“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 24 November 2013 01:00

La Venere, chiacchierona, in pelliccia di Roman Polanski

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... e Dio lo colpì e lo mise nelle mani di una donna

 

Nell’entrare nel cinema in quel pomeriggio tempestoso e uggioso mi sono sentita proprio la protagonista del film che da lì a poco sarei andata a vedere: una venere (la differenza tra me ed Emmanuelle Seigner è davvero minima, ci tengo a precisarlo!) bagnata dalla pioggia nei boulevard parigini, o nel mio caso sarebbe più corretto dire nei vicarielli napoletani, pronta per la sua audizione, in tal caso rimandata di qualche minuto, giusto il tempo della lettura di queste deliranti righe.

Ho sempre apprezzato molto Polanski come regista riuscendo a distinguere le vicissitudini della sua alquanto discutibile vita privata, rispetto alla sua bravura dietro la macchina da presa e per questo, ma anche perché in fondo sono un po’ masochista, ho voluto sfidare la pioggia incessante e andare a vedere cosa aveva da offrirmi questo ultimo lavoro di Polanski, Venere in pelliccia.
Alla luce della pellicola, del mood del film e per tutto il background che circonda il tema affrontato, più che masochista è il caso di dire sado-masochista: eh sì, perché il film è liberamente ispirato ad un romanzo dell’Ottocento, Venus in Furs, dello scrittore austriaco Leopold von Sacher-Masoch.
Attenzione! Non lasciatevi offuscare dalla parola “Sacher” perché non si tratta di né di un romanzo dolce, né smielato: si tratta di un romanzo erotico con risvolti tragici e sadici incentrato su un rapporto d’amore tutt’altro che convenzionale. La protagonista è una donna, una Venere per l’appunto, inizialmente vista solo in sogno e poi nella realtà, che assume le sembianze della ricca e bella vedova Vanda von Dunajew, una donna epicurea il cui unico scopo è la ricerca del piacere e del godimento. Offuscato da Vanda, il protagonista maschile Severin si getta ai suoi piedi, ai limiti del martirio, diventando suo servo: quando poi la donna si innamora di un ufficiale greco, accetta persino di esser frustato in modo crudele da ambo i due ma è proprio “grazie” a queste frustate che guarisce dall’incanto (o maledizione) della Venere in pelliccia.
La storia di una specie di dominatrix crudele e capace di tutto è una storia che ha da sempre ispirato il mondo non solo della letteratura, ma anche quello dell’arte, della musica e del teatro. Ed è proprio da una pièce teatrale di David Ives che Polanki ha preso spunto per la sua personalissima versione della Venere in Pelliccia: reduce già da un precedente adattamento dell’opera di Yasmina Reza, Il Dio del massacro, divenuto nel 2011 un film, Carnage, Roman Polanski decide di raccontare il rapporto di coppia, il rapporto a due, costruendo un film marcatamente e squisitamente teatrale: lo è soprattutto nelle scenografie, nei dialoghi che la fanno da padrone proprio come Carnage, e nella volontà di voler riproporre questa storia in una costruzione a metà strada tra il metacinema e il metateatro.
Il protagonista, Thomas (l’attore Mathieu Amalric), è un regista teatrale che sta cercando l'attrice giusta per il ruolo di Vanda nel suo adattamento per le scene del romanzo Venere in pelliccia di Leopold Von Sacher-Masoch. Un piano sequenza ci mostra un boulevard parigino, battuto da un furioso temporale, che ci conduce ad un teatro, e ad una donna che arriva lì fuori tempo massimo, il cui nome è proprio Vanda, un'attricetta apparentemente del tutto inadatta al ruolo se non per l'omonimia. Dopo vari tentativi di convincimento e dopo aver abbattuto le varie titubanze di Thomas che la vede come un’attrice da quattro soldi, la donna riesce a convincerlo all'audizione e, improvvisamente, come per incanto o per magia, Thomas viene attratto dalla trasformazione a cui assiste: dopo poche battute si accorge che nessun'altra può aderire come lei al personaggio.
Ha così inizio un sottile e ambiguo gioco a due sadomasochistico dove una splendida Emmanuelle Seigner appare nella sua matura bellezza come una Venere rock uscita direttamente da un backstage di un concerto dei Guns n’ Roses, chiacchierona oltre ogni modo, che stordisce il regista a suon di frustate semantiche più che fisiche. Il film è un inno alla donna, talvolta aggressiva, più spesso ironica (non voglio svelarvi il finale esilarante), che si allontana dai toni molto più oscuri del romanzo di Sacher-Masoch: sembra quasi che attraverso la sua musa, e compagna di vita, Polanski abbia voluto sottolineare la forza, astuzia e bravura femminile perché si sa, alla fine chi porta i pantaloni in casa è sempre lei, che si chiami Eva, Venere o Maria.
La pellicola di Polanski, oltre ad essere un chiaro omaggio al teatro come macchina da racconto, come luogo sacro e intimo, alla recitazione nei botta e risposta dei due attori, bravissimi, risulta essere una continuazione del percorso che il regista ha intrapreso con Carnage: un processo di sottrazione in tutto quello che costituisce il profilmico per concentrarsi sulla parola, sulle emozioni e sulla sceneggiatura. Un film che a mio avviso risulta comunque lontano dai fasti di Chinatown e di Per favore, non mordermi sul collo! ma più riuscito rispetto al primo esperimento di questo genere, Carnage per l’appunto.
Oltre alla curiosità dettata dal nome del regista, quello che mi ha spinto a vedere questo film, devo ammetterlo, è anche l’atmosfera che gira intorno a questo tema, in particolare non posso non citare la Venus in Furs di Lou Reed e dei Velvet Underground descritta in quel meraviglioso brano di quell’altrettanto meraviglioso album che fu The Velvet Underground and Nico. Il massimo sarebbe stato ascoltare le parole di quella canzone, come sfondo a quella pioggia battente: Shiny, shiny, shiny boots of leather, Whiplash girlchild in the dark, Clubs and bells, your servant, dont forsake him, Strike, dear mistress, and cure his heart / Splendenti, splendenti, stivali di pelle, Ragazzina col frustino nella notte, Club e campane, il tuo servo, non lo abbandonare, Colpiscilo, mia padrona, e cura il suo cuore.
Canzone molto più fedele al romanzo nei toni ombrosi e dark, più di quanto non sia il film di Polanski, senza dubbio. Classe 1933, arrivato quest’anno agli ottant’anni, il buon Roman pare aver capito ciò che la maggior parte degli uomini ancora ignora:
Primo. Le donne hanno sempre capito tutto, di più rispetto agli uomini e sono talmente brave da lasciar intendere ai maschietti che siano loro a decidere.
Due. Alle donne piacciono due cose: parlare, e parlare.
A questo punto l’interrogativo che mi pongo e che porrei ai lettori uomini soprattutto, è: confrontando le due versioni, romanzo e film, il sadomasochismo dell’essere frustati crudelmente dalla venere in pelliccia è preferibile o meno al puro masochismo dell’ascoltare le infinite, prolisse, parole della stessa?

 

 

Venere in pelliccia (Venus in Fur)
regia Roman Polanski
con Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
sceneggiatura Roman Polanski
fotografia Pawel Edelman
montaggio Margot Meynier
musiche Alexandre Desplat
produzione R.P. Productions
distribuzione 01 Distribution
paese Francia
lingua originale francese
colore a colori
durata 96 min.
anno 2013


 

 

 

 

 

 

 

 

 

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