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Friday, 02 August 2013 08:24

Marchionne libero

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Caro Marchionne ti scrivo
Ti scrivo per mostrarti tutta la mia solidarietà. Quello che l’Italia ti sta facendo è inaccettabile. Questo paese è per te ormai claustrofobico.
Ribellati, io sono con te.
Ti appoggio pienamente quando sottolinei l’impossibilità per le multinazionali, come quella che hai creato tu, di produrre e continuare ad espandersi in quest’italietta in cui, antistoricamente, esiste un contratto nazionale dei lavoratori, seppur fortemente evirato, che tanti ostacoli pone allo sfruttamento totale degli operai da te giustamente agognato.

Non si può andare avanti così, voglio scendere in piazza per urlare: “Marchionne libero”, libero di andare a fare affari dove ti pare, libero di lamentarti se il costo totale del lavoro supera i tre euro l‘ora, libero di chiudere i ponti, in maniera totale e definitiva, con questo Stato che non tutela i suoi  padroni. Va' e sii felice. Ma prima di andare però, puos' 'e sord'! Voglio dire che sarebbe opportuno e rispettoso da parte tua, nei tanti businnes plan che vai facendo, affaticarti in un calcolo puntuale e preciso di tutto ciò che quest’italietta ha regalato alla società da te diretta, per tutto il secolo scorso e oltre, sotto forma di incentivi, favori, coperture, commesse, depenalizzazione delle violazioni contrattuali  e aiuti finanziari veri e propri. Ovvio, interessi maturati inclusi.
Guarda, sarò magnanima; capisco che parlare di liquidità, co' 'sta crisi, è folle e inattuale e allora voglio proporti un affare: visto che tanto qui non puoi più lavorare, che ci devi una valangata di eurini e che noi ci terremmo a conservare questi ventiquattromila e quattrocento posti di lavoro; nel calcolo di cui sopra, inserisci anche la valutazione degli stabilimenti Fiat, presenti sul territorio italiano, Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi, Termini Imerese, indotto e veicoli commerciali (Val Di Sangro) inclusi ovviamente (noi, qui, siamo onesti); poi confrontiamo i due totali e sono sicura che riusciremo a trovare un accordo. Se ti dobbiamo, ti diamo; dieci euro a testa e ti compriamo tutto. E possiamo finalmente tornare alla nazionalizzazione delle imprese. Nella trasparenza, s’intende. Un consiglio d’amministrazione formato dai rappresentanti delle fabbriche, due (uno tra i colletti bianchi e uno tra le tute blu) liberamente eletti all’interno di ciascun stabilimento. Ci mettiamo pure una squadra di garanti, su base regionale, magari, e stiamo a posto.
Certo, sarà necessario un rappresentate del governo, e questo mi preoccupa non poco, ma pensiamo, intanto, a chiudere l’affare e poi vediamo. Ecco, ci sono, si potrebbe istituire una figura ad hoc, tipo amministratore generale eterno, il cui incarico potremmo affidare a papa Francesco: sì, potrebbe essere una soluzione.
Insomma, qualcosa faremo. Voi (dirigenti di ogni genere, agnellini inclusi) intanto iniziate a fare le valige.
Un’ultima cosa però, un suggerimento da amica disinteressata: mo' che vai all’estero, pensaci bene a questa strategia, l’unica perseguita con coerenza in tutti questi anni, a partire dalla storica sconfitta operaia del 1980, cioè a dire, la compressione del costo della forza-lavoro. I salari più bassi d’Europa non fanno in modo che le Fiat si vendano in numero maggiore rispetto alle concorrenti. Le Volkswagen si vendono molto di più, nonostante gli operai tedeschi vengano pagati il 30% in più di quelli italiani, e nonostante in Germania si dia un’accezione sostanzialmente diversa al termine “flessibilità”, anche perché loro dicono biegsamkeit. Secondo me non è vincente, né risolutiva.
Ciao Sergio e salutami gli operai serbi.

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