplina.
ART 3.0: AutoRiTratto di Anna Rita Angiolelli
Written by Catia GiaccheriniIncontro, per Art. 3.0, una pittrice che mi colpisce per la sua raffinata eleganza. Una pittrice decisamente interessante, bella, maliziosa, che riporta nelle sue tele l’arte della seduzione. Le figure femminili sono lineari ed eleganti, di una bellezza che non conosce il tempo. Sofisticate creature che emergono con prepotenza dalle sgorature di colore o che si impongono per intensità dello sguardo e del sorriso. Basta un dettaglio a queste donne per trasmettere passione e carnalità oppure attesa, stupore e desiderio. Le sue città sono irreali per l’uso che fa del colore, ma non è difficile riconoscerle o immaginarle in un tramonto intenso di una giornata felice.
Ho incontrato Naomi Tydeman attraverso le sue opere presso il Museo della Carta di Fabriano. Piccoli quadri che intrappolavano lo sguardo e lo portavano oltre, in uno spazio del pensiero molto più complesso e adimensionale. In seguito, chiedendo la possibilità di contattarla al Direttore del Museo, Giorgio Pellegrini, ho scoperto che era una delle firme più importanti dell'acquerello nel Regno Unito.
Naomi Tydeman è nata in Malesia nel 1957 ed ha viaggiato per la maggior parte della sua giovinezza con suo padre che serviva nella Royal Air Force. Sedici scuole e cinque collegi dopo, ha continuato i suoi viaggi attraversando l'India in bicicletta a soli ventuno anni. Negli ultimi trentacinque anni ha vissuto nel Pembrokeshire, che si trova nella zona più occidentale del Galles “continuando” a viaggiare. Ha una laurea in Education, ma ha preferito dipingere piuttosto che insegnare e, dopo la laurea, ha lavorato nella propria galleria per venti anni. Eletta nel Royal Institute of Painters in Watercolours nel 2004, opera ora nel Consiglio dell'Istituto come segretaria per le esposizioni. Ha vinto il Turner Watercolour Prize nel 2013.
Raffaele Teti è un concept artist freelancer, specializzato in environment 2D. Raffaele ha ventitré anni ed idee molto chiare sull’obiettivo che vuole raggiungere e, durante l’intervista, ci parla del suo sogno nel cassetto: creare in particolare gli scenari per videogiochi tripla A. Non ha mai pensato di esporre in una galleria, anzi, la cosa non gli interessa molto, nonostante alcune offerte ricevute.
ART 3.0: AutoRiTratto di Davide Pavlidis
Written by Catia GiaccheriniNon era sicuro che avremmo fatto questa intervista perché Davide Pavlidis stava lavorando alle stagioni e non voleva scrivere prima di averle ultimate. Un mese, ancora un mese, un mese ancora, ma alla fine troviamo un accordo e in attesa dell'inverno proviamo a fare la sua conoscenza. Guardando il profilo non si comprende con chi si abbia realmente a che fare: un uomo intelligente è sicuro, ma anche ironico, ma non solo ironico, anzi l’ironia sembra una maschera per difendere i buoni sentimenti da sguardi indiscreti, un modo per spostare l’attenzione da lui ad un altro oggetto. Se sia timidezza o astuzia non si comprende, ma una frase risuona mentre si racconta al Il Pickwick: “Ecco, direi di stare attenti ed essere consapevoli rispetto a quel che si cerca di proporre perché quella cosa ci esprimerà”. Un corpo traforato, un cervello traforato, un padre traforato ma che con mani solide tiene la sua creatura quasi felice di dissolversi in essa, la visione delle opere ci lascia lì a chiedersi perché, cosa c’era fuori o cosa mancava dentro? Era una rete per unire mondi diversi? Era un processo inevitabile di trasformazione? La leggerezza nella forma e armonia nel cambiamento? La materia che prende vita per tornare materia?
Lasciamo quindi che sia lui a raccontarsi ai lettori, avvertendoli fin da adesso che non troveranno qui la risposta, ma solo cercando nelle sue opere.