“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 12 May 2022 00:00

Guida pratica al mondo-cinema di David Lynch

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Lo stratificato e denso universo onirico di David Lynch ha un suo nucleo centrale cristallizzato nell’etere: Twin Peaks. Quel luogo divorato dall’interno di una dimensione, qual è la Black Lodge, nei boschi di un Paese immaginario del Nord Ovest degli Stati Uniti, ha inglobato tutto, facendo sì che i film del regista del Missoula, fossero un unico corpus vivente, infinitamente pulsante.

I film di Lynch, ed è su questo che l’autore del libro Andrea Parlangeli conviene, non possono essere letti separatamente. Sono un corpo vivente unico che si forma e deforma di opera in opera, come un unico film che prende vita nell’immaginario dello stesso regista, dedito non a caso alla meditazione trascendentale dall’anno 1973, qualche anno prima del suo suggestivo e allucinato esordio: Eraserhead (1977). Siamo nel regno del sovrannaturale, nel fiabesco mondo dei diversi e dell’ignoto, in quello delle illuminazioni divine e della minaccia dell’oscurità, delle apparizioni demoniache e di quelle paradisiache che liberano l’individuo dalla schiavitù del male. Sono radicate ovunque e attecchiscono laddove l’uomo fa sì che avvenga rapidamente, fungendone da filtro.
L’autore di questo testo multiforme che nei vari capitoli prende la disposizione di un abbecedario dei temi ricorrenti presenti nei film del regista, cerca di mettere a fuoco proprio quegli elementi che hanno reso riconoscibile il lavoro di David Lynch. Parte proprio da un riconoscimento: spargere i semini disseminati nel tempo, per poi raccoglierli e conferir loro una disposizione seminale. Innegabile che vi sia una concezione del mondo di tipo magico. Una concezione nella quale il mondo materiale è pervaso da quello spirituale. Ed entrambi i mondi compenetrano l’uno nell’altro, ripetutamente. Universi paralleli, doppi, simboli dimostrativi/dissociativi. Sostanzialmente dimostrano che dobbiamo avere consapevolezza di quello che ci circonda, per poter assorbire meglio le sue opere più impervie (pensiamo soprattutto ai film che meglio riassumono la sua poetica, Mulholland Drive e Inland Empire). Secondo Parlangeli − che arrivò a conoscere Lynch partendo dal suo ultimo film, che letteralmente, oltre a destabilizzarlo, lo sconcertò per la mancanza di un apparente nesso logico fra i numerosi mondi paralleli che si compenetrano nel corso della narrazione (la sua compagna in sala, durante la visione del film, gli disse che si tratta semplicemente di Lynch, prendere o lasciare) – i film di Lynch mirano a creare un clima di attesa, un mood di sconvolgente tessitura, anche grazie alla proficua collaborazione con Badalamenti, autore delle colonne sonore di quasi tutti i suoi lavori. Sono le atmosfere generate da quel clima necessario, a rendere le opere d’arte del regista − perché si tratta di opere d’arte più che di  film di carattere ordinario − un corpus unico e a sé stante rispetto a gran parte del cinema realizzato in precedenza.
Senza nulla togliere al genio del regista Lynch, Parlangeli non può non dedicare un capitolo a tutti i punti di riferimento di cui il regista ha tenuto conto: da Il Mago di Oz a Sunset Boulevard, dall’opera di Bergman a quella di Hitchcock e Kubrick (che amava in particolar modo Eraserhead), da Federico Fellini a Werner Herzog, anche se non viene citato il film Possession di Zulawskiche, che Lynch ebbe a dichiarare di essere in assoluto il suo preferito, secondo il suo parere addirittura il più grande film di tutti i tempi. Non si può trascurare poi il fatto che Lynch attinga dall’arte a trecentosessanta gradi: egli è non solo regista e sceneggiatore, ma anche ideatore di sit-com surreali, di performance teatrali stranianti, sporadicamente attore e produttore, compositore di musica ambient, pittore, fumettista, regista di videoclip musicali e video commerciali, egli si dilettava inoltre nel design, in esperimenti al computer e in dirette streaming di concerti. Tutto gira attorno però alla serie televisiva Twin Peaks, di certo perché l’ambiente nel quale è costruita è esattamente quello in cui Lynch è cresciuto: a eccezione della parentesi a Philadelphia che però ha fortemente condizionato i suoi strali creativi, a causa di un’esposizione al pericolo costante che lo costringeva a vivere con gli occhi spesso aperti anche di notte e con un fucile accanto al letto. Twin Peaks è dunque un progetto televisivo che ha innovato la produzione seriale di quel medium, e che ha portato anche alla realizzazione del significativo prequel Fire Walk With Me (1992). Quel che manda avanti la storia, ricca di sottotrame misteriose e di personaggi pittoreschi e che per gran parte rimandano all’immaginario noir, è un’indagine oscura, di quelle che si trovano nei migliori gialli. Muore una giovane ragazza, una certa Laura Palmer, e tutto quel che ruota attorno alla povera creatura (della quale vediamo solo una foto col suo volto angelico e ne sentiamo più che altro parlare attraverso altrui voci), vittima di una concatenazione nefasta di forze oscure cui fa capo la persona più impensabile, concorre a manifestare un disagio psichico ed emotivo tale da generare un’alterazione con l’ambiente circostante, un vero e proprio cortocircuito. Quel che si percepisce non appartiene decisamente al convenzionale, in tutti i sensi. Non è reale, eppure comunica strettamente con la realtà. Twin Peaks comincia sulle immagini di un ambiente apparentemente rassicurante, quieto, sereno, si direbbe idilliaco. Eppure lì vi cova il maleficio. Il male è nella quotidianità dei rassicuranti volti del benessere. Siamo dalle parti delle soap-opera, siamo dalle parti della fantascienza degli anni ’50, dove tutto sembra essere in ordine, la gioventù è ribelle, fa le bizze ma non delinque, ci sono i giradischi (tornano spesso nei film di Lynch), almeno fino a che non compare l’imprevisto, l’uomo venuto da lontano che nell’opera di Lynch è rappresentato dal contatto subliminale con una realtà alternativa (in Twin Peaks, ogni volta che la ventola gira, segnala il passaggio del demone incarnato).
Se Velluto blu è il film che in maniera matura compone meglio il mosaico di una visione rassicurante inquinata da un pezzetto di maligno che s’infiltra, rompendo uno schema composito di finta armonia, Lost Highway è invece quello meno compreso, che spinge le idee lynchiane (Parlangeli confessa che lynchiano è un termine utilizzato da coloro che hanno imparato a riconoscere il cinema del regista proprio dagli elementi che disseminati nelle sue opere lo compongono, rendendolo facilmente riconoscibile) a un livello estremo. A parte la parentesi del bellissimo, limpido A Straight Story, è da lì che la filmografia di Lynch prenderà una direzione sempre più addentrata dentro la sua vasta mente, per finire proprio con quell’impero della mente che meglio l’ha contraddistinta. Parlangeli conclude il testo con un’appendice delle idee ricorrenti (tutto il saggio offre, nel bene e nel male, questa sensazione di tentativo di dare un ordine agli innumerevoli elementi disposti dalla poetica del regista, come una sorta di dizionario dialogico). Dall’elettricità (segnale che c’è qualcosa che non va come dovrebbe) al televisore disturbato, e poi disordinatamente flash, torce, tende rosse, il fuoco, del rossetto sul viso, sangue dal naso, mucchietti di terra, tronchi, numeri, nani pestiferi, dai giradischi che girano a vuoto ai telefoni, mix atemporali che si susseguono senza logicità, cieli stellati, pesci appesi al muro, il tempo che scorre al contrario, quel dualismo realtà/rappresentazione su cui non si smetterà mai di scrivere saggi, incubi a letto e paura da espellere dalla mente, costi quel che costi, l’idea per il film Ronnie Rocket (mai più realizzato) che spezzettata viene disseminata lungo tutta la sua opera. E infine i doppi, il doppio e uguale identico, a partire proprio dai famigerati picchi gemelli. Da Twin Peaks a Twin Peaks, per l’appunto. Tutto un girare attorno per poi ritornare sulle stesse cose, come nelle più utili guide pratiche al mondo dell’autore D.L.   





Andrea Parlangeli
Da Twin Peaks a Twin Peaks. Piccola guida pratica al mondo di David Lynch
Mimesis Edizioni, Milano, 2015
pp. 143

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