“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 03 January 2014 00:00

E dammi ‘sto veleno

Written by 

Questo articolo non avrebbe motivo di esistere se mia nonna non fosse nata nel 1935, mia madre nel 1961 e io nel 1989.
In quanto donna nata 24 anni fa, l’unica prospettiva capace di farmi piangere dalla gioia riguarda la firma di un contratto a tempo indeterminato con sangue arterioso in pieno flusso − utopia pura, mi sono vergognata a pensarlo, figuratevi a scriverlo − immaginate pertanto la mia sorpresa nel realizzare l’esistenza di Alba nuziale, volume edito nel 1941 dall’Istituto di Propaganda Libraria di Milano e scritto da Angela Sorgato1 col preciso intento di segnare la retta via alle giovani donne in procinto di sposarsi: “Questo libro è il dono di nozze che ti presento nella sua semplicità e nella sua freschezza, dono che parte dal cuore, nel desiderio grande di accompagnarti, amica invisibile, passo passo, nella tua strada, incontro alla gioia, incontro al dovere...” (p. 10).

Gioia e dovere: ecco come viene descritto il matrimonio.
La Sorgato sapeva scrivere, c’è poco da fare, il suo è un uso ottimo della retorica tanto che Isocrate, six feet under, si sta ancora rivoltando per l’invidia. Con il retore greco ha in comune anche un’altra caratteristica, quella di suscitarmi, a lungo andare, una sorta di torpore misto a insofferenza, un’ansia crescente e apparentemente immotivata, un desiderio prorompente di azionare di colpo polmoni e muscoli per correre il più lontano possibile, desiderio che si concretizza sovente con un’espressione poco elegante mentre poso il volume all’interno di un cassetto poco frequentato. Avete mai letto il Panegirico? Ecco. Siamo più o meno lì. A pagina 10 invochi in soccorso tutti i morti della tua famiglia fino alla quarta generazione, a pagina 20 inizi a battere il pugno sulla scrivania e a scuotere la testa da una parte all’altra − porta, finestra, porta, finestra − nemmeno fossi uscito dalla serie delle monomanie di Géricault, a pagina 30 princìpi a immaginare un futuro da coltivatore diretto di barbabietole da zucchero e ripeti ad alta voce il paradigma dei verbi perché in confronto alle parole del vetusto ateniese risultano davvero interessantissimi. Non sono letture adatte a gente ansiosa come me.
Credo fermamente che per compenetrarsi meglio nelle parole dall’autrice sia necessario ricorrere ad un piccolo aiutino sensoriale. Troverete dei collegamenti ipertestuali sparsi qua e là lungo il testo così da immergerci insieme negli anni ‘40 ma al primo sentore di soffocamento vi consiglio caldamente di riemergere nell’attualità.
La copertina di Alba nuziale dice già molto: una giovane madre guarda amorevolmente un neonato che a sua volta le tende la pargoletta mano. Il tutto circondato da una sorta di alone rossastro, posticcio e vagamente psichedelico che non so a voi, ma a me fa presagire i ben lontani anni ‘80. Corsi e ricorsi, insomma.
Il volume è diviso in quattro capitoli: Gioia di nozze (risoluzione di ansie e dubbi circa il matrimonio rivolto a chi si è appena sposata o si accinge a farlo), La canzone della vita (ansie e dubbi subito dopo il matrimonio, quando il target sarà la costituzione di una squadra di calcetto), Fiori vivi (quando la squadra è stata formata ma è ancora troppo piccina per giocare senza la supervisione di un adulto) e Vigile amore (quando i giocatori iniziano a farsi lasciare due isolati prima del campo perché provano vergogna a farsi vedere con la mamma).
L’autrice esordisce rivolgendosi in prima persona alla novella sposa: “Ti parlo in questo mattino, che per te folgora di sole: il mattino delle tue nozze. Hai il volto che ride, gli occhi che splendono, e negli orecchi ancora la nota musicata di un sì, pronunciato in una gamma di sinfonie dolcissime”.
Seguono intense pagine sul velo da sposa: “riponilo nel posto più bello della casa, tra effluvi di lavanda”; “sarà la nube vaporosa che accompagnerà il tuo piccolo tesoro nel suo battesimo, perle di acqua benedetta sulle falde immacolate che già conoscono la dolcezza di Dio”, “un lembo forse coprirà domani la tua reginetta nella gioia del suo Gran Giorno” (con che fulgido acume si prospetta un futuro da suocera già da pagina 13!); illuminanti consigli sul management del ‘nuovo focolare’: “mi auguro che tu non sia di quelle giovani donne che arrivano al matrimonio impreparate alle praticità di un disbrigo di faccende casalinghe” scrive piccata l’autrice a pagina 25, “lo sposo sarà certo indulgente, compatirà, ma è meglio tu abbia sin dall’inizio tanta disinvoltura, nel maneggiare gli arnesi del mestiere” per evitare di servire in tavola “lo spettacolo di una minestra o un paio d’uova innaffiate di lacrime” (questa donna sapeva scrivere, era un talento sprecato: a voi sarebbe venuta in mente la scena delle uova innaffiate di lacrime, magari tra le urla di un marito che si aspettava di aver portato a termine un affare migliore? che spreco, che spreco).
Seguono consigli sulla bellezza: “non dimenticarlo, o invisibile uditrice: è al marito che devi piacere. Per lui, quindi, sceglierai i vestiti che più si armonizzano con il tuo volto, con la tua persona, che ti doneranno freschezza e vivacità. Quando però una tinta, una toeletta, un cappello a lui non garbassero, sappi rinunciare prontamente, senza visibili sforzi” (p. 40) ma mi raccomando, che mai si scada nella “trasgressione al decoro cristiano, all’offesa alla tua femminilità casta e corretta” e soprattutto “l’intimità con il marito, la confidenza piena, non ti porti a libertà licenziose di vestire e di movimenti, nemmeno tra le pareti della tua casa, quando l’estate dardeggia, e quando sei sola con lui... Certe vestaglie, certi costumini, che non si sa dove incominciano e dove finiscano, non vanno...” (anche con 45° una donna con la D maiuscola, una vera donna conserva intatto il suo aplomb e il suo pigiamino a collo alto, ma senza orsetti, eh, che siete gli angeli del focolare mica i simpatici amici di Dodò dell’Albero Azzurro).
Il secondo capitolo si apre con gustosi paragrafi intitolati “Talamo nuziale” e “I tuoi doni”:
“un’offerta di doni, devi portare, o piccola sposa, a colui che il Signore ti avrà fatto incontrare sul tuo cammino... Quando non ne va di mezzo la coscienza, sappi cedere dinanzi al marito. È lui, vedi, il capo: lui che comanda [...]. Il lavoro non potrà svolgersi se le direttive verranno date da due teste, e da due voci. È necessario che tenga le redini uno solo. Sì, è vero, tu sei la regina della casa, ma non sognare, o invisibile amica, una falsa libertà, quell’indipendenza che finirebbe ad allontanarti il cuore del marito, ostacolando così la dolce costruzione del tuo nido. Dà preferenza, quindi, ai desideri del marito [...], io non ti dico di soffocare ogni gusto, ogni legittimo desidero, no, parla pure: ma quando vedi che fra due volontà opposte, una deve senz’altro piegarsi, sii tu virtuosa e generosa” (pp. 70-71).
E se le cose dovessero andare male? “dopo un piccolo screzio non disertare nemmeno per un giorno il tetto coniugale. Domani, alla tua figliuola, che in un simile caso, venisse a casa tua, per rifugiarsi tra le tue braccia, dopo averla stretta al cuore, tu, dolce, ma irremovibile, le dirai: torna subito da tuo marito. La sua casa, è la tua” quindi in caso di abusi, maltrattamenti o violenza domestica vera e propria abbraccia teneramente tua figlia e dille: amore, ci siamo passate tutte, torna a casa da tuo marito, ti si scuoce la pasta.
L’argomento “diritti e doveri coniugali” è trattato con chiarezza e al tempo stesso riserbo: “sbagliatissimo se tu fossi giunta a questo punto (il matrimonio, ndr) con gli occhi chiusi, credendo l’amore solo cosa ideale, volatizzante, che si concreta in una tenerezza e in un abbraccio. Forse potrebbe capitare, come di conseguenza, una brusca scossa, una crisi d’anima. Tutto va visto serenamente, soprannaturalmente, alla luce della verità: ciò che è inerente al matrimonio, è concesso da Dio [...], Dio è santo e puro, tutto quello che Egli permette nella sua legge è santo e puro” (p. 80).
Infatti “la sposa che conosce i suoi doveri, e ama il marito, non si rifiuterà certo, quando il marito vorrà usare dei diritti coniugali [...], le tue inclinazioni, le tue forze, le devi misurare prima di passare a nozze, ma una volta sposata, sii pure circonfusa di tanta delicatezza femminile, ma devi ubbidire”. L’amore coniugale, continua l’autrice, serve non solo a dare nuove anime benedette al Signore, ma da un lato a ‘rinsaldare’ il rapporto tra i coniugi, dall’altro come “rimedio alla concupiscenza. Se tu non senti il bruciare della passione, ringraziane il Cielo, ma fatti scudo dell’anima del marito. Te lo devo dire?" (Sì, Angela, ti prego dillo!) "Gl’istinti sessuali, i risvegli dei sensi, sono in lui più forti che in te. Se non è tenuto a freno dalla legge di Dio, qualora non trovasse nella moglie il lecito appagamento, potrebbe andarsene altrove, a cercare l’illecito, macchiando tristemente l’anima".
“Farai l’amore per amore / o per avercelo garantito?”, cantava del resto De Andrè.
Ovviamente non dobbiamo mai dimenticare che “del marito sei la compagna fedele, mai l’amante. Cerca di capirmi: tutto quello che è contro il fine della vita a due, non va. Te lo dico perché è facile l’errore... e di conseguenza la colpa. Sposi novelli, specialmente nei primi anni di matrimonio, con falsi pretesti che non meritano certo giustificazione, volutamente impediscono la venuta dei figlioli, si abbandonano, disordinatamente, ad ogni capriccio, ad ogni voluttà dei sensi... E intanto si sprecano le energie più fresche della giovinezza. S’impoverisce il fisico. S’indebolisce la volontà. Si diventa smidollati e abulici. Incapaci domani di guidare e difendere i tesori preziosi che sono i figli” (pp. 83-84).
Vengo colta da un’improvvisa illuminazione: quelle canzoni strappalacrime, in cui gli uomini si lamentavano al cospetto di una donna terribile, spietata, crudele, spesso parte del repertorio napoletano, non sono dedicate alle mogli. No. Del resto chi canterebbe “Fammi quello che vuoi / indifferentemente, / tanto lo so, / per te non conto più nulla, / dammi questo veleno, / non aspettare domani / che, indifferentemente, / se tu mi uccidi / io non dirò nulla” ad una donna che aspetta a casa il tuo ritorno? Di colpo mi sento molto sola.

 

 

 

 

Nota:

1) Per una biografia della Sorgato si consiglia: http://www.to.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/upload/Angela_sorgato.pdf

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook